In ginocchio

Don Chaney non ha ancora capito come fare giocare questi Knicks

Il titolo non è solo figurativo, indicante il brutto periodo della squadra newyorkese, ma pure ortopedico. Allan Houston, infatti, continua ad avere problemi al ginocchio operato in estate.

Delle 24 gare disputate fino ad ora, “H20” ne ha saltate sei ed in altrettante ha avuto fastidi più o meno gravi.

“Non sono più giovane come una volta” ha commentato il giocatore. Di certo, con i ritmi con cui si susseguono le gare NBA, tempo per recuperare non ce n’è molto e c’è il rischio di dover andare avanti con questo tira e molla fino alla fine.

Chaney e Houston stanno parlando di limitare il minutaggio, dato che il capitano, per mancanza di valide alternative nel suo ruolo, è chiamato a più di 40 minuti di utilizzo ad allacciata di scarpe.

Da un ginocchio all’altro, ossia a quello di Antonio McDyess. L’arto in questione sembra essere definitivamente a posto. Dyce sta in pratica proseguendo l’ultima fase della riabilitazione sul campo, in gare ufficiali, non temendo i contatti e prendendo progressivamente confidenza con la palla.

Seguendo la tabella stilata dallo staff medico, siamo già  a 26 minuti di impiego per gara, con l’entrata in campo a fine primo e terzo quarto, qualunque sia la situazione di punteggio ed un inaspettata partenza in quintetto nell’ultima gara settimanale data l’assenza di Thomas (31 minuti in questa occasione).

Analizzando le gare disputate questa settimana, c’è da dire che finalmente il disastroso viaggio ad ovest si è concluso, ma con un bilancio da incubo: zero vittorie, cinque sconfitte.

La penultima è arrivata allo Staples Center contro i Los Angeles Lakers: 98-90 il finale, nonostante un buon avvio con cui i Knicks si sono portati a +9 grazie al duo Shandon Anderson (sostituto di Houston) ed Howard Eisley, autori entrambi di 26 punti.

Contrariamente alle ultime esibizioni, New York ha provato una reazione dopo essere finita a –12, ma senza riuscire a chiudere le rimonte tentate, soprattutto per colpa delle 21 palle perse contro le sole 10 dei Lakers.

Ovviamente non sono le partite come questa da cui deve iniziare una riscossa, ma Don Chaney s’è detto orgoglioso dei suoi giocatori che non hanno avuto paura nell’affrontare lo squadrone per eccellenza… ma questa è solo stata la prima di una serie di dichiarazioni settimanali sempre più allucinanti del coach bluarancio (perché si deve aver paura di un avversario nello sport fino a dichiarare di essere fiero dei propri uomini degni di non essersela fatta addosso? ndr).

Il ritorno a casa è stato preceduto da un’ultima umiliazione, questa volta in terra mormone: 95-73 per gli Utah Jazz in una partita in cui New York ha tenuto bene per metà  incontro salvo poi arrendersi ad inizio ripresa, quando i Knicks hanno sbagliato 4 tiri e perso 5 palle nei primi 9 possessi.

Greg Ostertag ha dominato sotto i tabelloni, là  dove si è vinta la partita, per la solita regola che ormai si sta trasformando in dogma secondo la quale il sistema di gioco di Chaney fa resuscitare perfino i morti e converte degli abili mestieranti in campioni.

L’ennesima ottima prova da all-around di Andrei Kirilenko, ala russa chiamata in un draft proprio da Scott Layden all’epoca GM dei Jazz (sotto la supervisione del padre che tanto bene ha fatto a Salt Lake City, non scordiamocelo), ha fatto rammaricare il NY Post sul perché Layden non potesse essere stato già  nella grande mela a quel tempo, così da averlo potuto scegliere per i Knicks.

Vorremmo ricordare al giornalista del Post come quest’anno Layden abbia scelto Macjei Lampe, in giugno più quotato dell’allora AK-47, che sta marcendo il lista infortunati a favore di note scamorze con il fondoschiena arrotondato da troppi hot-dog. Cosa ci fa pensare che la sorte di Kirilenko fosse stata diversa a parità  di staff tecnico?

Tornando al basket giocato, “grazie” alla sconfitta con i Jazz, Chaney ha potuto stabilire uno dei suoi tanti record negativi da quando siede su questa panchina: era dal 1985 che New York non tornava da un viaggio con uno 0-5.

