Un Carneade di nome Linton

La grinta a rimbalzo del nipotino di Mickey Johnson

A volte, quando sei alla ricerca di qualche giocatore nuovo per risollevare le sorti di un fantabasket magari reso infelice da qualche infortunio di troppo, ti imbatti in qualche nome che non puoi far altro che commentare con un “Ma da dove sbuca questo qua?”, giusto per non rendere l'accezione troppo volgare. Carneadi, una vita spesa alla ricerca di un contratto che ti può sistemare per una vita, ma anche storie molto singolari che incrociano il loro percorso con la lega di Stern quasi per caso, quasi senza volerlo.

E' il caso di Linton Johnson, omonimo di un celebre cantante reggae in voga ai tempi di Bob Marley, ma soprattutto nipote di Mickey Johnson, ex ala Nba che militò proprio nei Chicago Bulls negli ultimi anni '70, quando scorrazzava con quel numero 8 che Linton, per far contento lo zio ha deciso di prendere oggi a quasi trent'anni di distanza. Zio che tra l'altro non manca mai di fargli sentire il suo sostegno, incoraggiandolo a dare sempre il massimo, convinto che il nipotino possa essere un giocatore Nba: “Mi sta davvero entusiasmando, ma gli dico sempre, figliolo, non stancarti mai di lavorare, questo è soltanto l'inizio, la strada è ancora davvero lunga, devi solo lavorare”.

Di per sè tutto abbastanza normale, pedigree dato un antenato già  professionista, che avrebbe potuto fare di lui un piccolo predestinato, invece la Nba non è mai stata la primissimo posto nei suoi pensieri.

Uscito da Tulane nel 2002, non era stato scelto al draft, per cui si presentò comunque alla summer-league dei Bulls, ma ben presto gli venne fatto capire che non c'era posto per lui in squadra. Anzichè cercare un contratto altrove, Linton pensò subito ad assicurarsi un futuro conseguendo una laurea in Finanza, rinunciando in sostanza ad un anno di attività : “Mia madre – spiega Linton – mi ha reso molto forte, ed in quel momento, sapevo che l'avrei fatta felice se mi fossi laureato, perchè nessuno nel suo ramo famigliare ce l'aveva mai fatta”. Insomma, un tipo con la testa sulle spalle: “Avrei dato tutto me stesso per riuscire a giocare a basket, ma prima di tutto volevo garantirmi certezze per il futuro”.

Il figlioletto della signora Mary Moore quindi, si è ripresentato ad un anno di distanza sempre alla solita summer league dei Bulls, dove ad attenderlo stavolta c'era Bill Cartwright, che ne rimase subito favorevolmente impressionato per l'energia e l'atletismo che un due metri pulito ed abbondante come Linton metteva in campo. Esplosivo e concentrato, Johnson dimostrava di avere le idee ben chiare, come si evince dal suo primo colloquio con Medical Bill: “Sono un realizzatore, lo ero al college, quando avevo la possibilità  di tirare, tiravo, ma penso che ai Bulls ci siano tanti realizzatori, per cui posso dare una mano a rimbalzo e in difesa; se serve questo, lo farò”.

Era quello che Cartwright voleva sentirsi dire insomma, quando cercava una polizza assicurativa alle sue sciagurate ali piccole, da Marcus Fizer, perennemente alle prese con problemi fisici, a Scottie Pippen, un po' logoro dall'usura degli anni e a quell'Eddie Robinson che pur figurando ancora nel roster ha di fatto concluso un'esperienza a Chicago totalmente fallimentare dopo qualche buon presagio dato quand'era agli Hornets.

Proprio per questo motivo, per fargli spazio, i Bulls hanno tagliato un buon specialista come Trenton Hassell, che conosceva già  i meccanismi della squadra ma era in sostanza sottodimensionato per fare l'ala piccola e ritenuto superfluo nel ruolo di guardia, dove c'erano tra gli altri Kendall Gill e Roger Mason jr. Ora Hassell sta dando un buon contributo a Minnesota, che non ci ha pensato due volte prima di prenderlo, mentre Linton sta cercando di sfruttare le disgrazie altrui per inserirsi nel minutaggio e produrre qualcosa di utile per la squadra nella speranza di strappare un contratto garantito a gennaio.

Shawn Finney, coach di Tulane, spiega quali sono le qualità  che possono consentire da Linton Johnson di diventare un giocatore Nba: “Mi fa davvero piacere vedere che Linton può giocare anche ad un livello superiore a quello del college, credetemi, ha dei mezzi atletici davvero eccezionali, speravo potesse migliorare il suo tiro, migliorando la mano e la capacità  di procurarselo, così facendo avrebbe davvero più possibilità  di essere un giocatore completo, ma sono contento lo stesso, perchè è un ragazzo che ha capito che laureandosi potrà  affrontare la sua avventura nel basket in maniera più serena”.

Per ora le cifre sono molto modeste (high di 10 punti all'esordio con Indiana, di 9 rimbalzi contro i Grizzlies), così come il suo impiego, e la trade con Toronto e il cambio di allenatore hanno ulteriormente rimescolando le carte in tavola dei Bulls, che potrebbero tornare ancora sul tavolo delle trattative. Nulla è certo quindi per il buon Linton, ma con la sua voglia di fare e l'entusiasmo dello zio Mickey molto probabilmente ne sentiremo parlare ancora, ai Bulls, o chi sa dove. Mal che vada lo aspetta un bel posto da manager in qualche azienda in the country. C'è di peggio insomma nella vita, soprattutto se ti chiamavi Carneade.

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