Il meglio e il peggio dell’NBA

He got game. C'è ancora qualcuno che ne dubita?

PROMOSSI

Ray Allen
“Jesus” è arrivato a salvare i Sonics. Da quando è rientrato nell'ultima settimana di Dicembre, “Ray of Light” Allen ha garantito ai suoi un record di 7W e 3L, nonostante un calendario obiettivamente arduo: tutte e 10 le gare sono state contro avversarie dell'Ovest, tra cui Wolves, Rockets, Lakers e due volte i Kings. In particolare nelle ultime due settimane viaggia sopra i 25 punti, 5 assists e 5 rimbalzi di media.

Particolarmente notevoli due delle sue prestazioni: contro i Lakers ha messo 35 punti, ma soprattutto ha segnato gli ultimi 5 dei Sonics con due grandi canestri, che hanno permesso ai suoi di superare di due punti i gialloviola;
contro i Blazers, dopo che i Sonics erano stati sotto anche di 23 durante la gara, ha segnato gli ultimi 11 punti della sua squadra mandando la partita all'overtime, durante il quale ha rincarato la dose aggiungendone altri 7 per un totale di 42 alla sirena finale, per un altra importante W di Seattle.

Non male per una delle stelle più sottovalutate della lega, un giocatore da cui è lecito attendersi una soffocante costanza di rendimento piuttosto che giocate spettacolari da “Top Ten”, un anti-personaggio che fuori dal campo non fa praticamente mai parlare di se', e sicuramente non si distingue per dichiarazioni bellicose o “sboronesche”.

Nonostante il momento più che positivo suo e della sua squadra, insiste nel chiedere di non essere etichettato come il salvatore della patria… ma quando sei una superstar NBA, trascini i tuoi compagni ad inusitate vittorie e ormai il nome “Jesus” ti si attaglia come una seconda pelle, e non solo in virtu' del personaggio che hai recitato, il minimo che si possa fare è attendere con ansia il prossimo miracolo!

In Ray we trust, ed ora come ora la trade che lo ha portato nella città  della pioggia al posto dell'idolo di sempre Gary Payton sembra un clamoroso furto pro-Sonics.

Jamaal Tinsley
Dopo una strabiliante stagione d'esordio ed un deludente secondo anno (anche a causa di problemi fisici e della morte della madre), erano in molti a chiedersi quale Tinsley avremmo visto nella sua terza stagione; la risposta è stata piuttosto strabiliante: per settimane e settimane non lo abbiamo visto per niente!

Coach Carlisle non lo vedeva di buon occhio, c'è troppo playground newyorchese nel gioco di “The Abuser” per pretendere che due tipi come Carlisle e Larry Bird impazziscano per lui. L'ovvia conseguenza di questa situazione è stata una clamorosa retrocessione a dodicesimo uomo e terzo playmaker della squadra, dietro al vecchio Kenny Anderson ma anche al gregario Anthony Johnson.

Poi, all'improvviso, il Fato ci ha messo lo zampino: in un batter d'occhio sia Anderson che Johnson sono stati fermati da problemi fisici, e i Pacers hanno dovuto restituire le chiavi della squadra a Jamaal, quasi controvoglia. La sua risposta è stata decisa ed inconfutabile: 11.3ppg e 8.5 apg in poco più di 30', una inusitata capacità  di mandare il jumper a bersaglio (2/9 da tre nelle prime tre partite, da allora 12/24), e soprattutto 7W consecutive per una squadra che di colpo ha ritrovato fluidità  offensiva e facilità  nell'andare a canestro.

A questo punto che giudizio dobbiamo dare di tutta la vicenda? Geniale gestione delle proprie risorse umane da parte di Carlisle e Bird, che hanno volutamente fatto soffrire Jamaal per stuzzicare il suo amor proprio e tirare fuori il meglio di lui, oppure clamoroso colpo di fortuna caduto dal cielo in favore di chi non aveva alcuna intenzione di dare fiducia al proprio playmaker, e stava cercando di scambiarlo con mezza NBA?

