36 primavere per Divac, che mantiene tuttavia un fisico invidiabile…
Verso la fine degli anni '80, Tullio Lauro, indimenticato giornalista del basket milanese e voce dell'Olimpia di D'Antoni, Mc Adoo e Meneghin, vagheggiava, fra lo scetticismo generale, una Nba multietnica, campionato giocato dai migliori giocatori di tutto il mondo.
Una decade più tardi la realtà era esattamente come Lauro, futurologo a modo suo, l'aveva descritta. Questa stessa realtà è cambiata grazie a un manipolo di pionieri, quasi tutti europei, che hanno conquistato la nuova frontiera Nba: fra questi, Vlade Divac ha dato un contributo fondamentale.
Il pivot dei Kings ha appena spento le candeline del suo trentaseiesimo compleanno, subito dopo la sconfitta casalinga contro gli Spurs. Qualche giorno prima con i giornalisti aveva parlato dei suoi 13 anni nella lega: "Se riguardo al passato - ha detto - mi sorprendo per la longevità della mia carriera, perché non pensavo di poter durare così a lungo. Appena arrivato nella Nba ero preoccupato, non tanto dal fatto di essere pivot nella squadra di Jabbar e Chambelain, ma perché qualche anno prima Fernando Martin e Gheorghe Gluchkov [NdR: chi lo ricorda alla Juve Caserta con Oscar?] avevano fallito".
Pioniere due volte Divac: con la maglia dei Lakers, primo europeo ad avere un ruolo importante in una finale per il titolo, e con la maglia dei Kings, vero responsabile, del cambio di orizzonte, di una franchigia senza prospettive né storia.
Proprio così: cinque anni fa, eravamo nel febbraio 1999, i Kings erano in un albergo di San Antonio per, complice il look out che dimezzò la stagione, giocare la prima di quell'anno. Era appena arrivato Webber, non c'era più Richmond.
Quell'anno cominciò la cavalcata dei Kings che, oggi, siamo abituati a vedere in cima alla Pacific Division. Quella stagione si concluse ai playoffs, ad un tiro di Hornachek dalla clamorosa eliminazione degli Utah Jazz. Webber e Williams erano l'anima sbarazzina del gruppo, decisivi quell'anno erano stati Jon Barry e Vernon Maxwell, ma è attorno a Divac, vero leader del gruppo, che il gruppo è stato modellato, è grazie a lui se Stojakovich è arrivato e si è ambientato nella California del nord. Lo stesso sistema offensivo è stato modellato sulle doti e i fondamentali europei del centro serbo.
"All'inizio - ha detto Gary Gerould, telecronista dei Kings - era difficile appigliarsi a una qualche speranza".
"La nostra fu una scommessa - ha replicato Geoff Petrie, l'artefice di questa squadra - decidemmo di puntare sul talento per poi svilupparlo. La squadra nacque così".
Nello stesso anno la squadra cambiò di proprietà : da Jim Thomas ai fratelli Maloof. Proprio Joe Maloof ha ricordato come le mosse decisive sul mercato furono farina del sacco del precedente proprietario. Il merito dei fratelli, un impero dei Casinò a Las Vegas, è quella di aver salvato e dato stabilità alla franchigia, nonché di aver portato avanti il progetto.
Divac a 36 anni è ancora lì, americano dalle solide radici serbe nel cuore: l'infortunio di Webber lo costringe a fare gli straordinari. Nonostante questo continua a concedersi le sue sigarette, abitudine che, al suo arrivo a Los Angeles, fece inorridire la stampa.
"La mia unica droga - dice Divac - è far parte di questa squadra. Svegliarmi tutte le mattine con la prospettiva di passare del tempo in palestra a lavorare con questo gruppo". Il nuovo assalto dei Kings al titolo passa sicuramente da lui che se non altro, a maggio, dovrà mettere il corpo contro Shaq.
La sconfitta contro gli Spurs è la terza consecutiva alla Arco Arena contro i campioni del mondo. Parker e Duncan hanno lavorato in staffetta: 17 punti, su 20, per il francese nella prima parte, 20 dei 28 di Duncan sono arrivati nel secondo tempo.
Decisivo, in apertura dell'ultimo periodo, lo strappo inferto da Manu Ginobili con 8 punti, per il massimo vantaggio degli Spurs 93-75. A conferma che l'attacco delle meraviglie deve ancora dare prova di reale consistenza contro le grandi, i Kings hanno tirato con il 37 % dal campo.
Più facile e liscia la precedente vittoria, 117-101, contro Seattle nella prima casalinga, dopo il lungo trasfertone: la serata ideale per rendere omaggio ai due All Stars della squadra. "I due stanno giocando - ha detto Adelman alla fine - davvero bene. In particolare mi stupisce il modo in cui Miller si rende utile in attacco, anche quando non segna tantissimo, facendo circolare la palla nella maniera giusta, trovando sempre la soluzione migliore".
La convocazione del centro ex Purdue University e Livorno e la vera sorpresa dell'anno. Sulla sua stagione ci siamo già espressi. Ma in ogni occasione in cui lo vediamo giocare, stupisce la sua capacità nella lettura del gioco e le sue mani di passatore.
Una riprova di come, spesso, le etichette vengono affibbiate troppo velocemente. Miller è un giocatore tecnico. Non è solo quello che ha rischiato una plastica facciale da Shaq O'Neal.