L.A Clippers

Corey Maggette saprà  guidare i Clippers verso un futuro vincente?

'Sta stagione non cambiare, la post season la vediamo con il cannocchiale"

Il buon Piero Focaccia e i lettori tutti mi scuseranno, ma questo non certo memorabile ritornello, potrebbe calzare davvero a pennello per l'ennesima stagione “a rischio” dei derelitti Los Angeles Clippers.

Che i Clippers non siano la franchigia NBA a navigare, non c'è proprio verbo più calzante, in acque gloriose, non è una novità .

Questa stagione però è partita con una nota di pessimismo da parte della critica, del pubblico e degli addetti ai lavori in genere, ancora più marcata rispetto a quelle che l' hanno immediatamente preceduta.

Appena dodici mesi fa, di questi tempi, una certa voglia di lasciarsi prendere da morigerati entusiasmi stava contagiando la parte povera della California.
La squadra non era certo padrona del suo destino, non veleggiava verso il primato della conference, ma alcuni precisi segnali davano nel talentuoso e giovane gruppo in maglia bianco rossa, una possibile sorpresa per molti avversari.

Questo piccolo miracolo avrebbe però potuto accadere, solo a precise condizioni.
Mantenere il gruppo che si stava delineando con uno sforzo economico fino ad allora estraneo alla mentalità  della dirigenza.

Recuperare le individualità  più importanti attraverso una mirata politica di squadra, che avrebbe dovuto privilegiare gli interessi del gruppo a discapito della voglia dei giocatori di levare le ancore verso lidi più remunerativi.

Concludere la stagione con un bilancio decente, per potersi poi concentrare sul draft e qui cercare di trarre profitto da ogni possibile giro di palline del quale si sarebbe beneficiato.

Infine, ma non meno importante, mettere la squadra nelle mani di un allenatore davvero capace di portare le mille teste calde presenti nello spogliatoio verso un obiettivo comune.

In un arco di tempo di un annata, la sola condizione che la dirigenza Sterling ha saputo mantenere, è stata quella di mettere sotto contratto un allenatore davvero bravo, motivatore e preparato come Mike Dunleavy Sr.

L'ex coach di Lakers e Portland Trail Blazers è arrivato ai Clippers per colmare un vuoto davvero ingiustificato nell'organigramma degli allenatori NBA e per dare una guida ferma ad un gruppo che in passato aveva pericolosamente oscillato fra la mediocrità  e l'incapacità  di mettere a frutto il talento a disposizione.

Purtroppo per lui, nel frattempo il paniere promessogli per il suo nuovo pic-nic nel basket professionistico si è impoverito e non di poco.

Fedeli alla linea che tanti successi a portato all'organizzazione negli ultimi lustri, i dirigenti (giusto usare una dizione indefinita per non creare un nuovo caso Layden) non solo hanno visto naufragare le speranze della stagione 2002/2003 in un gioco insensato a chi si poteva mettere meglio in vetrina a scapito del gioco di squadra, ma non contenti, durante la post season, hanno depauperato il capitale umano a disposizione con autentiche perle di gestione.
Elencandole in ordine sparso: sono stati persi André Miller e Lamar Odom, qualcuno dice volontariamente, per farli svernare rispettivamente fra le montagne del Colorado e le spiaggie della Florida. Per la serie: chi non ci vuole non ci merita!

E' stato altresì perso, ma qui forse non si è trattato di una tragedia, Michael Olowokandi, finito a Minnesota dopo aver mostrato per qualche settimana il suo lato scintillante e per molto più tempo quello un po' più oscuro.

I cordoni della borsa sono stati allargati per un contrattone a Elton Brand, giocatore già  All-star e dal rendimento più che costante ma che per molti non potrà  mai rappresentare una base adeguata sulla quale costruire una franchigia vincente.

Il draft è stato affrontato con un paio di scelte quanto meno azzardate che hanno fruttato l'arrivo del lungo Chris Kaman e di “baby Shaq” Sofocles Shortianidis.

Si tratta certamente di due giocatori da rivedere. Certamente non utili sin da subito, tanto che il primo sta avendo un minutaggio già  scarso in attesa di lavorare e migliorare, il secondo è a Cantù a giocarsi minuti di notorietà  in Brianza sotto la guida di Dan Gay.

Almeno per lui non può che essere d'aiuto"
Fin qui le note dolenti. Gli errori.
Tutto sbagliato quindi?
Certamente no.

No, perché nella NBA nulla è scontato.
E No, perché qualche pallida luce potrebbe scaldare i cuori dei tifosi angelini non pro-Lakers, almeno fino a quando la figlia di Jerry Buss non deciderà , come peraltro ha già  promesso, di acquistare in proprio l'altra franchigia della sua città  portandosi in dote il fidanzato e un giocatore a caso in maglia 8.

Le luci in questioni devono per forza essere il già  citato Dunleavy, allenatore vero prima che tecnico competente, che potrà  contare sul sopravvissuto all'estate Corey Maggette.

L'ala scuola Duke dovrà , volente o nolente, trasformarsi nel 2004 da quasi uomo Utah a vero perno del gioco Clippers. Con Maggette i Clippers dovranno vivere o morire, insomma il Lebron dei Clippers dovrà  essere lui.

Gli svantaggi per lui, saranno chiaramente quelli legati ad una pressione molto più alta di quella abituale, ma a favore ci potrà  essere la possibilità  di una stagione grandi cifre con automatica vetrina futura garantita.
Accanto a Maggette, ancora e sempre, uomini scommessa.

Se Kaman potrà  essere valutato solo sul lungo periodo, Quentin Richardson, Keyon Dooling e Chris Wilcox dovranno, al pari del numero 50, crescere di rendimento e mentalità  velocemente, dimenticando le piccole questioni personali e facendo vedere che come si può passare dallo status di promessa interessante a quella di realtà  vera.

Le cifre di inizio stagione, non sono incoraggianti.
Complice un brutto infortunio a Brand (2/3 mesi di stop la prognosi), la squadra ha subito inanellato due sconfitte vecchia maniera anche se nel terzo impegno di stagione la vittoria è arrivata contro i Nuggets di un già  fenomenale Carmelo Anthony.

Da segnalare che per i Clippers, questo pessimismo mal celato nella critica potrebbe essere lo stimolo giusto per fare bene e infine da rimarcare che come arma tattica, Marko Jaric e Predrag Drobnjak hanno già  tappato più di una falla nel fronte di ragazzini capricciosi dello spogliatoio bianco rosso.

Con tutti i loro difetti, la loro mancanza di atletismo, la scarsa personalità , almeno questi due giocatori hanno nei cromosomi e nel palmaresse una certa attitudine alla vittoria e certamente questo, Mike Sr. lo ha già  capito.

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