Il caos delle panchine

Due finali e un benservito, ecco il menù dei Nets per il loro ex coach Byron Scott

Il recentissimo esonero di Byron Scott, con le quasi concomitanti dimissioni di Jim O'Brien è la fotografia migliore del momento caotico che vive la classe degli allenatori nell' NBA in questi primi anni del 2000.

Dei quindici allenatori in carica alla fine della scorsa stagione nella Eastern Conference nessuno adesso è più al suo posto. Scott, va ricordato, era alla sua quarta stagione da head coach dei Nets: la prima si chiuse come spesso accade ai Nets in maniera incolore, poi nel 2001 con l'arrivo di Kidd la svolta, arrivano due titoli della Eastern Conference, due finali una dove i Lakers non li hanno nemmeno visti, la seconda dove si sono battuti con onore contro gli Spurs, e a parere mio hanno gettato al vento una grossa occasione, dopo aver vinto gara 1 a San Antonio, perdendo da soli due gare.

Nonostante questi risultati Scott a nemmeno otto mesi dall'ultima finale è saltato. I motivi principali sono due, il pessimo rapporto con il leader della squadra Jason Kidd, e l'ombra del suo ex vice Eddie Jordan, oggi head coach dei Wizard.

Valutare quale sia il vero apporto che un coach trasmette alla squadra ad oggi è molto soggettivo. Uno dei temi di maggior discussione è quello di quale siano gli equilibri tra giocatori e allenatori, quando la squadra arriva a traguardi importanti.

In molti si chiedono se Phil Jackson sia stato un allenatore fenomenale, oppure il fatto di aver allenato due coppie di giocatori fenomenali con Jordan Pipper e O'Neal Bryant lo ha valorizzato fin troppo? La domanda probabilmente è una di quelle senza risposta concreta. Io personalmente ritengo che gli allenatori devono più ai giocatori più di quando i giocatori devono agli allenatori, però in alcuni casi è dimostrabile anche il contrario.

La prima cosa da fare in questo caso è quella di analizzare i ruoli degli allenatori. Per noi europei abituati al metodo calcistico, di un solo allenatore, riversatosi poi anche in altri sport di squadra come il nostro basket o il volley, rimane difficile da comprendere i ruoli dei vice, che in alcuni casi sono addirittura più importanti di quelli degli head coach.

Quando durante una partita di basket in Europa mettiamo gli occhi sulla panchina, generalmente i vice sono impegnati a fare gli scout, e altri compiti minori, gli stessi vice nella gran parte delle occasioni non sono altro che alcuni allenatori del settore giovanile.

Nell'NBA è diverso, ogni allenatore si avvale di alcuni collaboratori, il cui numero può variare da 3 a addirittura 6 come nel caso di Dallas attualmente. L'Head Coach spesso delega compiti tecnici fondamentali ai suoi vice, in quanto il suo ruolo prevede un impegno con la stampa quotidiano, una collaborazione stretta con il General Manager per le strategie di mercato, la gestione dei rapporti umani nello spogliatoio, cosa sempre di fondamentale importanza e altri compiti prioritari per lo sviluppo di una franchigia. In questo contesto ci sono vice allenatori i cui meriti spesso vengono considerati maggiori di quelli dell'head coach. Vediamo i casi più eclatanti.

1) Pete Carrill : ormai siamo alla nausea veramente, in ogni telecronaca NBA che si rispetti questo vice allenatore di Sacramento ce lo sentiamo ricordare una numero esagerato di volte. Il suo grande merito è quello di aver inventato e messo a punto l'ormai famigerata Princetown Offens (i cui principi tecnici sono spiegati in maniera eccellente in un recente articolo del nostro Edoardo Schettino reperibile all'URL http://www.playitusa.com/articolo.php?id=1540), in questo il suo aiuto ad un coach storicamente di buon livello, ma anche riconosciuto come un perdente nato, come Rick Adelman è risultato semplicemente fondamentale.

Oggi i Kings ancora a secco di titoli, sono riconosciuti come la squadra che gioca meglio nell'NBA, il miglior sistema offensivo della lega. Adelman rischia così quest' anno di sfatare il tabù dell'anello, ma capire se ha più meriti lui o Pete Carrill rimarrà  un enigma per lunghi anni. Di sicuro una vittoria dei Kings sarebbe quanto di più bello possano augurarsi gli amanti del basket a stelle e strisce, che vedrebbe trionfare una delle poche squadre offensive in una lega in cui ormai il credo universale è diventato subire un canestro in meno degli altri.

