Zach Randolph ride: ne ha tutte le ragioni
Lasciate perdere il giudice della contea di Eagle, i guai di Kobe Bryant con la cameriera, le accuse a Jerry Stackhouse di aver aggredito una ragazza dopo un litigio, le indagini su Damon Stoudamire trovato in possesso di una quantità di marijuana che avrebbe fatto invidia a Bob Marley… l'unico giocatore che questa estate ha fatto tremare le fondamenta della Olympic Tower a Manhattan, sede della NBA, condannato con una sentenza passata in giudicato, definitiva e inappellabile, non fa (ancora) parte del mainstream della Lega e indossa la maglia numero 50 dei Portland Trail Blazers, Zach Randolph.
Randolph è stato giudicato colpevole da un giudice di Marion, Indiana (cittadina natale del ragazzo) per un fatto di inaudita gravità : nel 2002 è stato pizzicato alla guida della sua auto con presenza di alcool nel sangue, e benché la quantità fosse al di sotto dei limiti di legge per incriminarlo per guida in stato di ebbrezza, il ragazzo all'epoca aveva 20 anni, età buona negli Stati Uniti per diventare fenomeni mediatici e incassare milionate di dollari da una delle 29 sorelle e dagli sponsor, ma non per avvicinarsi ad un liquido che contenga spirito (si seguisse sempre questo criterio, ad alcuni campus universitari si dovrebbero semplicemente aggiungere le inferriate alle finestre e chiudere i portoni dei dormitori a doppia mandata!).
Dichiaratosi colpevole di fronte a Dio e alla nazione, il giovane ha scelto la strada della redenzione, sacrificando una cospicua parte del suo contratto (dollari UNO, più qualche centinaio di spese legali “tecniche”) per saldare il suo debito con la patria e la giustizia.
Dopo un'estate segnata da questa indelebile infamia, Zach è tornato a lavorare in un ambiente sereno, con colleghi misurati e responsabili, che si spera possano fargli dimenticare in fretta le sue disavventure.
La comparsa di Zach Randolph sui sismografi che rivelano l'attività cestistica a livello di scuole superiori avviene nel 2000: la Marion High School vince il titolo statale dell'Indiana, trascinata da 28 punti e 11 rimbalzi del suo leader nella partita finale.
Zach, senior all'epoca, viene nominato giocatore dell'anno dello stato, MVP del McDonald's All Star Game, altro hardware con le tre lettere più amate da un giocatore (quelle più odiate? DNP) al Nike Hoop Summit, su ESPN Magazine un grande esperto come Dick Vitale lo classifica in cima alla lista di freshmen del campionato NCAA all'inizio della stagione 200/2001.
Già , la NCAA: Randolph, nonostante il corteggiamento insistito di una delle università “di casa”, Purdue, sceglie Michigan State, forse anche attratto dalla vittoria degli Spartans al Torneo NCAA l'anno prima. Di sicuro la scelta non è stata sbagliata: sul campo i risultati prodotti non sono stati scintillanti (le nude cifre parlano di 10,8 punti e 6,7 rimbalzi in 20 minuti di utilizzo medio), ma il lavoro di coach Tom Izzo si è visto soprattutto in palestra, dove il coach di origini italiane gli ha fatto aggiungere pericolosità offensiva anche al di fuori dell'area pitturata.
Alla fine dell'annata Zach parla con il coach, che da la sua benedizione: le dichiarazioni ufficiali non si discostano molto dal cliché degli underclassmen: “E' sempre stato un mio sogno giocare nella NBA… mi sentivo pronto per giocare al livello successivo… è ora di ripagare mia mamma per tutto quello che ha fatto per me…" ecc. ecc.
Insomma, anche senza essere Oscar Wilde Randolph si dichiara per il draft, e nonostante alcuni provini deludenti (scouting report che sembrano provenire dall'archivio personale di Oliver Miller recitano “è grasso, poco atletico e non difende”) viene scelto con il numero 19 dai Portland Trail Blazers, che saranno anche l'unico caso al mondo di ospedale psichiatrico dove i pazienti vengono retribuiti, ma quanto a riconoscere il talento senza sceglierlo in lotteria sono secondi a pochi.
Ovviamente la stagione da rookie è un mero apprendistato, visto anche l'affollamento del settore ali dei Blazers, che si traduce in un impiego di nemmeno 6 minuti di media a partita, ma già in allenamento si intravede che il ragazzo è uno con talento vero.
Soprattutto lo staff tecnico si accorge che Zach possiede una di quelle caratteristiche che oramai bisognerebbe guardare con l'occhio del naturalista che osserva una specie in via di estinzione: capacità di mettere le spalle a canestro, forza fisica, voglia di giocare dentro, prendere e dare botte e andare forte a rimbalzo, sia sotto il proprio canestro che sotto quello altrui. La fine della stagione 2002/2003 segna un punto di svolta: coach Maurice Cheeks decide di farlo partire in quintetto, e Zach lo ripaga con una doppia cifra abbondante di media e ottimi numeri a rimbalzo.
Nella serie di playoff di primo turno che i Blazers giocano (perdendo alla settima) contro i Dallas Mavericks le cifre parlano di 14 punti e quasi 9 rimbalzi in 30 minuti sul parquet: è il segnale che coach Cheeks si attendeva. L'estate segna molte novità nell'Oregon: Daniels, Pippen e Sabonis svuotano gli armadietti del Rose Garden per non farvi più ritorno e lo staff tecnico decide di lanciare Randolph in quintetto base nel ruolo di power forward, spostando Rasheed Wallace in ala piccola per sfruttare i mismatch contro avversari più piccoli.
Questa è la motivazione “da comunicato stampa”, quella ufficiale: in realtà la speranza di Cheeks e dei suoi assistenti è che il nativo di Marion possa diventare il leader di questa squadra, visto che i tentativi degli anni precedenti (Stoudamire, Wallace, Pippen, Wells) non sono andati benissimo.
Per ora la mossa ha pagato dividendi enormi: Zach sta viaggiando a 20 punti e 11 rimbalzi di media (di cui 4 in attacco, secondo nella classifica di specialità ), con oltre il 50% dal campo e l'80% dalla lunetta.
I suoi allenatori sostengono cha abbia ancora notevoli margini di miglioramento: perde ancora molti palloni (più di tre a partita), segno che non è ancora in grado di “leggere” a dovere i raddoppi con cui sempre più frequentemente le altre squadre lo onorano, e commette ancora troppi falli, che gli causano lunghe soste forzate in panchina.
Comunque c'è da stare allegri: la compagnia del 20+10 finora nella Lega è composta da Kevin Garnett, Tim Duncan, Shaquille O'Neal… praticamente tutti gli MVP della regular season, delle finali o dell'All Star Game degli ultimi anni!
Se continua così, le lettere a cui Randolph può legittimamente aspirare sono quelle di MIP, Most Improved Player (con la doverosa concorrenza di Ronald Murray). Potrebbe finalmente festeggiare con un brindisi.
Senza dover ripassare dal giudice poi.