Not the Red Baron

Baron Davis esegue il suo pezzo preferito: passaggio impossibile dopo penetrazione fulminea.

Quando ti chiami Baron Davis e sei sempre, tuo malgrado, al centro dell'attenzione è difficile cercare di lavorare serenamente, sia nel bene che nel male.

A maggior ragione dopo la scorsa "balorda" stagione iniziata con la debacle ai Mondiali di Indianapolis in cui proprio Davis venne additato (a causa del comportamento un tantino strafottente ed altezzoso) quale uno dei principali artefici della brutta figura rimediata dagli americani; continuata in modo "zoppicante" e mai convincente, alla ricerca di numeri e continuità  che sembravano svaniti e terminata con una eliminazione fulminea dai play-off senza riuscire mai a guidare i calabroni come avrebbe voluto e saputo fare.

In tanti hanno cercato di dare una spiegazione ad un'annata un po' così, ma molti hanno dimenticato di sottolineare come il Barone abbia giocato tutto l'anno con fastidi alla schiena rimediati proprio ai Mondiali che gli hanno impedito sia di approntare una preparazione mirata (che in una stagione lunga e dispendiosa come quella NBA è necessaria), sia di dare il massimo in campo sempre e comunque.

Fortunatamente agli Hornets i clamori estivi sono stati altri (su tutti la partenza di coach Silas e l'arrivo sul pino di Tim Floyd) e Davis ha potuto rimettersi in sesto tanto nel corpo, quanto nella mente, e prepararsi al meglio per la nuova stagione. Ha passato l'off-season nella sua Los Angeles, ha staccato la spina (e si è fatto una bella vacanza alle Hawaii), si è allenato col suo preparatore personale, è stato assieme alla famiglia ed agli amici (cosa importantissima per questo ragazzo molto legato alle sue radici ed alla sua "posse") e già  in settembre è stato avvistato, in braghe di tela, sui playground del campus di UCLA (sua alma-mater) insieme ad altri giocatori e vecchi compagni.

Il Barone che si è ripresentato a New Orleans verso la fine di settembre era un giocatore in piena forma e voglioso di riscattarsi dopo tante critiche e non ci ha messo molto a rimettere in riga tutti i suoi detrattori (moltiplicatisi dopo la parentesi in nazionale). Per gli Hornets la stagione è iniziata alla grande malgrado gli infortuni di Jamaal Mashburn (che dovrebbe rientrare) e Courtney Alexander (out fino a giugno) e molto lo si deve al regista californiano.

Baron è entrato subito in sintonia con coach Floyd ed il suo gioco ed ha iniziato alla grande venendo eletto come giocatore del mese di novembre ad Est (chiuso a 24.3 punti e 8.2 assist con un career-season di 37 punti realizzati ben due volte).

Proprio il rapporto col nuovo allenatore pare uno dei segreti dell'avvio sparato di Davis e compagni. Le relazioni con Silas erano buone, ma la dirigenza ha deciso che per compiere il decisivo salto di qualità  serviva un allenatore più tecnico e meno "psicologo". Il GM Bob Bass rimproverava a Silas (grande nei rapporti umani, ma spesso troppo buono e troppo amico dei giocatori) di non essere un fine stratega nei momenti caldi e di lavorare poco "singolarmente" sull'aspetto tecnico dei giocatori; al suo posto ha preso Floyd, allenatore di college, molto bravo ad impostare ed inquadrare la squadra, abituato a lavorare sui giocatori e meno "paternale" e bonario del suo predecessore.

La differenza si è notata subito in campo. Gli Hornets sono molto più quadrati, giocano una pallacanestro più strutturata ed in difesa concedono molto meno. Altro aspetto da non sottovalutare è l'impatto mentale del nuovo allenatore sui suoi uomini, ora tutti sembrano più coinvolti e concentrati nel progetto ed i tifosi della "Big Easy" si godono il momento d'oro. Il discorso fatto per la squadra, a proposito dei miglioramenti, vale, in proporzioni forse maggiori, per Baron Davis.

Il regista appare rigenerato dal nuovo corso ed è migliorato tantissimo proprio dove era deficitario. Ha aggiunto il tiro dalla distanza al proprio arco (mentre le passate stagioni era un triplista appena passabile), è migliorato nella lettura del gioco e nella scelta del ritmo di gara ed in difesa, pur senza essere un mastino, sa porsi in modo costruttivo sia singolarmente che all'interno della squadra.

Ovvio che i meriti non sono solo del nuovo staff tecnico e ci mancherebbe, ma è fuori di dubbio che il "nuovo" Baron Davis è un giocatore decisivo (come ai tempi del college), uno di quelli che può cambiarti la gara in ogni momento sia con un passaggio, sia con una giocata delle sue. Di tutto ciò se ne sono accorti in tanti, sia a New Orleans sia nella Lega.

<Baron è un giocatore fantastico> sottolinea proprio Floyd <è capace di imporre la sua legge in campo, aiuta i compagni a migliorare e sta evolvendo il suo gioco a livelli altissimi>. Così oggi, quando si parla dei migliori play-maker della Lega non bisogna attendere molto prima di sentir parlare dell'ex ragazzo prodigio di Crossroads High a downtown LA. Uno dei giudizi più lusinghieri sul compagno l'ha comunque offerto il veterano PJ Brown <Baron è un grande giocatore a cui manca poco per diventare una star di prima grandezza (ha solo 26 anni, ndr), ma se continua a lavorare così avrà  la Lega nelle sue mani…>.

Il 2004 è iniziato così come era finito 2003, con Davis a dominare sui parquet di mezza NBA e con gli Hornets alla caccia del miglior record ad Est. Per il n.1 statistiche di grande impatto: 23.9 punti, 8.2 assist (e 2.6 perse), 4.9 rimbalzi in quasi 40 minuti di impiego. Le percentuali dal campo sono un po' in calo (sul 40% da due e 34% da tre), ma la mole di gioco espressa è sempre di primo livello e se si considera che, in assenza di Mashburn (primo terminale offensivo della squadra) le difese sono concentrate solo su di lui (con benefici per Wesley e gli altri tiratori che Davis trova sempre appostati per lo scarico) appare ancora più chiaro il valore dei suoi numeri.

Oggi Davis guarda con grande ottimismo al futuro, nella NBA sono in tanti a rispettarlo (ed a corteggiarlo), le difese, che prima lo temevano molto in penetrazione (dove forse è il migliore di tutti vista la forza fisica ed il controllo del corpo in volo) ora sono restie a concedergli spazio al tiro e per tanti è lui il prototipo del regista del futuro.

Davis non si nasconde dietro a dichiarazioni di falsa modestia, vuole arrivare al top e cercherà  in ogni modo di arrivarci. D'altronde è questo che ha sempre voluto da quando, all'età  di tre anni, prese in mano la prima palla e cercò di metterla a canestro.

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