Comunque stiano le cose, nessun giocatore del roster dei Pacers e pochissimi in tutta l'NBA hanno la sua capacità  di cambiare il ritmo della gara, leggere le difese, spingere il contropiede a tutta birra ed assicurare buoni tiri per tutti i compagni; ovviamente però per avere tanti minuti in una squadra di Carlisle c'è bisogno anche di qualcos'altro, soprattutto di tanta abnegazione in difesa, “fame” di vittoria, voglia di buttarsi su ogni palla vagante, e queste sono caratteristiche in cui il nostro non ha mai brillato.
Non ci vorrà  molto a capire se questo inizio di stagione inopinatamente in salita gli darà  la forza di fare il salto di qualità .

Bonzi Wells
E poi dicono che Jerry West non è più il geniaccio di una volta…
C'erano moltissimi dubbi sul fatto che la trade che ha portato Gavin DeAngelo nel Tennessee (che tecnicamente era un evidente quanto clamoroso furto) potesse realmente funzionare, a causa dei dubbi sull'attitudine del giocatore, sulle difficoltà  di inserirlo in un ambiente diametralmente opposto all'asylum di Portland, sui rapporti reciproci che si sarebbero instaurati fra un giovane swingman dal carattere insopportabile ed un autorevole vecchio signore che guida i Grizzlies dalla panca.

Dopo un mese e mezzo di esperimento, i riscontri sono inequivocabilente positivi.

Bonzi ai Blazers era partito titolare 10 volte su 12 e giocava 31' di media, ma era perennemente 'zzato come una bestia con coach e compagni per i minuti ed i tiri che gli venivano concessi, nonostante un attacco in cui ognuno fa un po' quel che gli pare.

Ai Grizzlies non è mai partito in quintetto in 19 gare, il suo minutaggio è sceso a 24' di media e gioca in una squadra in cui la disciplina e l'esecuzione sono tutto, tutti sono utili e nessuno è indispensabile (nessuno gioca più di 31' di media ma ben 9 giocatori ne giocano più di 20). Ma Bonzi è entusiasta di tutto ciò, il suo rendimento è nettamente aumentato (da 12 punti in 31 minuti a 14 in 24, da 38% dal campo e 12.5% da tre a 43% e 30%); sembra felice come una pasqua e non manca mai di dire meraviglie di West e Hubie Brown:

“Ero a terra, nel fango. Ma poi lui [West] mi ha chiamato, ed è stato come se qualcuno mi tirasse su per la maglietta e mi facesse rialzare. Ora sono in pace e mi sento ringiovanito, tutto il resto me lo sono lasciato alle spalle.
Quando coach Brown china il capo e non dice niente, puoi sentire una spilla cadere a terra, perchè nessuno nella palestra aprirà  bocca. Se coach Cheeks avesse provato a stare zitto e fermo senza dire niente, noi ci saremmo messi a giocare a football, urlare, scherzare e divertirci. E' tutta una questione di carisma e rispetto. Coach Brown è IL coach. Se vuole che io giochi partendo dalla panchina, io giocherò venendo dalla panchina, e porterò un po' di potenza di fuoco in attacco”.

Jason Richardson
Dopo un inizio promettente i Warriors sono ripiombati nel grigiore e nella mediocrità  con 8 sconfitte nelle ultime 9 partite. Praticamente l'unico elemento positivo è stato il rendimento di JRich: da quando è entrato nella lega sono tutti concordi nel dire che potrebbe essere un uomo da 20 a sera in questa lega, ma quel benedetto tiro che va e viene ed una certa qual ottusaggine nel comprendere appieno tutte le sfaccettature del gioco lo hanno cronicamente rallentato; in tutto il mese di Dicembre ha portato a casa il fatidico ventello solo quattro volte in quindici partite, con percentuali rivedibili.

