Ecco Jay Williams allo United Center…
Serata di emozioni forti quella di sabato 20 dicembre allo United Center di Chicago. In programma un Bulls - Cavs che fino a pochi mesi fa avrebbe scaldato pochi cuori anche nell'appassionatissima Windy City.
Sabato sera invece c'è il tutto esaurito al Center, il quinto sold out della stagione, e i motivi per esserci, aldilà dello scontro tra due delle peggiori franchigie della Lega, ci sono tutti.
Anzitutto Michael. Il nome dà ancora i brividi in tutto il mondo, ma da queste parti l'effetto assume le proporzioni di un uragano. Già , perché sabato è comparso al palazzo il grande MJ, che ha ravvivato il feeling coi "suoi" Bulls dopo la dipartita di Jerry Krause, e contro i Cavs non poteva proprio mancare.
Questo perché, di fronte al vecchio MJ, comodamente assiso in un lussuoso skybox al fianco di Charles Oakley e Will Perdue, è andata in onda l'epifania chicagoana della cosa più incredibile, seppur annunciata, accaduta all'Nba da anni, in due parole Lebron James.
Il giovane Lebron non ha tradito le aspettative: se è vero che è tornato sotto la doccia dopo 32 punti e 10 assist, sufficienti per schiantare i Bulls e confermare al più grande di tutti che valeva la pena di presenziare.
Ecco, giusto per non far mancare ai derelitti Bulls i motivi di distrazione, oltre al passato e al futuro dell'Nba, alla partita si è rivisto pure Jay Williams, per la prima volta al seguito dei suoi compagni dopo lo spaventoso incidente del 19 giugno, quello che per ora ha mandato in soffitta la sua carriera di giocatore di basket.
The day
Difficile che nella mente di Williams sia passata anche una sola ora, da quel maledetto giorno, senza un pensiero rivolto all'incidente. D'altronde le stampelle che tuttora sono indispensabili all'ex-Blue Devil per camminare, sono una sorte di memento perenne. Tutto, nella vita attuale del ventiduenne play dei Bulls, rimanda a quel fottuto 19 giugno.
I fatti sono noti. Williams è in sella alla sua nuova Yamaha: è notte nella zona nord di Chicago, non lontano dal Wrigley Field, lo stadio dei Cubs, uno dei templi sportivi della città . I fantasmi di una stagione da rookie condotta al di sotto delle attese scivolano via lungo l'asfalto, assecondando il rombo del motore. L'impatto contro il palo è terrificante, Jay viene sbalzato ad una ventina di metri di distanza, la situazione appare subito drammatica.
Il primo referto medico parla di doppia frattura alla gamba sinistra, rottura di tutti i legamenti del ginocchio sinistro, danneggiamento di alcuni nervi e frattura pelvica. Il giocatore viene sottoposto a diverse operazioni, che scongiurano almeno il rischio di amputazione, che a caldo sembrava pressoché inevitabile.
Al capezzale del giocatore accorre la sua gente: ex compagni di Duke e giocatori dei Bulls, e ovviamente Coach K, Mike Krzyzewsky, che dieci anni dopo rivive il dramma di Bobby Hurley, un altro dei suoi ragazzi.
Sabato 28 giugno, l'ala di Cleveland Carlos Boozer, uno che se gli avessero detto sei mesi prima che avrebbe avuto un futuro in the league più luminoso di quello di Jay sarebbe scoppiato a ridere, dicevamo Boozer, non ha alcuna voglia di ridere quando dice: "Ho sentito Jay al telefono, non ha più sensibilità nella gamba sinistra". Coach K, abituato ad affrontare il destino a petto in fuori, è sincero da far male: "Posso solo pregare per lui"". Peraltro non deve aver apprezzato il fatto che uno dei figli prediletti di Duke fosse in moto senza casco né patente, tanto per non far mancare il sale sulle ferite.
The silence
Per diversi mesi la vicenda Williams scivola nell'oblio. Quello che si sa per certo è che, dopo quasi un mese trascorso in ospedale a Chicago, Jay viene trasferito nelle strutture ospedaliere di Durham, North Carolina, dove convivono il campus di Duke, che il ragazzo ben conosce, e uno degli ospedali più all'avanguardia degli states.
