Kurt Thomas disperato dopo l'ennesima sconfitta
Due vittorie, sette sconfitte: la fossa è scavata e non è detto che la sua profondità si fermi qui.
Pare, insomma, che la stagione di New York sia già indelebilmente segnata, come d’altronde è successo l’anno scorso, esattamente dopo lo stesso numero di partite.
E sì, perché se nella passata stagione oggi rientrava un certo Latrell Sprewell, ora non si vede nessuno che possa fare il “salvatore della patria”.
Certo, è dato per imminente in rientro di Antonio McDyess, ma da qui a dire che risulterà decisivo dopo due anni senza gare è quantomeno azzardato.
Il punto è: l’anno passato i Knicks non hanno più ricucito lo stesso strappo… cosa fa pensare che quest’anno ci riusciranno? Nulla.
Partiamo comunque con la cronaca spicciola, ossia analizzando i punti salienti delle partite giocate, tutte terminate con una sconfitta.
La prima gara settimanale ha visto i Knickerbockers andare a far visita ai Cleveland Cavaliers di LeBron James. Debacle netta, 94-80, con i padroni di casa avanti anche di 22 e Knicks demoliti come al solito dentro l’area colorata. A questo va aggiunto un campionario vario di come non bisogna giocare a basket, contro avversari che avevano fino lì vinto una sola gara.
E’ arrivato poi il derby dell’area metropolitana della Grande Mela: visita al di là del tunnel ai New Jersey Nets. E’ toccato a Jason Kidd e compagni pasteggiare al tavolo dei cugini, in una gara in cui coach Don Chaney è andato nel “balordone più totale” (Fantozzi Rag. Ugo docet).
L’allenatore ha, innanzitutto, messo in quintetto Howard Eisley al posto di Charlie Ward (che sta viaggiando a più di otto assist di media) per la prima volta in questa stagione. La scusa ufficiale è stata che: “Eisley non produce se entra dalla panchina e da oggi si giocherà così”. In questo modo “Horrible” Eisley ha deliziato il pubblico con 29 minuti di nulla, altro che produzione di punti/assist.
Poi Chaney non ci deve avere capito molto mentre Kidd portava a scuola la difesa degli ospiti e la confusione si è impossessata del coach, che ha continuato a ruotare il quintetto, sparando in campo tutti i dodici uomini a disposizione.
A nulla è così servito l’ormai abituale trentello di Allan Houston nell’85-80 finale. E’ così arrivata la decima sconfitta negli ultimi undici incontro contro i Nets.
Un proverbio dice che la fortuna aiuta gli audaci. Bene, Chaney è dunque pure sfortunato. Nell’unica gara casalinga della settimana, contro gli Indiana Pacers, è Reggie Miller, il nemico storico di New York, a condannare i Knicks all’ennesima sconfitta (95-94): 31 punti, con un 6/7 dall’arco dei tre punti. Ma questo non doveva quasi essere un ex giocatore?
I bluarancio vanno subito sotto, prepotentemente, poi i Pacers stanno nel terzo periodo per otto minuti senza segnare ed i padroni di casa piazzano un parziale di 24-0 (record franchigia), passando a condurre 72-63, ma poi naturalmente si spengono, mentre si accende Miller.
Mutombo, che gioca finalmente 34 minuti, regala 13 punti e 14 rimbalzi, ossia tutto quello che si vorrebbe da lui, Chaney permettendo.
Analizzate le gare, passiamo a trattare proprio di Dikembe Mutombo e della sua telenovela, dato che sono sorte indiscrezioni dai soliti bene informati.
Nella recente sconfitta a Milwaukee, pare che Deke abbia avuto una discussione con Chaney, a bordocampo, mentre i Bucks stavano distruggendo i newyorkesi sotto canestro. “Provami quando schierano il quintetto piccolo, mettimi in campo” avrebbe detto l’africano al coach, che ovviamente ha declinato l’invito.
Chaney, stizzito (si parla anche di uno scambio di battute non proprio signorile con un reporter che gli rinfacciava i pochi minuti di Mutombo) ha replicato in conferenza stampa: “Non metto Mutombo sul parquet in una situazione dove con lui in campo avremmo uno svantaggio…. Non lo metto in una situazione in cui deve difendere contro un avversario che non può tenere. Non metto la squadra così in difficoltà ”.
Ovviamente, tutti si chiedono come mai questo allenatore sia da due anni che imputa le proprie sconfitte al fatto di non avere un centro rimbalzista/stoppatore e quando ce l’ha non lo fa giocare.
Misteri del basket NBA, misteri di un dipendente che sbaglia tutto ma non viene licenziato dai suoi superiori mentre in qualsiasi altro lavoro sarebbe già a spasso da un bel pezzo.
La situazione, come dicevamo all’inizio, è davvero preoccupante. Il baratro tra vittorie e sconfitte è di quelli pesanti.
New York segna 86 punti a gara, ventiseiesima squadra NBA nella produzione di punti e ne subisce 91. Perde 17 palloni a gara e ne forza solo 12. I numeri, come diceva Spree, non mentono.
Ma il problema maggiore è quello di non riuscire a mantenere i vantaggi, ossia il solito cronico problema. Pure Peter Vecsey, analista della ESPN, ha scritto quello che noi predichiamo da anni su queste pagine: New York non ha realizzatori in post basso, gente che, quando nell’ultimo periodo le difese NBA stringono le maglie, possa andare a tentare tiri da sotto, tiri ad alta percentuale realizzativa rispetto a soluzioni dalla media o dall’arco.
I Knicks devono invece affidarsi agli esterni, Houston e Sprewell prima e Houston e Van Horn oggi. Ovviamente le percentuali realizzative scendono e gli avversari possono rientrare nel punteggio. Aggiungiamoci che senza Spree il roster è stato privato dell’unico penetratore ed il gioco è fatto.
I Knicks sono poi, ad oggi, un team abbastanza vecchio, lento e con le esecuzioni dei giochi quantomeno incerte (come testimoniano le numerose palle perse).
Tutti questi problemi si spera che verranno risolti con il ritorno di Antonio McDyess. I più ottimisti avevano ipotizzato un rientro già contro i Nets, ma Dyce ha smentito, non sentendosi ancora pronto e prendendosi così un’altra settimana di “contatti veri” in allenamento.
Da qui a dire che lo sfortunato ex-Nuggets salverà i Knicks, è affrettato e quantomeno ingeneroso nei confronti di un giocatore che necessita di tempo e non di quella pressione che sicuramente avrà da parte di tutta la New York cestistica dal primo minuto calcato sul parquet.
Buona fortuna, Antonio…