Con l'anno nuovo ha cambiato registro, segnando almeno 20 punti in 5 partite su 6, con una media di 22 a gara impreziositi da 7 rimbalzi, facendosi notare come uno dei giocatori più “caldi” della lega.

Desmond Mason / Tony Kukoc
I Bucks, zitti zitti, hanno iniziato il 2004 con un secco 5-1 che gli permette di posizionarsi a sorpresa al quinto posto della Eastern Conference, anche grazie ad un calendario abbordabile. La stella della squadra resta il mai troppo incensato Michael Redd, l'unico a garantire una costanza di rendimento accettabile, ormai da collocare di diritto nell'elite dei go-to-guys. Ma in queste due settimane hanno brillato anche le stelle di due panchinari, due giocatori molto diversi, anzi diciamo pure opposti per caratteristiche fisiche, tecniche e caratteriali.

Desmond Mason nelle ultime due settimane viaggia a 17 punti e 4 rimbalzi in poco più di 25' di gioco, fornisce il solito, massiccio contributo di atletismo e attacca il canestro con rara efficacia: 22/22 dalla lunetta per lui nel mese di Gennaio.
Kukoc, perennemente afflitto da acciacchi di vario genere, ha scelto questo inizio di 2004 per scrollarsi di dosso un po' di ruggine e mostrare (nei pochi minuti di autonomia che gli rimangono) qualche lampo della sua classe infinita: ha viaggiato a 10 punti, 5 rimbalzi e 4 assists in 20 minuti di utilizzo medio, ma soprattutto ha fatto sanguinare i cuori di tutti gli appassionati di bel basket con una prestazione mostruosa contro i Miami Heat: 24 punti, 15 rimbalzi, 5 assists e 61% dal campo in soli 29 minuti; le medie sui 48 minuti fatele voi, che a me viene da ridere.

Larry Hughes
La continuità  non è mai stata il suo forte, ma quando ingrana non c'è n'è veramente per nessuno. Dopo un mese di Dicembre chiuso in gran spolvero (23 + 7 rimbalzi di media nelle ultime partite del mese) ha iniziato l'anno nuovo un po' in sordina, tirando un pessimo 10/38 complessivo dal campo nelle prime due partite e giocando solo 23 minuti nella terza. Poi però ha avuto un sussulto d'orgoglio, e nell'ultima settimana il suo rendimento è stato un crescendo rossiniano: nelle ultime 5 partite 21.4ppg, 5.2rpg, 2.2spg e chiusura in bellezza con 43 schiaffi in 43 minuti ai Sixers, ed ovvia W per i derelitti Wizards: si è trattato della più classica delle vendette dell'ex, contro la squadra che lo ha draftato con l'idea di trasformarlo nell'ideale complemento di Iverson in un attacco atomico, per poi scaricarlo con pochissimi rimpianti.

Quando questi talenti incompiuti giocano partite di questo genere è sempre difficile dire se è maggiore l'ammirazione per prestazioni del genere e la speranza (che ci volete fare, siamo degli inguaribili romantici) che la sua stagione possa essere ad una svolta, oppure la rabbia per tutto questo ben di Dio sprecato, e la consapevolezza che la prestazione in questione rimarrà  solo l'ennesima cattedrale nel deserto.

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RIMANDATI

Jamal Crawford
Nessuno ne mette in dubbio il talento, che è abbagliante. Quello che stupisce è invece la sua incredibile incostanza, il suo rendimento talmente discontinuo da sfociare quasi nella schizofrenia. Il livello del suo gioco si capovolge drasticamente e senza preavviso da una settimana all'altra, da una partita all'altra, da un quarto di gioco ad un altro; alcune volte sembra irresistibile ed intoccabile (ad esempio quando ne mette 42 con 6 assists, 4 rimbalzi, 4 steals, 2 stoppate, 5/7 da tre e 16/27 da due), altre volte sembra un bust clamoroso (tre sere prima della prestazione teste' citata il suo tabellino recitava 5 punti, 5 assists, 4 palle perse e 2/12 dal campo praticamente con gli stessi minuti) e ci si spiega molto meglio il perchè dei frequenti panchinamenti punitivi di coach Skiles.

