Quante ombre su Bryant, pochi mesi fa l'atleta modello per eccellenza della NBA…
Tra le tante perle del rock'n roll per cui siamo debitori ad Iggy Pop, ce n'è una che dice «We're the undefeated, we really got it made»: siamo gli invitti, siamo quelli che ce l'hanno fatta per davvero.
Dubito che un sofferto melange di estrazione borghese, infanzia trascorsa all'estero e intimo desiderio di essere in realtà un brotha, un fratello del ghetto, come Kobe Bryant, abbia mai spartito qualcosa con Iggy Pop, ma dev'essersi sentito spesso così: invincibile. Una sorta di untouchable, un uomo che non può essere avvicinato dalla sconfitta, in nessun campo della vita.
D'altra parte, se hai 25 anni e 3 anelli al dito, nonostante abbiano provato a fermarti in tutti i modi, col pressing dalla rimessa (i 76ers) e con le polpette avariate (i Kings), pungolando il tuo ego con le relazioni pericolose che intrattieni con O'Neal (praticamente tutti) o presentandosi in casa tua a +15 all'inizio del quarto periodo (Portland), sentirsi un untouchable è il minimo.
Chi dice che non sei il più forte giocatore del mondo può citare un caraibico che fa l'ala forte in Texas, uno che ti somiglia e segna 30 punti a partita con gli occhi semichiusi in Florida, o una montagna nera che veste la tua stessa maglia, ma nessuno può affermare con certezza che siano davvero più forti di te.
Se poi ti trovi a mediare tutto questo attraverso l'ego, smisurato, ti porti dentro, il mondo al 1 gennaio 2003 doveva sembrarti un vestito cucito su misura.
Resta il fatto che quando il destino decide che i tempi sono maturi per un cambio di sceneggiatura, possono bastare dodici mesi per cancellare venticinque anni, che poi tu sia una star Nba al destino frega poco.
Per la nuda cronaca: Kobe Bryant esce dai playoffs in anticipo dopo 3 anni da cavaliere senza macchia, assaggia per due volte i ferri del chirurgo, viene a sapere dalla stampa che Shaq O'Neal non è più così sicuro di andare a fare Poncharello e lasciargli la squadra in mano, e dulcis in fundo, perché il destino quando decide di darci dentro col pennello usa sempre quello grande, finisce anche sotto processo per stupro.
Ce ne sarebbe a sufficienza per farsi frate trappista e tagliare i ponti col mondo, altro che invincibile, ma dal suo ricco cilindro, il 2003 tira fuori un ultimo coniglio: tale Lebron James, che gioca come Kobe non ha mai fatto a 18 anni, si frega i suoi sponsor, fisicamente è sanissimo e ha ottimi rapporti con la legge. Ah, per strada si gira quando lo chiamano «Il predestinato».
Se poi Bryant ha mai pensato che la sfiga dovesse finire con l'anno nuovo, lussarsi una spalla fintando Kedrick Brown pochi giorni dopo capodanno dovrebbe avergli fatto cambiare definitivamente idea.
2003 atto primo: ancora invincibile.
Da gennaio ad aprile il delirio d'onnipotenza avanza. Già reduce da due mesi di regular season da MVP, Bryant sale addirittura di colpi con l'anno nuovo: c'è qualcosa di irreale nelle cose che mostra in giro per i parquet della Lega.
Il 7 gennaio allo Staples scendono i Sonics, che tornano a casa solo dopo aver assistito a 45 punti di Kobe, frutto tra l'altro di un inspiegabile 12/18 da tre, comprese nove bombe consecutive. Il 19 gennaio Bryant fa qualcosa di umano: diventa padre, nasce infatti la piccola Natalia, figlia di Kobe e di Vanessa Lane. Pare che qualcuno, finalmente, l'abbia visto nervoso.
L'All-Star-Weekend, ad Atlanta, giace nel bel mezzo di una striscia strepitosa, in cui Kobe segna almeno 35 punti per tredici partite in fila, e nove volte tocca quota 40, eguagliando Michael Jordan. È lui a trascinare i Lakers alla rincorsa per acciuffare la post-season: Shaq dice quello che non avrebbe mai pensato di arrivare a dire: “Bryant trascina la squadra, sta trascinando pure me“.
Ad Atlanta, il numero 8 sta abbastanza sul cheto, lasciando il palcoscenico a Garnett, TMac, e all'ultima recita, con gli effetti speciali, di MJ. Il guaio è che non riesce ad esimersi dall'essere decisivo, anche quando non vuole: dopo il canestrissimo di Mike in faccia a Shawn Marion, che doveva essere quello della vittoria dell'est e dell'immortalità per Jordan, Jermaine O'Neal non trova di meglio da fare che schiaffeggiare la mano di Kobe mentre questi tira da 3 per la vittoria.