Non si parla più di amputazione, ma l'obiettivo primario resta restituire all'uomo una vita normale, il basket non viene mai menzionato apertamente. L'unica eccezione è proprio Williams, che non dice mai "Se tornerò a giocare", ma semplicemente "Quando tornerò a giocare".
Ogni tanto qualche notizia circola sui quotidiani di Chicago, generalmente riportando il complessivo miglioramento del quadro clinico del giocatore.
Lo scetticismo, comunque, è ampiamente condiviso: il ritorno del #22 sui parquet della Lega può essere possibile, ma anche nella migliore delle ipotesi non si rivedrà mai più l'uomo che contese a Yao Ming la prima scelta assoluta del Draft 2002.
Il tempo passa e Jay continua a mostrare pochi dubbi, e al consueto "Quando tornerò a giocare", aggiunge che gradirebbe tornare con i Bulls. Anche il management dei Bulls capisce che il tempo delle preghiere è finito, è ora di vedere cosa c'è davvero dentro il futuro del signor Jay Williams. L'operazione United Center di sabato scorso rientra in questa strategia: mostrare al pianeta Nba che Jay è ancora vivo e intende riprendersi il suo posto.
Siamo tornati al principio: Chicago - Cleveland, i Bulls di Scott Skiles e di Kirk Hinrich, quello che ha preso i minuti di Williams, Michael Jordan osannato in tribuna e Lebron James osannato in campo. Per Jay è come tornare a respirare: l'affetto dei compagni, il tributo del pubblico, l'augurio collettivo che il prossimo ritorno sia senza stampelle e in canotta biancorossa, quella delle partite casalinghe.
Scena bellissima, per carità , ma la partita vera si sposta subito su altri tavoli, quelli della vil pecunia, quella che non puzza mai, nemmeno se ripiena di lacrime.
Sul filo del rasoio
Per John Paxson, neo Gm dei Chicago Bulls, il caso Williams è andato ben oltre il semplice dramma umano e sportivo del giocatore. Paxson ha dovuto muoversi sul filo del rasoio, conscio di poter causare danni irreparabili sbagliando anche una sola mossa.
Tecnicamente il contratto di Williams, che chiama ancora due anni garantiti per complessivi 7,7 milioni, poteva essere stracciato da subito. Il contratto collettivo, infatti, vieta espressamente ai giocatori la pratica di "attività pericolose". Niente paracadutismo, niente free climbing, e manco a dirlo niente motociclette.
Ovviamente Paxson si è ben guardato dal fare quanto pure in suo potere, ovvero tagliare il povero Williams, e onestamente non poteva fare altrimenti. Risparmiare pochi milioni di dollari sarebbe equivalso per i Bulls ad uscirne con le ossa rotte dal punto di vista dell'immagine.
È cinico anche solo pensarlo, figuriamoci scriverlo, ma il ragionamento di Paxson non deve essere stato lontano da: "Jay è perso, se anche torna non sarà mai il giocatore che abbiamo chiamato al 2, ma se lo taglio adesso diventiamo istantaneamente Junk Bond, titoli spazzatura, se taglio un giocatore in fin di vita quando andrò per Free Agents non mi lasceranno nemmeno cominciare a parlare. Dobbiamo mostrare che la priorità è la salute del ragazzo, non i dollari del suo contratto".
Di fatto è andata così: i Bulls hanno sostenuto da subito il desiderio di Williams di curarsi a Duke e non a Chicago, hanno lasciato scegliere alla famiglia, di concerto con gli specialisti, la tipologia di cura da intraprendere, sono sempre rimasti in contatto col giocatore, per non far mancare alcun tipo di appoggio.
Adesso però siamo al redde rationem, la resa dei conti. Paxson ha sempre detto che l'aggiornamento sul futuro sportivo di Jay sarebbe avvenuto non appena il play fosse riuscito a piegare la gamba sinistra di 90°.
Piccolo caso diplomatico proprio in coincidenza del citato Bulls - Cavs. Paxson, intervistato: "Ci hanno sempre detto che per farsi visitare dal Dr. Andrews - il chirurgo sportivo che deve dichiararsi sulle reali possibilità di un rientro alle competizioni - Jay avrebbe dovuto piegare il ginocchio a 90°, e ancora non ci siamo. Il processo è stato più lento di quanto pensassi, ci sono ancora dei problemi". Nuvoloni che tornano ad addensarsi.