“Abbiamo molti problemi, inutile negarlo. Ma ad est è rimasto tutto come prima della nostra partenza”. Visto che i Knicks sono in striscia perdente da sei gare consecutive, i cronisti hanno chiesto ulteriori chiarimenti al coach, che ha glissato con un: “E’ la fine della stagione? Non mi sembra. Ho visto squadre perdere, poi iniziare a giocare bene e ritornare in corsa. E’ stato difficile giocare cinque partite in otto giorni con molti giocatori non al top. Quando gli acciacchi andranno via, vedremo finalmente la vera squadra”.

La striscia negativa si interrompe proprio al ritorno al Garden, grazie ad una bella e convincente vittoria contro i Denver Nuggets per 95-88. Kurt Thomas è fuori per un fastidio al ginocchio (tanto per restare fedeli al nostro titolo) ed è quindi McDyess a prendere il suo posto nello starting five.

New York gioca con autorità  nella prima frazione, nonostante il rientrante Houston non paia al massimo della forma. Denver però va avanti nel punteggio grazie ad un ottimo terzo periodo, ma nell’ultimo sono Houston e McDyess a salire in cattedra, un sogno che si avvera per tutti i tifosi newyorkese: il capitano mette 9 dei suoi 15 punti, Totò 7 dei suoi 15.

Keith Van Horn chiude capocannoniere della squadra con 16, mentre un grande Frank Williams smazza 7 assists uscendo dal pino, ma il dato determinante è che 5 li ha consegnati nell’ultimo quarto, così come 6 punti.

Pubblico letteralmente in delirio quando ad un minuto dalla fine e con il punteggio ancora in equilibrio Williams imbecca McDyess per un alley-oop che sa tanto di: “guadatemi tutti, sono tornato!”.

Quanto a dichiarazioni, Mcdyess ha voluto dire la sua sulle sconfitte: “Non stiamo prendendo le sconfitte seriamente. Perdiamo una gara e ce la buttiamo alle spalle senza chiederci il perché abbiamo perso, fino alla successiva sconfitta in cui niente cambia. Alcune notti resto sveglio a pensare cosa si dovrebbe fare per cambiare questo trend negativo e l’unica cosa che mi viene in mente è giocare più duro. Non voglio puntare il dito verso nessuno, ma manca il carattere, manca la concentrazione. Anche quando andiamo avanti nel punteggio, ci distraiamo, convinti di aver già  fatto il necessario, perdiamo in intensità  e finiamo con l’uscire dal campo sconfitti”.

Ma (udite, udite) Houston e Chaney non sono d’accordo con Dyce, anzi lo considerano una delle “distrazioni” della squadra.

Ovviamente si è dovuta rivedere la rotazione per inserire Totò nel meccanismo, ma da qui a dire che il suo inserimento ha risvolti così negativi ce ne passa, anche se l’1-6 dal suo ritorno sembrerebbe parlare da solo.

Aver tolto minuti a Weatherspoon ed Harrington non è forse stato un bene? Non erano questi i problemi di New York? Si vuole recuperare un giocatore ex-All Star oppure no?

La confusione, insomma, regna sovrana: prima, per giustificare le sconfitte, ci si lamentava dell’assenza di McDyess. Ora è colpa del suo rientro se si perde (e non dell’apatia della intera squadra quando si subiscono supinamente rimonte da “Ai confini della Realtà ”).

E’ quantomeno ridicolo sentire Chaney che parla di chimica di squadra rovinata dal ritorno dell’ex-Nuggets, proprio perché una chimica questo team non l’ha mai avuta.

E che dire di Houston? L’unica striscia di vittorie fino ad ora avute a dai Knicks è maturata in sua assenza.

La verità , come sempre, sta nel mezzo: è inevitabile che il rientro di Dyce debba essere ammortizzato dalla squadra, ma è altrettanto vero che una minaccia in post serve come il pane, quindi…

La vittoria con i Nuggets parla chiaro: ottima distribuzione dei punti tra i tre realizzatori della squadra e grande maturità  di Williams nel guidare la squadra in un momento delicatissimo (e non parliamo solo di una gara in equilibrio ma con alle spalle sei sconfitte consecutive e l’ansia di mettere fine alla serie negativa).

Chaney non può ignorare cosa è emerso da questa gara e la speranza è che stavolta abbia capito qualcosa in più del solito.

Concludendo con le solite voci di mercato, ecco spuntare una trade con Dallas: Thomas più Ward per Antwan Jamison. In linea di massima non da buttare via. Jamison è un’ala piccola “vera”, non un equivoco tattico come Van Horn, ma ciò che lo accomuna allo sceicco bianco è il non sapere cosa sia la difesa.

Ovviamente un altro dubbio grava su Thomas, perché disfarsi del giocatore più costante e con più carattere del roster (oltre a non sapere se McDyess terrà  botta fino alla fine) non è certo una grande idea.

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