Kobe fa 2/3 e manda lo spettacolo al prolungamento, senza mai alzare particolarmente la voce. Chiuderà con 22 punti, buoni per toccare i 21 di media in 5 partecipazioni alla partita delle stelle: ovviamente la media più alta di sempre.
Atlanta, l'abbiamo detto, è una parentesi, il figlio di Jellybean è in missione, non c'è modo di limitarlo: quello che fa tra febbraio e marzo è credibile solo perché la TV è un testimone attendibile, altrimenti verrebbe trattato con la diffidenza di una schiacciata di Fly Williams al campetto.
51 ai Nuggets il 12 febbraio, 52 il 18 ai Rockets, 55 (in 41 minuti) un mese più tardi in faccia a MJ e ai suoi Wizards.
2003 atto secondo: la sconfitta sul campo
I campioni del mondo riescono, condotti per mano dal loro numero 8, a salire sul carrozzone dei playoffs, dove al primo turno mandano a casa i TWolves in 6 partite, dopo esser stati sotto 2-1. Inutile dire che i 31,8 punti, 5,2 rimbalzi e 6,7 assist di KB hanno aiutato la causa.
L'invincibilità finisce al cospetto degli Spurs: bastavano un paio delle solite triple di Horry per portare a casa anche questa, di serie, ma stavolta i Lakers non ce la fanno, e troppe colpe a Bryant non sarebbe il caso di imputarle, visto che finisce ancora a 31,5 di media.
Si svuotano gli armadietti e si torna a casa, Kobe Bryant non ha solo i numeri di un MVP, parla anche come tale: “Abbiamo bisogno di diventare più atletici, le nostre avversarie si sono adeguate per farci cadere, adesso è il nostro turno di cambiare pelle. Per tutta l'estate sarò in contatto con Shaq, magari andrò a trovarlo a Orlando, ci vedremo a New York (uno sta a L.A., l'altro in Florida, voi dove vi vedreste per far due chiacchiere, dietro l'angolo, no? N.D.R), mi farò sentire, come farò con tutti gli altri“.
Bryant torna da Vanessa e da Natalia, nella sua magione di Newport Beach, enclave bene di L.A.: ancora non sa che il destino gli ha dato appuntamento sul lato sbagliato della strada.
2003 atto terzo: giochi pericolosi
In realtà nel plot scritto per KB, in estate era prevista la partecipazione al Preolimpico con la nazionale stars and stripes. Senonché, dalla serie contro Minnie, Bryant si trascina un problema alla spalla che richiede addirittura l'intervento del chirurgo: in giugno Kobe si fa operare l'arto malmesso a New York.
Fin qui si va di concerto coi Lakers, d'ora in avanti è farina del sacco di Bryant, che agisce in proprio senza avvertire la società , che di suo non gradisce troppo.
Il marito di Vanessa ritiene che quello che fa al caso è una bella ripulitina al ginocchio, in artroscopia, magari dal Professor Richard Steadman, clamoroso luminare e titolare di una clinica specializzata a Vail, in Colorado, amena località dove se non vai per sciare vai perché ti sei fottuto un ginocchio (magari sciando), altrimenti vuol dire che a Vail ci vivi.
Anzitutto i fatti, quelli pienamente accertati.
Kobe arriva in Colorado nella serata del 30 giugno, e alloggia al Lodge and Spa at Cordillera Hotel di Edwards, poco lontano da Vail, dove il giorno successivo l'attende il bisturi di Steadman. Flirta clamorosamente, ricambiato, con la ragazza della reception, una diciannovenne studentessa della Northern Colorado University.
La ragazza accetta l'invito della star dei Lakers e si reca nella sua camera. Dal flirt si passa rapidamente ai fatti: i due consumano un rapporto sessuale, consensuale per Kobe, assolutamente forzato per la studentessa.
La ragazza scende alla reception intorno alla mezzanotte, visibilmente sconvolta, e il mattino successivo, mentre Kobe si offre alle grinfie di Steadman, si reca a denunciare l'accaduto allo sceriffo della Contea di Eagle, Joseph Hoyt.
Nei giorni successivi, Hoyt interroga Bryant sugli eventi della notte del 30 giugno, il giocatore dei Lakers effettua l'esame del DNA, ed il 3 luglio lo sceriffo ottiene dal PM della Contea il mandato d'arresto nei suoi confronti. Il 4 luglio, invece di festeggiare l'Independence Day, Kobe torna in Colorado e si reca nell'Ufficio dello Sceriffo, per costituirsi. Sbrigate le procedure, e mollati 25.000 verdoni di cauzione, Bryant se ne torna a L.A.
