I dolori del giovane Crawford

Il miglior realizzatore dei Bulls è comunque ancora un bambino, mentre Antonio Davis è un veterano..

E' brutto essere considerati il miglior play della squadra e non avere il minutaggio che ritieni (e ritengono) ti spetti, mai, anno dopo anno. E' brutto leggere sui giornali che "se gli dessero più spesso palla in mano ad inizio azione, i Bulls sarebbero da un'altra parte". E intanto giochi pochino, in un team che dire "difficile da decifrare" è una verità  di quelle solide da cancellare.

Eppure Jamal Crawford "è" i Bulls di quest'anno: tanto talento da sprecare, non troppa testa e tanto, tanto da imparare, ma basi solide che lavorarci su è un piacere. Palla in mano, il nostro, è un genio senza mezze misure: capace di visioni eccelse e di conclusioni di ogni tipo, importa lo street basket più estremo dentro il conformismo-tutto-regole di una pallacanestro teoricamente organizzata. Ragione (poca) e sentimento (già  meglio), bene e male, pregio e difetto" In Crawford è proprio l'essere se stessi che lo rende fonte di gioia e disperazione allo stesso tempo per chi lo allena.

La timidezza, tanto per cominciare, non rientra nel vocabolario personale del buon Jamal, così come "paura", "egoismo" e "risparmio". In ventotto minuti di utilizzo medio si sfiorano i quindici punti con quasi cinque assist e tre rimbalzi: numeri di tutto rispetto che, abbinati al 41 per cento al tiro dal quale non riesce proprio a schiodarsi e a 2,5 perse a sera, dicono quasi tutto del play non ancora titolare di Chicago.

Come "non titolare"?! Non ancora?! Eh già , nessun errore: nonostante cifre del tutto considerevoli, siamo ancora lontani dall'essere considerati validi per il quintetto base, almeno non sempre. Tra i primi cinque a partire in campo in metà  delle prime partite di regular season dei Bulls, nell'altra metà  il ruolo di point guard è stato occupato dalla prima scelta di quest'anno Kirk Hinrich e dal giovanotto Scottie Pippen, tornato nel tempio del suo successo dopo qualche parentesi senza lode ad ovest della NBA.

Venticinque minuti a sera con sette punti, 3,6 assist e 3,4 perse a sera, sono le cifre d'esordio della prima quindicina di partite del buon Hinrich. Non c'è che dire: chiunque fosse al posto di Crawford non la prenderebbe di certo troppo alla leggera, e invece, almeno per ora, di richieste di cessione o altro, neanche l'ombra.

Non che Jamal sia uomo cheto come l'acqua santa, ma almeno per ora sembra aver tenuto a freno la lingua, sicuramente perfettamente allenata da una solida amicizia con l'inseparabile amico Gary Payton, in perenne contatto con il "suo" ragazzo. Payton, infatti, suo unico vero padre putativo (cestisticamente parlando), è per Jamal l'idolo di adolescente, tappezzeria della casa e - ottima cosa - obiettivo tecnico da raggiungere.

Eppure questo non è certo il primo anno in cui la frustrazione dovrebbe farla da padrona perché già  gli anni scorsi, l'uomo da Michigan (oddio" 17 partite in un'unica stagione, ma comunque diciamo così per comodità ") è stato relegato al secondo posto in virtù di status teoricamente superiori di compagni in realtà  deludenti.

Il peggio del peggio è capitato l'anno scorso: tantissima attenzione per Jay Will, atteso con tappeti rossi allo United come salvatore della patria, ma autentica delusione. Crawford giocava di meno, segnava di più e giocava obiettivamente meglio ma le scelte sono scelte e quindi si partiva sempre dal pino. Tutta l'attenzione, nel bene e nel male, andava sempre sul numero 22 e mai su di lui, perennemente relegato a ruolo di seconda linea.

Quando vedremo qualcuno credere in lui? Quando, finalmente, qualcuno gli insegnerà  a giocare per davvero? Non ci vorrebbe molto a far diventare un buon giocatore ancora immaturo, una stella tra le point guard, come tanti vedono in lui. Gli basta davvero tanto così.

L'augurio di In The Zone è che lo staff tecnico, recentemente orfano di Bill Cartwright (nato per fare il capro espiatorio), sia in grado di uscire dal letargo tecnico che lo sta contraddistinguendo negli ultimi anni bui e riesca ad insegnare basket come si deve a gente che, senza dubbio, ha i mezzi atletici e tecnici per recepire come spugne. Crawford è solo uno dei tanti che, pazientemente, aspetta in lista d'attesa che venga fatto il suo nome.

Intanto, in una piccola palestra nello stato di Washington, poco lontano da Seattle (più precisamente quella della Rainer Beach High School di Renton), una maglia con il numero 23 (ovviamente inutilizzabile ai Bulls) e con il suo cognome penzola orgogliosamente dal soffitto. E' già  un inizio. Il resto è solo lì da vedere!

Have a nice NBA week from IN THE ZONE.

See ya'.

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