La lunghezza delle leve e la tecnica sono due delle armi da sfruttare per il numero 22
La saggezza popolare insegna un detto: “E' molto più facile conquistare una vetta piuttosto che rimanerci.”
Ora, non è dato sapere se questo assioma sia stato coniato da un grande maestro orientale, oppure da un emulo qualsiasi di Giovanni Trapattoni, fatto sta che nello sport innumerevoli volte ci si è scontrati con atleti che sono arrivati a vette di carriera quasi impensabili, ma che poi non hanno saputo confermare le loro doti nel breve spazio di un'annata.
Per quale motivo?
Di giustificazioni se ne possono trovare sempre tante, dalla mancanza di vere motivazioni, all'adeguamento della concorrenza, al doping in alcune e malaugurate ipotesi.
La NBA da questo punto di vista non fa eccezioni, ma a meno di sconvolgimenti prossimo venturi, la parabola della meteora non sembra davvero fare al caso di Tayshaun Prince.
Numero 22 sulle spalle, un nome che davvero in questo caso rappresenta un seria e forte garanzia, un passato universitario che lo ha visto entrare nella lega più spettacolare del mondo passando per le assi dell'Università di Kentucky, lo Stato già di Rick Pitino, l'Università della famosa difesa pentola a pressione, uno degli atenei che volenti o nolenti devono sempre comparire nei ranking delle testate specializzate made in USA, l'ala dei Detroit Pistons rappresenta il volto nuovo del ruolo nella Eastern Conference, ma porta con se certamente uno stile ed una grazia che sembrano provenire direttamente da un' epoca passata.
La storia vera di Prince comincia alla fine della stagione 2003.
Dopo un'annata da rookie neppure troppo osannato, durante i play-off, coach Carlisle lo inserisce in quintetto e senza mezzi termini gli affida un posto da protagonista nella corsa al titolo contro i Nets.
Risultato: i Nets vincono la Eastern Conference, ma i Pistons trovano nel ragazzino senza la minima paura e dalla sfacciataggine degna di un professionista navigato una pedina importante per i successivi 10/12 anni di attività "
Peccato che durante l'estate, tanto per cambiare, succeda nella terra dei motori, un po' di tutto.
Il G.M. Joe Dumars decide che i dissidi con l'allenatore sono arrivati al punto di rottura e decide di lasciarlo andare verso Indiana (Isiah Thomas ringrazia) affidando la panchina a Larry Brown, grande quanto imprevedibile allenatore.
Nel frattempo, la corsa al draft vede Detroit puntare, almeno sulla carta, sul giovane talento serbo Darko Milicic e questo rappresenta per Prince un bel problema.
Con l'arrivo del serbo infatti il roster dei Pistons conta oggi di due soli lunghi adatti al ruolo di centro, Elden Campbell e Ben Wallace e di ben otto fra ali piccole, grandi e atipiche.
La concorrenza per Prince appare spietata e mettere a posto uno scacchiere nel quale sono presenti i vari Williamson già sesto uomo dell'anno e grande lavoratore di gomito e di volontà , Darvin Ham, mai esploso grande atleta ex Milwaukee e Atlanta e perché no, proprio gli europei Milicic e Okur, sembra a molta parte della critica, il problema più importante che deve risolvere l'allenatore proveniente da North Carolina.
Ecco che per le Cassandre di turno, si parla di un Tayshaun svalutato e una franchigia troppo orientata verso nuovo baby fenomeno Milicic e già immemore dei minuti di mobilissima pallacanestro mostrata da Prince nel corso dei play-off precedenti.
A risolvere il problema ci pensa però proprio coach Brown.
Senza mezzi termini, nelle prime settimane di preparazione, il decano degli allenatori-capo di questa parte della lega, boccia quello che era stato uno dei motivi per i quali si era giunti al suo approdo in Michigan, quel Darko Milicic che nei primi allenamenti non sembra parlare la stessa lingua cestistica voluta dallo staff tecnico rosso blu.
Morale della storia, dopo 11 partite di regular season, la scelta numero 2 del draft 2003 deve ancora segnare i primi punti dal campo da professionista, mentre la 23esima scelta del draft 2002 ha collezionato 11 quintetti di partenza su 11 giocando in due ruoli molto diversi.
Nelle prime parti delle gare, coach Brown utilizza la tecnica e i centimetri di Prince (da ricordare che si tratta di un atleta di soli 97.5 chili distribuiti su 206 centrimetri) come ala piccola, mettendo Wallace in ala grande e Campbell da centro.
Non si tratta certo di una soluzione continuativa, tanto è vero che per la maggior parte dei suoi minuti di utilizzo, il numero 22 si schiera nello spot di Wallace con Williamson a supporto e il numero 3 a fare il centro.
Così facendo Detroit può sfruttare la velocità e il tiro da fuori di Prince avendo sempre almeno due soluzioni di rimbalzo pronte a supplire alla non proprio granitica stazza fisica del nostro principino.
A questo punto gli interrogativi sono due.
La soluzione tattica adottata da coach Brown è produttiva?
E soprattutto quale è il ruolo vero di Prince, ala piccola o ala grande?
Per quanto riguarda la prima domanda, è chiaro che pur trattandosi di un giocatore che fa del talento personale un piccolo bottino pieno di speranze, il suo impatto sulle fortune della squadra non è ancora quello decisivo.
Anzi, in un sistema equilibrato come quello di Detroit è molto difficile vedere un atleta che fa la differenza in termini offensivi.
Detto questo però, c'è da rilevare che Prince si è inserito con sorprendente naturalezza nella tattica spesso complicata dell'allenatore che si è sciroppato per più anni il caratterino di Allen Iverson.
Trattandosi di un giocatore atipico per conformazione fisica e per volontà personale, la sua stagione attuale sta portando statistiche non certo improntate alla ricerca dei record“tout court.
Prince sta mettendo a referto infatti “soli” 10.3 punti a gara, con 5 rimbalzi e oltre 2 assist di condimento, ma quello che deve entusiasmare il pubblico come la critica è il fatto che questo giocatore sa mettersi a disposizione del suo gruppo con applicazione e maturità , sa fare giocate importanti quando conta (è ad oggi il miglior tiratore da 3 per percentuale della squadra) e sa giocare sfruttando le sue capacità e sopperendo così ad una mancanza di chili che lo potrebbero invece condizionare.
Se si tratti poi di un'ala grande o piccola è davvero poco rilevante.
Nella pallacanestro ideata e pensata da Larry Brown i ruoli hanno spesso sfaccettature diverse, quello che sembra contare è che la duttilità oltre alla faccia tosta non mancano a questo atleta, un po' come non mancavano ad altri suoi colleghi con caratteristiche comuni.
Il nome di Robert Horry è già stato accostato almeno un paio di volte a quello di Prince. Se l'hobby di collezionare anelli fosse almeno simile, la Motown potrebbe ricominciare davvero a sperare per un futuro da leader della costa est.