L'invincibilità è un ricordo, Superman ha stretto la mano alla criptonite.
2003 atto terzo, scena seconda: Guerra di credibilità .
La vicenda Bryant è diventata in un attimo una di quelle guerre di religione che l'America ben conosce per averne assaggiato gli squallidi contorni più d'una volta, valga O.J. Simpson per tutte. Kobe non è la prima celebrità dello sport americano che finisce a guardare negli occhi un giudice, è solo che è l'ultimo che si pensava potesse incappare in qualcosa di simile.
Inizialmente il materiale in mano all'accusa pareva essere decisamente solido, poi con il passare dei mesi l'impianto accusatorio si è in parte sgretolato, anche grazie all'aggressività di Pamela Mackey, principessa del foro di Denver e difensore di Kobe, o quantomeno sono venute a galla numerose incongruenze che favoriranno la difesa quando, presumibilmente nel giugno 2004, inizierà il processo vero e proprio.
Lo staff della Mackey si è dedicato da subito alla distruzione sistematica della reputazione della ragazza. Dapprima tirando fuori un recente tentativo di suicidio, poi una situazione di depressione generale che avrebbe, e sottolineiamo avrebbe, potuto renderla capace di inventarsi di sana pianta la storia dello stupro.
Quisquilie, giusto per acclimatarsi, poi il dream-team che difende Bryant ha cominciato a far sul serio, sezionando la notte di Eagle come fosse una cavia da laboratorio. Anzitutto la ragazza, la cui simpatia spontanea per Kobe è provata da testimoni, avrebbe disposto le camere del seguito di Bryant (le bodyguards) sufficientemente lontane da quelle del campione da generare qualche sospetto sulle sue intenzioni.
Poi ha accettato di salire in camera di Kobe senza farsi vedere, di nascosto. Ancora: è venuto fuori che durante il primo incontro con lo sceriffo, ella non ha chiesto subito a Bryant di fermarsi quando la situazione stava degenerando, e solo in seguito ha ritrattato questa affermazione.
Addirittura, sembra che Bryant abbia interrotto l'atto non appena richiesto in tal senso. Le visite mediche hanno portato nuova acqua al mulino della difesa: la studentessa non presentava segni di violenza e il sangue presente nei suoi slip era decisamente poco, e inoltre è stato accertato che la ragazza ha avuto rapporti con due, forse tre persone diverse nei 3 giorni antecedenti l'arrivo del giocatore all'hotel.
Sono crepe, incrinature nel castello accusatorio, e la Mackey ci si è gettata a pesce, scandagliando a fondo la vita della presunta vittima, anche se niente di quanto detto, scritto o scoperto, esclude la possibilità che lo stupro ci sia stato per davvero.
Lasciamo perdere i particolari, che son squallidi e alla fine di basket dobbiamo parlare, e chiudiamo ancora con i fatti, quelli incontestabili.
Nell'udienza preliminare il Giudice Frederick Gannett ha stabilito che gli elementi raccolti dall'accusa sono sufficienti perché si tenga il processo vero e proprio, che probabilmente non comincerà prima di giugno.
Fino ad allora Bryant continuerà a vestire i panni lussuosi della star Nba e quelli scomodi dell'imputato.
2003 atto quarto: piove sempre sul bagnato.
Un evento del genere ha sicuramente tracciato solchi pesanti nel cuore del Bryant privato: il Bryant uomo, marito e padre. Quel che è certo è che è arrivato accompagnato: non c'è settore dell'esistenza di KB in cui le azioni non siano state sospese per eccesso di ribasso.
Partiamo dall'extra-basket. Sponsor: scade il contratto con la Nutella, che non manifesta propositi di rinnovo, la Nike congela la produzione delle nuove scarpe della linea Bryant date in uscita per febbraio, la Sprite cambia uomo immagine, e utilizza per i suoi spot televisivi Lebron James.
L'appeal di Bryant nei confronti delle aziende è ai minimi storici: Coca Cola, McDonald's e Upper Deck, i must della star che si rispetti, tacciono in attesa del processo.
Aspetto sportivo. I Lakers ridefiniscono il concetto di Dream Team, e mettendo Payton e Malone accanto a Shaq si rendono in qualche modo immuni dalla vicenda Bryant, e capaci di dominare a prescindere dal suo contributo.
Assolutamente indesiderata, riesplode la faida Bryant – O'Neal. Parole come mattoni: se non si amano adesso questi due non si ameranno mai.