2) Indiana Pacers 2000 : nel 2000 gli Indiana Pacers conquistarono di forza la finale NBA, distruggendo la concorrenza ad est con un gran bel gioco su entrambi i lati del campo. L'allora coach dei Pacers non è altro che il Genaral Manager di oggi, ossia Larry Bird, uomo che qualcosina di basket ci capisce. Bird si rese conto che alla sua prima esperienza su una panchina NBA aveva bisogno assolutamente di collaboratori di valore, che in alcuni casi gli insegnassero addirittura il mestiere.

I due vice allenatori di fiducia di Larry durante il triennio di panchina non erano altro che Rick Carlisle attuale allenatore degli stessi Pacers, per quanto riguarda l'attacco e Dick Harter per la difesa, Harter conosciuto universalmente come il miglior allenatore difensivo della lega. Bird così riuscì più da organizzatore che da allenatore a Portare i Pacers in finale, dove misero in difficoltà  non poco i Lakers del miglior Shaq mai visto.

Alla fine di quell'avventura Larry dichiarò che i meriti andavano divisi equamente tra tutto lo staff tecnico e tutti i giocatori, e mai nella vita una cosa poteva essere più vera, perché Reggie Miller e soci da tempo giocavano ad alti livelli, ma gli mancava sempre qualcosa anche quando in panchina c'era Larry Brown, Bird riuscì a trovare la formula giusta del cocktail, e solo uno Shaq mostruoso impedì la conquista dell'anello.

I meriti di quella organizzazione furono poi riscontrati quando l'anno dopo Isiah Thomas fu messo in panchina, Carlisle e Harter andarono altrove, e i Pacers per tre anni con il roster nettamente migliore dell'est hanno fatto collezione di delusioni.

3) Dick Harter : abbiamo citato sopra Dick Harter, ma non è che Dick Harter fu scoperto da Bird, Harter era il defensive coach dei Knicks di Pat Riley che all'inizio degli anni '90 si giocavano il titolo con Jordan e Jackson. La forza di quei Knicks terribilmente poveri di talento era la difesa durissima, e con il solo Ewing si inventarono dal nulla gente che gettava il cuore in campo come Anthony Mason, John Starks, Xavier McDanier, Charles Oakley.

Lo stesso Harter che è stato vice di Jim O'Brien a Boston è stato il vero motivo per cui una franchigia come Boston reduce da un decennio di disastri sia al draft che sul mercato (dove non ne hanno prese nemmeno una, a parte la scelta di Pierce nel draft del 98 al n° 10, dove probabilmente le colpe le avevano i 9 GM che scelsero prima di Boston) è riuscita ad andare nelle ultime due stagioni una volta in finale di conference e un'altra in semifinale, con un roster che a parte Pierce e Walker era desolante. Harter ha lavorato sulla difesa, costruendo un castello intorno a Walker che di difesa non ne sapeva nulla, per proteggerlo, al punto che lo stesso Walker non era più un problema.

I successi di questi Celtics dunque vanno equamente divisi tra Harter e Pierce, che in attacco salvava la baracca, in mezzo a tutto ciò ci sarebbe stato fino a pochi giorni fa però l'head coach dei Celtics Jim O'Brien, i cui meriti e demeriti sono difficili da individuare.

4) Tex Winter : se Pete Carrill è stato i mago del gioco fondato sul movimento, Tex Winter può senz'altro essere definito il mago del gioco da fermo. Winter è ormai l'assistente storico di Phil Jackson, nove i titoli conquistati insieme, con lo schema del famigerato triangolo. Jackson lo ha sempre cavalcato, nonostante le grandi star che allenato (Jordan, Shaq e Kobe) probabilmente avrebbero reso statisticamente meglio in sistemi offensivi differenti.

Il triangolo di Winter però a diversi vantaggi, è sostanzialmente un attacco più statico e meno dispendioso di energie, cosa che nell'ultimo quarto fa sempre comodo, è un attacco che sostanzialmente può fare a meno di un regista puro, (se poi c'è Payton tanto meglio), è un attacco i cui esterni possono essere totalmente intercambiabili, stesso discorso per i due lunghi in posizione di post basso, insomma è un tipo di attacco che si può adattare bene anche a giocatori di più basso livello, come fu abbondantemente dimostrato in gara 6 della finale 92, quando i Bulls all'inizio del quarto periodo sotto di 15 rimontarono Portland con un quintetto di riserve con BJ Armstrong, Bobby Hansen, Scott Williams e Livingston con il titolare Pippen, con Jordan in panchina ad esultare e agitare l'asciugamano, con Paxons Cartwright e Horace Grant accanto.

Il vero segreto di quella rimonta fu la perfetta applicazione del triangolo, che se eseguito correttamente, di fatto impedisce totalmente alla squadra avversaria di andare in contropiede in caso di tiro sbagliato.

