'Rip' Hamilton, una delle poche armi offensive dei Pistons
Difficili da decifrare questi nuovi Detroit Pistons. Le fondamenta sono sostanzialmente le stesse dello scorso anno: c'è ancora il miglior difensore e rimbalzista della lega, Ben Wallace, c'è un signor realizzatore perimetrale, Rip Hamilton, un big man in grande ascesa, Mehmet Okur, e uno degli uomini cui affidare più volentieri un tiro sulla sirena, Chauncey Billups.
Inoltre l'estate ha portato in dote nientemeno che coach Larry Brown e la scelta numero due assoluta, Darko Milicic. Considerata la debolezza dell'est era ed è doveroso pensare alla finale.
Nelle prime 26 partite i Pistons sono stati capaci di schienare i Lakers ma hanno preso venti punti in casa dai Sonics, sono tornati da un doppio back-to-back all'ovest carichi di rimpianti dopo aver perso di 6 a Sacramento e di 5 allo Staples, hanno avuto un bilancio di 14-6 prima di imbarcare 4 sconfitte consecutive e mandare su tutte le furie Brown e l'intera Motown.
Le ultime due partite, una risicata vittoria coi Bulls (77-73) e una sconfitta alla Conseco Fieldhouse di Indianapolis (80-76) hanno complicato ulteriormente lo scenario.
Il cambio alla guida
Da uno dei migliori allenatori giovani della Nba, Rick Carlislie, a quello che secondo una certa corrente di pensiero è il migliore in assoluto, Larry Brown. Difficile pensare che i Pistons ci abbiano rimesso.
Il problema di Carlislie, come noto, non erano i risultati, potendo l'ex-assistente di Bird vantare un bilancio di 100 vittorie e 64 sconfitte in due anni (60,9%) e una finale di conference persa coi Nets. Il suo problema era l'atteggiamento con i giocatori e con la dirigenza, la sua arroganza, questioni di P.R, insomma.
Sciolto il rapporto con Carlislie, l'opzione Brown è parsa subito la migliore. Puntare sull'uomo costretto a convivere con Iverson significa avere in cambio la sua infinita esperienza, le sue qualità d'insegnante di basket, nonché la sua genialità di stratega in gara.
Il rapporto tra Brown e Detroit per ora fila, anche se ogni tanto si sente qualche scricchiolio.
Nelle intenzioni del coach c'era l'impianto di un sistema di gioco che prevedesse un maggior ricorso al contropiede e in generale a soluzioni offensive più rapide, ma la squadra ha mostrato di continuare a gradire l'attacco alla difesa schierata.
Inoltre non tutti apprezzano il lavoro che sta facendo con Milicic: è evidente che il serbo è molto più indietro di quanto preventivato, ma Brown è stato scelto anche per le sue doti d'insegnante, dovendo gestire oltre a Darko anche altri giovani come Prince e Okur.
Il fatto che sappia insegnare basket, non equivale tuttavia a dire che abbia ancora voglia di insegnarlo ai giovani, specialmente Milicic, che per i suoi gusti resta troppo impreparato.
Brown sa che la prossima volta che tornerà alle Finals potrebbe essere l'ultima, e non vuole lasciare nulla d'intentato per raggiungere l'obiettivo: se anche il centro serbo sarà una star, lo sarà troppo tardi per lui, quindi per adesso si va avanti con chi è pronto.
C'è stata anche qualche scintilla con Okur durante una recente sconfitta a Cleveland. Dopo 3 jump da fuori del turco, Brown ha chiamato time out, invitando Okur a non tirare ancora da fuori e disegnando uno schema per lui in post basso. Immediato tiro da 3 (errato) del #13 e contestuale reazione di Brown nel post-partita:”Forse non ha capito, forse è un problema di lingua. Ma adesso capirà “.
Piccoli screzi, niente di più di quanto capita in ogni franchigia durante la stagione, ma è chiaro che il mini ciclo negativo ha riscaldato gli animi.