Già , la panchina. Quando il grande vecchio Cartwright lo lasciava a marcire sul pino con il compagno di merende Jalen Rose, si parlava di frizioni fra lui e il coach, di incompatibilità  caratteriale, dell'influenza maligna dell'ineffabile Jaleno (ed in effetti un peggior maestro di etica NBA è difficile da scovare); però adesso non ci sono più nè Cartwright nè il cattivo esempio di Rose, ma la situazione è rimasta praticamente identica.

Coach Skiles, che inizialmente aveva reinserito subito Jamal nel quintetto iniziale, salvo poi avere un brusco ripensamento, non è assolutamente soddisfatto dell'atteggiamento di Crawford dal punto di vista mentale, e per quanto riguarda gli aspetti tecnici è sempre più preoccupato della scarsissima efficacia difensiva del suo #1.

Ovviamente si è subito riaccesa la ridda di voci su una eventuale cessione di Crawford, che resta un giocatore molto appetito da tutti i GM della lega ed oggi è cedibile più che mai; anche perchè il commento più benevolo uscito ultimamente nei suoi confronti dalla bocca di Skiles è stato “Jamal è un buon giocatore, ma le cose bisogna guadagnarsele”.

Yao Ming
Incredibile dictu, i Rockets hanno un problema, e per una volta quel problema non si chiama Francis o Mobley, ma Yao Ming.
“The Gentle Giant”, il giocatore destinato a dominare le aree pitturate NBA per il prossimo decennio, non riesce a scrollarsi di dosso il curioso handicap di essere troppo “gentle” in una lega in cui il fioretto è poco gradito, e ai grandi campioni si richiede di non pensare troppo al galateo e alla buona educazione, e andare giù pesante con la spada, anzi con lo spadone chilometrico tipo Aragorn.

Van Gundy non perde occasione di ripetere ossessivamente il suo mantra: Yao è troppo bello da vedere, troppo altruista, troppo vellutato nei suoi tocchi, troppo educato e filosofico nel suo approcio alla partita; gli manca quel “quid” di cattiveria agonistica ed egoismo che Van Gundy stesso definisce “mean streak”.

Il coach con le occhiaie più spaventose ad Ovest di Celentano vorrebbe vedere il suo centro far pesare agli avversari i suoi 140 chili, vorrebbe vedergli tentare schiacciate impossibili in faccia a due difensori, vorrebbe vedere i compagni lamentarsi perchè va dentro ad ogni azione e non la passa mai, vorrebbe vedere gli arbitri fischiare un flagrant foul dopo che il cinese ha spedito in curva i miseri resti di qualche slasher impudente.

Però non vede neppure un accenno di tutto questo, ed è ossessionato e torturato dall'avere a sua disposizione una Ferrari e vederla andare a cento all'ora: per tutta la stagione ha fatto il lavaggio del cervello a Francis, per costringerlo con le buone e con le cattive a far passare tutto il gioco per le mani del cinese (provocando tra l'altro una notevole crisi di identità  in “Stevie Wonder”, che di fare il playmaker puro non ha davvero nessunissima intenzione); Yao ha risposto con qualche miglioramento statistico di lieve entità , ma sostanzialmente si è dimostrato ancora incapace di lasciar perdere l'altruismo e i passaggi di tocco e decidersi a prendere un tiro al minuto e fare la voce grossa.