Nemmeno 48 ore e Williams, pare senza avvertire lo staff dei Tori, si reca dal citato Dr. Andrews, il quale conferma che la riabilitazione procede per il verso giusto, e che Jay è stato buon profeta ad usare il "quando" e non il "se": sarà ancora un giocatore di basket.
Facce da poker
Decisamente in guanti bianchi, evitando accuratamente ogni dichiarazione sopra le righe, ma la partita è iniziata. Al tavolo siedono Bill Duffy, l'agente del giocatore, e John Paxson, naturalmente. Duffy: "La delicatezza che (i Bulls) hanno dimostrato è stata un grande esempio di professionalità . Jay tornerà e nel suo cuore vuole giocare per John Paxson e per i Bulls".
Paxson: "La sua (di Williams) visione della vita è eccezionale, devo dargli credito, ha accettato quello che gli è successo, e adesso sta facendo di tutto per inseguire il suo sogno, come faremmo tutti noi". Freddino, ma comprensibile.
Ancora Pax: "Ci sono sempre due facce della medaglia: noi soffriamo per Jay, ma ci sono anche questioni di Salary Cap e di Luxury Tax. Posso sembrare insensibile ma per noi questo aspetto è fondamentale".
Sono vicini a dover calare le carte. Allora, Williams e Duffy hanno riconosciuto il grande rigore morale mostrato dai Bulls in questi mesi, ma cominciano a convivere con l'idea che il taglio sia nell'aria. Tra l'altro la cronaca contingente non aiuta il sogno dell'ex-play di Coach K: i Bulls sono contati, sono fuori Curry, Chandler e Pippen, ci sono minuti importanti per Linton Johnson e Chris Jefferies, Skiles è alla canna del gas.
Il 4 gennaio si possono cominciare a firmare i contratti decadali, e a Pax il posto nel roster occupato da Williams farebbe dannatamente comodo. Cinico, ma di nuovo comprensibile.
Sembra che si sia raggiunto un accordo su questi termini: i Bulls, in conformità al contratto collettivo, rescindono il contratto di Williams. Questi diventa free agent, ma il suo futuro resta avvolto nel nebbione e il resto della Nba non intende chiamare Duffy finchè la situazione non si chiarisce. Williams vuole davvero giocare per Paxson, e continua la riabilitazione a Chicago, come fosse ancora un giocatore a tutti gli effetti. Tra qualche mese (diversi probabilmente), si tirano le somme.
Due gli ulteriori scenari. Williams rifirma per un anno con i Bulls al minimo salariale. Una sorta di risarcimento morale nei confronti della Franchigia dell'Illinois. Un anno per rimettersi in gioco, dopodiché amici come prima e il valore del ragazzo lo stabilisce di nuovo il mercato.
Secondo scenario. Pax si ricorda di Bobby Hurley e non crede nei miracoli, inoltre Hinrich in play è già una bella certezza. Un grosso in bocca al lupo e Williams è libero di diventare il primo giocatore dei neonati Charlotte Bobcats, che anche solo per questioni geopolitiche - nel North Carolina Williams è ancora un nome che sposta - un contratto non possono negarglielo. Da lì in poi starà a lui, ma già arrivare a questo punto sarebbe un miracolo per uno che sei mesi fa rischiava l'amputazione di una gamba.
Vicenda triste, in definitiva, dove alla fine Williams rischia di passare per la vittima che non è, visto che salendo in sella alla sua moto si è messo anche al volante del proprio destino. La storia insegna che un ritorno ai livelli pre-incidente è onestamente impensabile, quindi una dignitosa carriera sarebbe già una grande conquista.
Mettere il freno ai sogni di un ventiduenne che 12 mesi fa era il re del mondo è difficile almeno quanto vedere dentro il suo futuro. Per tutti gli amanti del basket Nba, la speranza è che il prossimo ritorno di Jay sia senza stampelle e con addosso una delle 30 maglie che contrassegnano chi ce l'ha fatta per davvero. Che poi sia quella dei Bulls, dei Bobcats, o un'altra ancora, importa davvero poco"