Offense & Defense
Carlislie era un mago della difesa, ma Brown non gli è certo da meno, infatti i Pistons continuano a subire solo 86,4 punti a partita. Il problema è migliorare la produttività dell'attacco senza intaccare la qualità della difesa ed il difficile è individuare il quintetto giusto per farlo.
Detroit ha solo 4 uomini che hanno realmente punti nelle mani: Hamilton, Billups, Okur e Williamson. I primi due sono saldi nel backcourt, ma per Okur e Williamson è difficile trovare minuti, perché andrebbero a scapito di Big Ben e di Tayshaun Prince, che sono i migliori difensori della squadra.
Brown non si priverebbe mai di Wallace, e infatti lo lascia in campo 40 minuti a partita, ma ad inizio stagione gli ha lasciato intendere che avrebbe gradito un suo maggiore coinvolgimento offensivo. Brown è un purista del gioco e non potrebbe essere altrimenti per uno che ha imparato a giocare sotto Dean Smith a North Carolina, non gradisce quindi attaccare 4 contro 5, e non si può dire che Wallace non stia provando ad ascoltarlo.
Big Ben al momento è quarto di squadra per tiri tentati e sfiora le 10 conclusioni a partita, è solo che non può reinventarsi l'attaccante che non è mai stato a 29 anni, e il 39,7% dal campo sta lì a testimoniarlo.
Quello delle percentuali di tiro è comunque un problema che va oltre Wallace. Il migliore al momento è addirittura Rip Hamilton (45,3%), uno che in linea di massima le sue responsabilità se le assume da fuori o al massimo dalla media distanza, e nessuno si avvicina al 50%.
Detroit non è una squadra di buoni passatori, Billups (5,5 ast) pensa spesso alla conclusione in proprio e in linea di massima come passatore è sotto media nel ruolo, e nessuno dei lunghi brilla particolarmente in materia. Ne deriva un gioco particolarmente elaborato, e le percentuali ne risentono.
Probabile che un gioco brillante e votato al contropiede non si adatti ancora a questi Pistons, la cui migliore versione rimane quella in cui è la difesa a vincere la partita. È chiaro comunque che Detroit, opposta ad avversari di un certo rango, non può sopravvivere a serate in cui sia Billups che Hamilton bisticciano col canestro: semplicemente non ha il talento sufficiente per riuscirci.
“Non credo di essere mai stato così frustrato“,ha dichiarato Brown, e in queste parole c'è tutta la consapevolezza dell'enorme potenziale della squadra. Solo Indiana ad est può vantare una profondità simile a quella dei Pistons, se è vero che l'undicesimo uomo è Bob Sura, uno che altrove avrebbe minutaggio diverso, e che la seconda scelta assoluta del draft semplicemente non gioca mai.
C'è profondità e c'è talento, nella Motown, e la rabbia di Brown è comprensibile, alla luce ad esempio del doppio Ko di misura patito con i "suoi" Sixers, presentatisi oltretutto decisamente incerottati.
Milicic: la spina nel fianco
È un evento quantomeno raro che una squadra che ha concluso la stagione con 50 vittorie abbia la possibilità di acquisire la seconda scelta assoluta. Il GM Joe Dumars ha chiamato Milicic perché ha visto in lui qualcosa che sta tra Nowitzki e Gasol, ma né il tedesco né il catalano hanno sofferto come Darko al primo impatto col pianeta Nba.
Nelle prime 26 partite il centro serbo ha giocato un totale di 22 minuti, ha fatto imbestialire Brown perché non è entrato con l'atteggiamento giusto nel finale della recente partita di Cleveland e ci ha messo più di un mese per realizzare il suo primo canestro, a partita ampiamente persa con Seattle. Non solo Milicic non è pronto, ma non ci va nemmeno vicino: per lui lo shock è stato tremendo, sia dal punto di vista sportivo che culturale.