A questo punto Van Gundy ha cambiato strategia, ed è passato alla panca punitiva: dopo i primi due mesi in cui Yao ha viaggiato a 34 minuti di media, e solo due volte è sceso sotto i 30, con l'anno nuovo il suo minutaggio è stato decurtato di 10 minuti netti (non si è mai nemmeno avvicinato ai 30'); il punto più basso è stato toccato contro i Pistons, quando il coach dei Rockets ha preferito subire una durissima lezione dai Pistons (solo 66 punti segnati contro l'arcigna difesa di coach Brown) ma dare un segnale forte a Yao, che ha giocato solo 22 minuti con 4 punti e 5 rimbalzi, cifre che, per restare alle prime scelte assolute, eravamo abituati a riscontrare in Kwame Brown. Al termine della partita il commento di Van Gundy è stato lapidario “Ha giocato chi ritenevo che meritasse di giocare”, aprendo ufficialmente il “caso-Yao” a Houston.

Ovviamente “caso” in senso molto lato, perchè Yao, ben lungi dal dire qualcosa di anche solo vagamente interpretabile come una lamentela, si è limitato al suo solito, laconico “Il coach non è contento di me”.

Dov'è che si compra sto benedetto mean streak?

Ricky Davis – Chris Mihm
Coach O'Brien è stato estremamente cauto e diffidente nell'inserimento dei suoi due talentuosi neo-acquisti. Sia Mihm che Davis al loro arrivo a Boston erano su una lunghezza d'onda totalmente diversa da quella dei compagni per quanto riguarda attitudine, concentrazione e soprattutto intensità  difensiva.
Dopo alcune settimane di duro lavoro sembrava che si potesse iniziare a raccogliere qualche frutto: il minutaggio dei due è lentamente cresciuto fino ad arrivare al picco per entrambi nella gara con i Magic, in cui Mihm ha messo a referto 11 punti e 11 rimbalzi in 24 minuti e Davis 12 punti e 7 rimbalzi in 27 minuti.

E' stato però un fuoco di paglia, perchè nelle partite immediatamente seguenti il loro rendimento non è stato all'altezza, e i minuti sembrano destinati a scendere di nuovo.

Sembra preoccupante soprattutto la situazione di Ricky Davis, il cui talento sarebbe sufficiente a far diventare inarrestabile un backcourt con lui e Pierce contemporaneamente in campo, e invece non riesce nemmeno a scalzare Jiri Welsch. Col trasferimento da Cleveland a Boston sembra aver perso la pessima attitudine che lo ha portato ad inimicarsi numerosi allenatori, dirigenti e compagni nel corso degli anni, ma sembra al tempo stesso aver inspiegabilmente annacquato il suo talento e la sua aggressività  nell'andare a canestro ad ogni costo.

I tifosi dei Celtics ovviamente confidano nel fatto che tutto si possa ricondurre a delle comprensibili difficoltà  di ambientamento, ma questa squadra ha bisogno al più presto di un contributo da parte dei nuovi: i Celtics vivacchiano senza infamia e senza lode, riuscendo a mantenersi abbastanza a galla per non uscire dalla zona-playoffs, ma senza mai dare l'impressione di potersi scrollare di dosso le avversarie e instaurarsi stabilmente nelle zone alte della conference.

Kenny Thomas
Dopo una prima parte di stagione convincente, anche se discontinua, il suo minutaggio è calato drammaticamente, e questo ha provocato notevoli attriti con Randy Ayers e il concreto rischio di un suo trasferimento repentino in altri lidi. Il suo 2004 è iniziato in modo poco convincente (solo 3 volte su 6 sopra i 10 punti, dopo essere andato sempre in doppia cifra nelle 9 partite precedenti), ma un colloquio chiarificatore con il coach sembra avergli ridato fiducia: “Ora siamo di nuovo sulla stessa lunghezza d'onda” le sue parole dopo il colloquio suddetto; con una partita da 13 punti e 16 rimbalzi contro i Magic (che assieme agli Hawks sono una splendida panacea per i giocatori NBA in crisi di identità ) potrebbe essere iniziato il suo recupero.

Ritrovare il miglior Thomas non è una questione di poco conto per i Sixers, visto che è di gran lunga il miglior rimbalzista della squadra nonchè l'ottavo assoluto della lega, ed è il Sixer con la migliore percentuale dal campo fra quelli che giocano un numero congruo di minuti.