Ma non è tutto perché in campo non ci vanno ne gli Head Coach nei i loro vice, ma bensì i giocatori, e quindi ogni valutazione fatta su un coach deve essere fatta relativamente al materiale umano che allena e mette in campo. E in questo campo le valutazioni diventano ancor più complicate.

Il primo caso da analizzare è senza dubbio quello di Tim Floyd attuale allenatore dei New Orleans Hornets. Floyd fece il suo ingresso nell'NBA nella stagione 1998-98, quella del lock out, la prima ai Bulls senza Jordan. tre stagioni praticamente fatte di sole sconfitte, tanti giovani da crescere che a parte Elton Brand non sono mai maturati ed un'inevitabile etichetta di allenatore non all'altezza che gli si appiccica addosso.

Poi la sorpresa, la scorsa estate New Horleans silura il suo coach storico Paul Silas e lo nomina tra lo stupore generale nuovo coach. I commenti si sprecano per tutta l'estate, poi però a novembre le cose prendono la piega opposta perché Floyd si ritrova il miglior Baron Davis di sempre, e gli Hornets pur privi del loro miglior realizzatore Jamal Mashburn volano in alto nella Eastern Conference, si comicia a sentir dire che Floyd allena tecnicamente la squadra molto meglio di Silas, che Silas era un buon allenatore solo perché era bravo a non far discutere tra se i giocatori e via via.

Ma allora il vero Floyd qual'è quello dei Bulls o quello di New Orleans? Semplice è il solito, solo che ai Bulls ha trovato il nulla, cioè giovani smaniosi di farsi vedere e basta, agli Hornets ha trovato un lavoro già  ben impostato ed è stato bravissimo a completarlo. Ma rimane il fatto che tra avere in squadra un All Star come Davis al meglio della condizione e tanti giocatori appena arrivati nella lega fa tutta la differenza del mondo.

Qualcosa di diametralmente opposto all'esplosione di Floyd, ossia il fatto che tanto talento può anche non dare i frutti sperati per palesi colpe dello staff tecnico e dirigenziale però è avvenuto ai Los Angeles Clippers, dove quest'anno con l'arrivo di Mike Dunleavy si vede un gioco molto migliore, un approccio di difesa ancora da sviluppare, ma perlomeno c'è, un record ancora non da playoff ma sicuramente migliore, il tutto a fronte di una squadra che ha perso un play come Andre Miller, un talento come Odom e un'eterna promessa mai mantenuta come Olowokandi e scusate se è poco.

Viene dunque da chiedersi cosa sarebbero stati i Clippers lo scorso anno con Dunleavy in panchina una potenziale supersquadra?

Ma le cose però non sono così semplici, prendiamo per esempio i due allenatori dei due migliori giocatori di oggi nell'NBA ossia Tim Duncan e Kevin Garnett. Greg Popovich allenatore dei campioni del mondo San Antonio Spurs, è spesso sotto l'occhio del ciclone per il gioco degli Spurs non bellissimo da vedere, ma redditizio come pochi, invece Flip Saunders allenatore dei Minnesota TWolves è considerato uno dei migliori della lega su entrambi i lati del campo, allora dov'è la differenza, dando per scontato che le differenze tra Garnett e Duncan sono poche è spesso impercettibili?

Perché comunque una differenza ci deve essere se gli Spurs hanno vinto due titoli e Minnesota è al momento a quota sette eliminazioni consecutive al primo turno.

Il terzo fattore fondamentale da analizzare è il rapporto tra l'Head Coach e il suo diretto superiore ossia il General Manager. Mi sembra evidente che tra i due ci deve essere una perfetta sintonia di vedute sulle strategie di mercato e su come costruire una squadra. Anche qui ci sono esempi sia in senso positivo che in senso negativo.

Greg Popovich attuale allenatore dei campioni del mondo è stato anche General Manager degli stessi Spurs, adesso che siede in panchina ha un rapporto di idee praticamente identico e diretto al General Manager attuale degli Spurs, i risultati sono che il signor Popovich ha in squadra solo giocatori che lui ha scelto, e che Buford gli ha messo poi ha disposizione. Differenti le situazioni invece di due allenatori come Doc Rivers (esonerato dai Magic) e Jim O'Brien (dimessosi dai Celtics).

Doc Rivers è entrato nell'NBA con il botto alla sua prima stagione ha vinto subito il titolo di coach of the Year portando la famosa “sporca dozzina”, una squadra formata da comprimari praticamente tutti in scadenza, che giocava sputando sangue tutte le gare, il record fu di 41-41, poi l'estate seguente arrivarono Hill e McGrady, ma qualcuno mugugnò per il mancato arrivo di Duncan che nel frattempo aveva firmato un triennale con i suoi Spurs.