L'highlight della sua permanenza negli states per ora è stato prendere la patente, non è solo un problema di fisico o di tecnica. Chi ha seguito Darko in questi mesi, ha già notato tanto un cospicuo rafforzamento fisico quanto un atteggiamento diverso: il serbo vive 24 ore al giorno per il basket, ed anche uno stakanovista come Wallace non ha potuto fare a meno di notarlo e di apprezzare.
È inevitabile però che la crescita di Milicic chieda il suo tempo, e non giocare mai non lo aiuta, ma al momento, se gioca, danneggia la sua squadra, quindi Brown in partita non lo guarda neppure.
Il problema, già importante in assoluto, diviene gigantesco nel momento in cui le statistiche di Milicic vengono paragonate a quelle di Carmelo Anthony, che al momento della chiamata di Dumars era libero e disponibile e adesso sta facendo rinascere Denver.
Chi è addentro alle decisioni tecniche della franchigia del Michigan sostiene che, oltre all'innamoramento di Dumars per l'ex centro dell'Hemofarm, contro Anthony abbia giocato il desiderio di non togliere minuti all'emergente Tayshaun Prince, la scoperta degli ultimi playoffs.
Logico che considerazioni di questo tipo, già forzate per chi aveva ammirato 'Melo a Syracuse, siano divenute insostenibili alla luce dell'impatto del rookie nelle montagne rocciose.
C'è chi sostiene che al momento, nonostante Lebron, il rookie dell'anno sia 'Melo: non c'è bisogno di aggiungere altro per capire che giocatore sia Anthony. Questo è un tarlo enorme nella testa di Milicic: né Nowitzki né Gasol dovevano convivere con un fantasma da 18,5 punti a partita scelto più in basso.
Si può discutere all'infinito sui problemi di chimica interna che sarebbero sorti con il suo arrivo, ma Brown vuole vincere adesso e pagherebbe di tasca sua per poter provare a farlo con Anthony. Può darsi che tra qualche anno il serbo faccia vedere perché Dumars è impazzito per lui dopo averlo visto allenarsi in una palestrina di Manhattan, ma per adesso, almeno su questo argomento, abbondano i rimpianti.
Future
Dire che il futuro dei Pistons è luminoso è fuorviante: anche quello dei Bulls sembra esserlo, ma nel Michigan c'è anche un presente di tutto rispetto, che vedrà gli eredi dei bad boys assolutamente competitivi nei playoffs della Eastern. Il futuro parla anche di un salary cap assolutamente invidiabile, altro importante motivo di ottimismo.
Il momento tuttavia non è facile: per evitare i supplementari con i Bulls c'è voluta una magata di Chucky Atkins, e ad Indianapolis si è perso contro quella che sarà la principale rivale in post-season.
Considerando le migliori squadre dell'est, Detroit è 0-2 coi Pacers, 0-2 coi Sixers, 0-1 con New Orleans e 1-0 coi Nets, e va sottolineato che le cinque sconfitte sono arrivate per un totale di 13 punti, segno che i finali tirati non sono particolarmente graditi. Il record di 2-5 con le squadre dell'ovest è un altro campanello d'allarme.
Brown per ora è intervenuto accorciando drasticamente la rotazione, ma se l'andamento resterà così altalenante è logico pensare che guarderà anche al mercato, in cerca soprattutto di uomini con punti nelle mani. Ribadiamo ancora: la difesa dei Pistons può vincere un sacco di partite, ma solo a patto che l'attacco sia almeno decente.
Nelle ultime 5 partite si viaggia a 77,4 punti segnati di media e i 100 punti mancano dal 18 novembre, gara con i Lakers. I segni di una certa involuzione ci sono tutti, ma c'è anche il talento per uscirne, e soprattutto c'è un allenatore sufficientemente inquieto da impedire che ci si possa adagiare nella mediocrità .
Per Detroit il momento chiave restano i playoffs, quando nessuno vorrà andare a rimbalzo contro Wallace o allenare contro un Brown in missione, ma ci sono ancora 4 mesi prima della post-season, e da questi 4 mesi attendiamo delle risposte, per capire chi sono davvero i Detroit Pistons.