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BOCCIATI

Maurice Taylor
Jeff Van Gundy non chiede molto alle sue squadre e ai suoi giocatori: grinta, difesa, cattiveria, gioco ragionato e aggredire i tabelloni. A guardare il roster che gli è capitato a Houston sembra evidente un disegno divino per punirlo di qualche sua malefatta in altre vite, visto che di talento ce n'è tanto, ma è distribuito in modo diametralmente opposto rispetto a come piacerebbe a lui: il suo gioco ragionato a metà  campo è nelle mani del backcourt Francis-Mobley (ergo il minor QI cestistico complessivo di tutta la lega), il suo go-to-guy e giocatore franchigia è un cinesone dal talento esorbitante ma buono come il pane (vedi sopra), e il suo numero 4, il giocatore che dovrebbe spazzare via gli avversari come fuscelli e catturare caterve di rimbalzi… è Mo Taylor! Trattasi del peggior lungo rimbalzista di tutta la lega, fatto abbastanza palese guardandolo giocare anche per pochi minuti ma ulteriormente assodato dalle sue statistiche: 5.6 rimbalzi a partita (cifre da esterno, ed infatti ne piglia meno di Francis e Jim Jackson), in 30 partite solo due (DUE) volte in doppia cifra e in compenso ben 14 volte sotto ai 5.

D'altronde quando una squadra fa una trade per arrivare al vecchio “Spoon” Weatherspoon, e lo considera una importante addizione per conquistare qualche rimbalzo in più, la situazione non può che essere definita tragica.

Keyon Dooling
Negli anni scorsi il suo rendimento inferiore alle aspettative è sempre stato imputato ai numerosi infortuni, alla grande concorrenza interna, alla difficoltà  di fare il play in una squadra in cui non c'è un gioco corale e ognuno fa un po' quel che gli pare.

In questa stagione la malasorte l'ha lasciato in pace, Dunleavy ha dato se non proprio un gioco quantomeno una impostazione di base alla squadra, e la concorrenza nel suo ruolo è risibile (Jaric e Overton, roba da squadra mediocre di Eurolega)… ma sta giocando persino peggio! 4 punti e 2 assist di media in 16 minuti, quasi tutti di garbage time, ma soprattutto 37% dal campo e 18% da tre.

L'unico lampo di una stagione incolore è stata una clamorosa stoppata ai danni di Gary Payton nel finale del derby della città  degli angeli, che ha permesso ai Clips di portarsi a casa la partita. Una piccola dimostrazione di forza per un giocatore talentuoso ma che sembra ormai destinato ad uscire dal giro che conta.

Jason Terry
Nelle partite giocate a Gennaio ha 7 punti, 3 assists, 3 palle perse di media, 27% da due e 16% da tre, non c'è bisogno di grandi commenti. Dopo le critiche di Stotts sono arrivate quelle di alcuni assistenti allenatori, che dicono che il leader degli Hawks non gioca con impegno da settimane e settimane.

Lui, anzichè rimboccarsi le maniche e reagire in campo, fa l'offeso, il perseguitato, e incolpa del suo ridicolo rendimento l'influenza e la scarsa fiducia degli allenatori nei suoi confronti (un po' come il bambino che dice di andare male a scuola perchè i professori ce l'hanno con lui)… nella classifica degli eventi meno sorprendenti che possono succedere agli Hawks a breve termine, una eventuale trade di Terry in cambio di poco o nulla (diciamo una scelta al trentacinquesimo giro ed un piatto di ceci) sta rapidamente ricucendo il divario che la separa dalla numero uno della hit parade, ovvero il prevedibile esonero di Stotts non appena ci saranno delle certezze sul futuro assetto societario.