A quel punto John Gabriel GM dei Magic, lasciò capire al mondo che Duncan sarebbe arrivato nel 2003, svendendo una marea di giocatori che con McGrady sarebbero bastati e avanzati per vincere l'est (Ben Wallace, Bo Outlaws, Matt Harpring, Corey Magette, Keon Clark, Brendan Haywood, Mike Miller), in più per cedere Bo Outlaws ai Suns ci aggiunsero una prima scelta al draft 2002, diventata Amare Stoudemire, poi al draft fatta eccezione per Miller, non ne hanno azzeccata una.

Doc Rivers, dunque per anni ha assistito abbastanza passivo a tutto ciò, salvo per la decisione di cedere Darrell Armstrong questa estate (pessima idea anche questa). Alla fine i Magic a forza di cedere e svendere in questa stagione sono crollati, complice anche un mese e mezzo in cui TMac non è stato fenomenale, ma un pò più normale, Rivers è stato cacciato come se tutte le colpe siano (infortunio di Grant Hill compreso) siano state solo sue.

In seguito Rivers ha dichiarato che inseguire il sogno Duncan era un illusione e si sapeva e che lui era per rinforzare quel nucleo senza pensare ai problemi salariali, purtroppo per lui il suo GM aveva idee diverse.

Qualcosa di simile è accaduto a Boston dove Jim O'Brien aveva avuto l'immenso merito di portare una squadra che con Rick Pitino non andava da nessuna parte, in finale di conference, poi lo scorso giugno arriva il nuovo General Manager Danny Ainge, che gli estende subito il contratto, ma Ainge non condivide il suo credo tecnico, e in quattro scambi gli rivoluziona la squadra, la cui forza prima era la difesa, prendendo una serie di giocatori per lo più giovani, dal dubbio potenziale, che di sicuro non saranno mai grandi difensori. Alla fine O'Brien si dimette e due anni eccellenti di gioco e risultati, vengono gettati solo perché non c'era dialogo tra chi costruisce la squadra e chi la mette in campo.

La verità  è che il basket soprattutto nella NBA è uno sport di squadra, nel vero senso della parola, ossia che una squadra ha bisogno in ugual misura di una moltitudine di componenti in cui l'apporto del coach è una parte importante ma non fondamentale, insomma un pessimo coach non farà  mai vincere una squadra da titolo, ma un ottimo coach non farà  mai vincere un titolo ad una squadra scarsa di talento.

Il risultato è questo continuo waltzer di coach che vanno e vengono, che si prendono tante colpe ma anche tanti milioni di dollari per sopportarle, salvo poi per ritornare al discorso iniziale su Scott, essere cacciato da una squadra che hai portato due volte in finale senza sapere se sei un coach vero, o un burattino in balia del tuo miglior giocatore che ti odia e del tuo assistente di fiducia che ti vuole fare le scarpe.

Il tutto però ha secondo me la famosa eccezione che conferma la regola ossia Phil Jackson. Si perché che Magic e i Lakers dello Show Time anni 80 i titoli li avrebbero vinti, magari meno, stesso discorso per i Celtic di Bird, il cui coach non è certo passato alla storia, e io credo che nella sua immensa superiorità  Michael un titolo alla fine lo avrebbe vinto con qualsiasi coach, la bravura però di Phil Jackson è stata quella di sfruttare al massimo l'unico giocatore di uno sport di squadra (di ogni sport) in grado di vincere da solo, per portarlo addirittura a vincere sei anelli.

Jordan avrebbe vinto comunque il titolo, ma con Jackson è nata la dinastia. Ma i meriti di Phil Jackson secondo me sono venuti fuori alla grande ai Lakers, dove è sempre riuscito a controllare uno spogliatoio zeppo di primedonne, valorizzare al massimo un roster nettamente inferiore a quello di due anni prima del suo arrivo quando il solo quintetto diceva Van Exel Bryant, Eddie Jones, Elden Campell e Shaq, con Horry e Fisher e Fox in panchina, arrivando a tre titoli che non sono diventati quattro solo perché il destino ha voluto che un tiro che Horry non ha mai sbagliato ad occhi chiusi abbia fatto il giro del ferro e poi sia uscito.

Ma a differenza di Jordan e dei Bulls, non sono sicuro che i Lakers di Shaq e Kobe senza di lui sarebbero diventati campioni del mondo, perché gli equilibri in cui si regge il loro spogliatoio è fragile come il cristallo, e la concorrenza con il passare degli anni si è fatta clamorosa. La sua ultima impresa sarà  quella di mettere insieme quattro futuri Hall of Fame, ma non credo che ci siano dubbi sul risultato.

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