Penny mette il jump shot decisivo contro i Pacers… ed il Garden esplode!
Rivalità che vanno, rivalità che vengono. In questa settimana, infatti, abbiamo visto rinverdire uno di quelli antagonismi storici tra New York ed Indiana, mentre un altro è in corso di sepoltura, quello contro Miami, per la pochezza della franchigia della Florida.
La prima gara giocata in settimana ha visto i leader della Eastern Conference, i Pacers, scendere al Madison Squadre Garden. Era una prova del nove per questi nuovi Knicks e l’esito è stato più che positivo: vittoria per 97-90.
Gara risolta nel finale. A 53 secondi dal termine e con i Knicks avanti 93-90, Penny Hardaway trova un canestro degno del suo grande passato: riceve palla fuori dall’arco dei tre punti, parte in palleggio contro l’avversario diretto, si arresta dalla linea dei liberi e, dopo una doppia finta sul perno, sale in cielo per mettere a segno un morbido jump-shot.
Reggie Miller, nemico storico dei Knicks, nella successiva azione spara un airball dall’angolo e Stephon Marbury subisce fallo. La gara è decisa e può iniziare la festa al Garden, tra i cori “Reggie Stinks” e Starbury che corre per il campo con la palla sotto braccio ed il pugno alzato verso il cielo.
Marbury chiude con 23 punti ed i soliti 8 assists, mentre Keith Van Horn e Kurt Thomas vanno in doppia doppia (20 punti e 12 rimbalzi il primo, 19 più 12 il secondo).
Ai tifosi non sembra vero di aver battuto una delle corazzate NBA, soprattutto una delle squadre “nemiche” storiche come Indiana. Memorabili i duelli con Miller, più volte vinti da quest’ultimo proprio a New York.
Ed era anche una sfida nella sfida, quella tra i due general manager Larry Bird ed Isaiah Thomas, dopo che il primo aveva licenziato il secondo in estate dalla panchina dei Pacers.
Ma, come ogni rivalità che si rispetti, il dopo partita è stato ricco di polemiche.
Jermaine O’Neal ha avuto da ridire sui festeggiamenti degli avversari: “Hanno esultato come se avessero vinto il Titolo. Ce ne ricorderemo per il futuro”.
La risposta di Marbury non si è fatta attendere: “Jermaine O’Neal non ha vinto un Titolo. L’avesse detto Shaquille O’Neal, è un conto. Ma Jermaine, che ha vinto in carriera? Nulla. Noi, come squadra, sentiamo che stiamo facendo dei progressi. Loro sono un buonissimo team e batterli è stato un buon segno per noi… che problema c’è?”.
Leggermente più pacato Hardaway: “E’ stato immaturo da parte sua (di O’Neal, ndr). Ognuno può celebrare le vittorie come vuole. Se tu perdi, dovresti pensare a come hai perso e perché, non a come festeggiano i vincitori”.
Dal canto nostro, aggiungiamo che ognuno può festeggiare come crede, sempre nel rispetto dell’avversario. Ora, siccome i Knicks non hanno mancato di rispetto a nessuno, non vediamo che abbia O’Neal da lamentarsi.
D’altro canto, non siamo certo noi a dover ricordare ai nostri lettori la “passeggiata” di Jermaine su un avversario argentino caduto a terra negli ultimi mondiali, durante la prima sconfitta degli Stati Uniti. Insomma, non un buon esempio di lealtà sportiva, da sempre.
Lenny Wilkens non ha parlato della polemica ma della squadra: “E’ stata una bella soddisfazione per tutti noi. Abbiamo dimostrato che possiamo fare molta strada”.
Superate le polemiche ecco una trasferta a Miami: Knicks in netto controllo fin dall’inizio e vittoria per 76-65.
I pochi punti segnati non sono di certo indice di uno spettacolare incontro, ed infatti così è. Ma questi Heat sono davvero poca cosa e coach Wilkens ha potuto far riposare i suoi giocatori ruotando armonicamente il roster a disposizione.
C’è stato dunque posto anche per Mike Sweetney, mentre Frank Williams, dopo un leggero infortunio e qualche colloquio con l’allenatore, ha ritrovato il posto di primo play di riserva.
In campo anche il nuovo arrivato DerMarr Johnson: vedremo se Thomas lo firmerà per l’intera stagione.
Arriva così l’ora dell’ennesimo back-to-back, contro i Los Angeles Clippers, spesso fatale ai Knicks vista la carta d’identità dei giocatori bluarancio, che soffrono le gare ravvicinate per stanchezza.
Ancora assente Allan Houston e con Van Horn prematuramente panchinato sia per problemi di falli sia per la velocità degli avversari diretti (solo 12 minuti per lui), chi si è dovuto caricare sulle spalle l’attacco? Ma Steph, naturalmente! Il suo tabellino reciterà così: 42 punti, 15/20 dal campo, 8 assists. Ma quello che non dicono le nude cifre sono i 17 punti in poco più di cinque minuti che Marbury mette a segno all’inizio dell’ultimo quarto, spaccando in due una partita fin lì equilibrata e facendo volare i suoi sul +14.
Una grossa mano al Messia venuto da Coney Island la dà Thomas, che una volta di più diventa letale sui pick-and-roll messi su ad arte con il suo playmaker: 28 punti per lui ed una eloquente frase in conferenza stampa che non traduciamo perché così rende ancora di più: “Stephon was the difference”.
New York, complessivamente, tira con il 56% e i Clippers, seppur andando in lunetta per quasi 50 volte (il doppio rispetto ai padroni di casa), capitolano per 110-104.
Questa contro i cugini poveri dei Lakers è la quinta partita senza il capitano Houston e magicamente è anche la quinta vittoria consecutiva; onestamente, i tifosi dei Knicks non ricordano a memoria una striscia di risultati positivi così lunga.
Stranamente, ma diremmo anche “fortunatamente”, ancora nessuno della stampa locale ha fatto notare questo dato che darebbe contro ad H20, anche perché sarebbe folle credere che i Knicks giochino meglio senza il loro miglior marcatore, anche perché a sostituirlo nello starting five c’è Shandon Anderson, mica Kobe Bryant.
Il tutto è invece una specie di coincidenza: calendario favorevole (a parte Indiana) e mano dell’allenatore che inizia a sentirsi (schemi d’attacco più fluidi, difesa meglio registrata, diminuzione delle palle perse), oltre ad un Marbury in più nel motore rispetto a quelli che lo hanno preceduto.
Dando sempre i “numeri”, si è 14-9 dal licenziamento di Scott Layden, 10-6 dalla trade che ha portato Starbury a casa e 9-3 da quando Wilkens siede in panchina. Il noto ingegner Cane di “Mai dire domenica” direbbe che sono cifre che fanno girare la testa, visto il recente passato perdente dei newyorkesi.
Ed in effetti si inizia a respirare aria d’alta quota: settimo posto nella Eastern Conference e secondo nell’Atlantic Division. Il sogno di arrivare finalmente ad un bilancio almeno del 50% sembra lì a portata di mano, visto il 25-27 attuale. Molto probabilmente, l’equilibrio tra vittorie e sconfitte non sarà raggiunto prima della pausa per l’All-Star Game. Ci sono sì, infatti, ancora due partite, ma in trasferta e contro avversari di prim’ordine: Dallas e New Orleans.
Per ora, comunque, va più che bene così. Il Garden è tornato ad essere elettrico e pieno di magia. Le dirette rivali per i playoffs che stanno dietro continuano a perdere colpi e la sesta posizione, se non addirittura la quinta, restano ampiamente a portata di mano.