Los Angeles Lakers
Non più tardi di un mese ed una dozzina di partite fa gli ex campioni del mondo sembravano lanciatissimi verso una regular season in carrozza, ma in questo breve lasso di tempo tutto è cambiato; dal 12 Dicembre sono 5-8, un rendimento da squadra di bassa classifica nella Eastern Conference, e il brutto (o il bello, a seconda dei punti di vista) è che la situazione sembra aggravarsi di giorno in giorno.

Tutto è iniziato con l'infortunio di Malone, che si è rivelato imprescindibile nel nuovo corso gialloviola; senza di lui la squadra ha perso inesorabilmente smalto, e la situazione non appare rosea: il ginocchio non sta fornendo risposte postive, e si teme che i tempi di recupero si allunghino di un paio di settimane almeno, un tormento inenarrabile per uno che fino a quest'anno aveva in carriera più stagioni giocate che partite saltate per infortunio.

Ai guai fisici del Postino si è aggiunto l'ormai abituale infortunio di inizio stagione di Shaqzilla, la classica noia da quattro soldi che, com'è come non è, lo tiene lontano dal campo per una manciata di partite e gli permette di stare a casa ,registrare un paio di canzoni hip hop e sghignazzare guardando Kobe che si affanna a far vincere qualche partita ai Lakers orfani del #34: questa volta il problema riguarda il polpaccione, doveva essere roba di poche partite ma Shaq, contrito e addoloratissimo come non mai, ha detto che sente ancora male e bisognerà  attendere ancora qualche partita prima del suo ritorno.
Questa volta però c'è qualcosa di diverso rispetto agli altri anni, questa volta l'insofferenza nei confronti di questo suo atteggiamento da parte di dirigenza e tifosi è palpabile.

Questo anche perchè la situazione da tragicomica è diventata seria con l'infortunio a Kobe: nella partita con i Cavs, KB ha mandato al bar Kedrick Brown fintando il tiro da tre per poi andare su, ma l'ex Celtic ricadendo gli si è abbattuto sulla spalla destra, causandogli una lussazione; Bryant ha giocato comunque qualche minuto ancora, toccando il pallone solo di sinistro, per poi uscire inevitabilmente: la spalla in questione è la stessa che gli dava problemi l'anno scorso, e la cui operazione di quest'estate in Colorado ha dato origine al Kobe-Gate, e quindi la preoccupazione è d'obbligo.

Ricapitolando, il quintetto base dei gialloviola per le prossime partite potrebbe essere qualcosa tipo Payton-Russell-George-Medvedenko-Cook (anche Horace Grant rischia di essere indisponibile per problemi familiari), con i soli Fisher, Rush, Walton e Sampson disponibili dalla panca: una situazione che è più grave dei sogni peggiori dei tifosi gialloviola, un personale da 10W scarse in stagione.

Inoltre anche i Lakers al gran completo non avevano comunque fatto una gran figura in Dicembre; sotto processo la difesa, che era tornata quella inguardabile di inizio stagione: nelle ultime 12 partite contro avversarie della Western solo una volta gli avversari hanno segnato meno di 99 punti (che in una lega in cui la media-punti è sempre più bassa valgono come 130 o 140 di qualche anno fa).

A questo punto è necessario o che i panchinari facciano qualche miracolo (come i 26+11 di Medvedenko contro Atlanta), o che Shaq dimostri finalmente di essere un leader non solo dal punto di vista tecnico e tattico, ma soprattutto emotivo e dell'intensità .

Perchè va bene che la regular season alle squadre di Jackson notoriamente interessa poco, ma qua c'è poco da fare gli sboroni: ci sono forti probabilità  che questi Lakers decimati perdano definitivamente il treno delle prime tre squadre della Western, finendo invischiati a metà  classifica, perchè il calendario gli è nemico; le prossime 9 gare sono contro squadre del West (tra cui Kings, Wolves e Mavericks), e poi arriva un micidiale tour de force con 7 gare consecutive in trasferta (condite da 3 back-to-back) e più in generale 19 gare su 23 lontane dallo Staples.

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