In sintesi, O'Neal: “I Lakers sono la mia squadra, lo sono sempre stati. Bryant è fuori forma, deve rimettersi a posto poi potrà tornare sul parquet“. Bryant: “Io so come si gioca guardia, Shaq pensi a come si gioca in post basso“. O'Neal: “é vero, Kobe sa come si gioca guardia, ma non come si gioca di squadra. Questa è la mia squadra, e dico quello che penso. Io resto qua, se non gli va bene può uscire dal contratto e andarsene“. Kobe: “Se questa è la sua squadra non deve più presentarsi al Camp fuori forma, se io deciderò di lasciare i Lakers, sarà per colpa del suo infantile egoismo“.
O'Neal passa dalle parole ai fatti e sale a casa Buss a chiedere l'estensione contrattuale. Difficile gliela concedano alle cifre jordanesche (30 milioni a stagione) che chiede, ma è certo che il mondo perfetto che aveva in mente Bryant: Shaq entra nel LAPD (Los Angeles Police Department) = questa squadra finalmente diventa mia, svanisce del tutto.
Nel frattempo i Lakers, o meglio i Fab Four più Devean George, iniziano anche a giocare. L.A. esce dai blocchi 18-3, ma fuori dal campo Kobe è più isolato che mai, e dentro va su e giù come il Nasdaq. Segna 22 di media di puro talento, ma non è al massimo della forma fisica né tantomeno mentale.
Nella partita di Denver lo fischiano di brutto, e sono i primi fischi che Bryant sente per davvero in vita sua. La squadra comincia a balbettare, e nel giro di un mese dei Fab Four di arruolabile rimane solo Payton. Alzano bandiera bianca in dicembre il ginocchio di Malone e il polpaccio di O'Neal.
Dodici giorni dentro l'anno nuovo, e la ruota della sfiga conferma che il numero 8 è ancora di gradimento. Un banale Lakers – Cavs, Kobe che finta Kedrick Brown, e rimane vittima della qualità della sua stessa finta, perché l'esterno dei Cavs gli ricade in groppa e la spalla del figlio di JellyBean salta prontamente.
Kobe prova a rientrare, ma a Jackson basta vedergli tirare un piccione di sinistro per indicargli la via degli spogliatoi, settore stanza dei raggi-x. Responso pesante, almeno tre settimane di stop, ancora bisturi, e luce in fondo al tunnel ancora non in vista.
Sipario, per ora.
Il futuro dei Lakers al momento è indecifrabile. Orfani della triade O'Neal-Bryant-Malone, i lacustri sono nelle mani di Payton e Medvedenko, e ovviamente stanno perdendo colpi nella Western. Il record dice 25-15, ma solo con la squadra al completo si potrà capire qualcosa di più, e come al solito saranno i playoffs a dire tutta la verità e solo la verità .
Per quanto riguarda Kobe il futuro è un'equazione con troppe variabili. Per quello che riguarda l'ambito cestistico, i Fab Four potrebbero anche vincere il titolo, ma nessuno sa cosa succederà dopo. Bryant ha scelto di esercitare l'opzione prevista nel suo contratto e diventare Free-Agent.
Il desiderio di testare per la prima volta il suo valore nelle acque agitate del libero mercato sarebbe legittimo, ma l'evento si incastra inevitabilmente con il procedimento giudiziario a suo carico e con le storie tese che lo legano a Shaq.
Bryant resterà a Los Angeles, condannandosi al cono d'ombra che il Big Aristotele proietterà inevitabilmente intorno a se? Oppure andrà altrove, per mostrare al mondo che è in grado di vincere da solo? I rumors sono troppi per considerarli tutti degni di fede: tecnicamente potrebbero pagarlo i Clippers, i Suns e i Jazz, ma i nomi che ballano non sono solo questi.
La sensazione è che la scelta non sarà affidata ai soli valori tecnici, e che potrebbero esserci delle sorprese. Come se il 2003 appena spirato non ne avesse portate in dote abbastanza.
James Ellroy una volta ha scritto: “Los Angeles è la città in cui arrivi spregiudicato e riparti pregiudicato“. La prima parte calza a pennello per l'ex stella della Lower Merion High di Philadelphia, per la seconda siamo in attesa degli eventi.
Kobe potrebbe partire e potrebbe restare, potrebbe vivere da uomo libero o vedere il sole a scacchi, perdendo la parte centrale della propria carriera, come successo (per motivi opposti, sia ben chiaro) a Tyson e a Mohammed Alì, ma è troppo presto per saperlo.
L'unica certezza è che Bryant non è più un untouchable: la perfezione è invisa a tutti gli dei, non solo a quelli del basket. Se ancora non lo sapeva, di indizi adesso ne ha a sufficienza per cominciare a crederci.