La prima opzione d'attacco degli Hornets sarà ancora Monster Mash
Quiz di metà ottobre per tutti gli sportivi all'ascolto. Che cosa possono avere in comune città quali Parma, Genova, Auxerre, Gelsenkirken e… New Orleans?
A prima vista la risposta dovrebbe essere davvero poco.
Parma e Genova sono Italia, sono due scrigni di opere d'arte, sono bellissime città e certo non brillano per mondanità , almeno il Ducato, almeno per gli standard americani.
Auxerre e Gelsenkirken sono sviluppate realtà lavorative dei rispettivi stati. Sono due città onestamente bruttine, sono buie, nebbiose ed entrambe hanno saputo risollevare la propria economia da paurosi periodi di crisi.
E allora che cos'avranno mai in comune con la frivola città della Louisiana? Con la capitale del blues, con la città dei vampiri romantici e del Voodoo?
Fino ad un paio d'anni fa nulla, ma da quando (e qui arriva il collegamento, quanto mai labile, del discorso) la franchigia degli Hornets vi ha traslocato dal North Carolina, anche la città creola in terra statunitense è entrata a far parte del club delle piazze che un folto numero di giornalisti ha battezzato “isole felici”.
Che cosa rende una città un' isola felice?
Se chiedete ai tifosi di Parma, ai supporter dell'Auxerre, allo staff tecnico dello Schalke 04 o della Sampdoria, questa definizione dovrebbe individuare un posto dove si può lavorare in modo positivo, dove la pressione del pubblico è limitata, dove l'entusiasmo è dettato dai reali risultati e non dalle voci sulla vita privata dei giocatori, dove si prende quello che viene e non ci si lamenta per quanto avrebbe potuto essere.
Parametrata agli standard della NBA, la situazione degli Hornets potrebbe essere proprio quella di un'isola felice.
La squadra più sottovalutata della lega sta cominciando in queste settimane la campagna d'avvicinamento alla regular season 2003/04 e anche se neppure un solo giornalista nell'intero panorama americano vede gli Hornets favoriti, anzi, le premesse per una annata quanto meno divertente a dispetto di un estate tiepida ci sono tutte.
Partiamo con uno sguardo all'indietro.
Quali pezzi ha perso la franchigia delle api, nella corsa al 2004?
Pochi. In primis, l'allenatore Paul Silas se n'è andato a Cleveland, a fare da balia al popone più desiderato della lega, il nuovo numero 23 in circolazione, Lebron James.
Con lui ha levato le ancore anche Elden Campbell, centro non certo muscolare, ma che nelle ultime stagioni aveva costituito un punto fermo nell'economia del gioco verde-viola.
Chiaramente quando una squadra come gli Hornets cambia, lo dovrebbe fare con il preciso intento di scrollarsi di dosso qualche etichetta di troppo. Invece, alla faccia del resto degli USA e con apprezzabile faccia tosta, anche quest'estate New Orleans ha operato sul mercato con politica “decaffeinata”, prendendosi però anche un paio di rischi notevoli.
Il primo e più grande è quello che riguarda la panchina. Al posto di Silas, la dirigenza ha deciso di chiamare Tim Floyd, l'uomo che qualche anno fa ha sostituito, con fortune decisamente scarse alla guida dei Bulls, Phil Jackson.
Il suo trascorso in Illinois, gli ha fruttato un bilancio assolutamente negativo, una manciata di insulti da parte del pubblico della città del vento e una etichetta di perdente (almeno a livello pro) che l'ex enfant prodige vorrebbe staccarsi di dosso al più presto.
Per fare questo, la squadra quest'anno si baserà ancora su un collettivo molto compatto, fatti di poche (forse solo due) stelline vere ma con una identità chiara e marcata.
I numeri pesanti dovranno arrivare decisamente da Jamal Mashburn, reduce da una delle sue stagioni complessivamente migliori anche se ormai con 10 anni di basket professionistico sulle spalle e ovviamente dal Barone, al secolo Baron Davis.
I problemi che la scorsa stagione hanno afflitto il fisico del povero numero 1 sono talmente tanti da rendere inutile l'elencazione, ma quest'anno non c'è dubbio che un suo rientro, magari al livello che lo ha portato all'all star game, potrebbe cambiare e non di poco i numeri del bilancio della franchigia.
Davis e Monster Mash, si portano in dote ritmo, capacità in campo aperto e una straordinaria capacità di aprire la scatola in attacco.
Al loro fianco però, gli atleti capaci di dare contributo sono almeno quattro.
David Wesley è forse il simbolo degli Hornets. Si tratta infatti di un giocatore ammiratissimo per la tecnica e lo stile (16.7 punti a partita nel 2003 con oltre il 40% da tre), ma sul quale pochi, fuori dalla sua attuale squadra, hanno puntato davvero forte, forse per mancanza di personalità .
La personalità non è mai mancata invece a Darrell Armstrong.
L'ex play di Orlando non si è lasciato in eccezionali rapporti con i suoi ex datori di lavoro e proprio sulla sua voglia di rivalsa potrebbero puntare i tecnici delle api.
Sotto le plance il concetto di utilità è stato rispettato in pieno. A lavorare duro staranno infatti Jamaal Magloire e P.J. Brown (più Rooks e Traylor), trattenuti con grande decisione nella Louisiana nonostante le tante sirene arrivate per trasferimenti qua e là nella NBA, forse perché atleti del loro stampo a Est possono e devono fare la differenza, nonostante almeno per il primo, i numeri da giocatore d'impatto debbano ancora farsi vedere.
Per quanto riguarda il draft, dall'urna gli Hornets hanno pescato due ragazzi da front line come David West e James Lang, tutti da scoprire, ma un occhio di riguardo bisognerà continuare a darlo a George Lynch, il sempre affidabile prodotto da North Carolina che dopo qualche annetto di militanza fra i pro rappresenta ancora un'arma tattica di prima importanza per duttilità e impegno, un altro specchio fedele della filosofia di casa Floyd.
Come per tutti i campionati che valgono, anche nella NBA la pre-season ha un peso relativo.
Se però vogliamo dare un minimo di occhiata a queste prime partite, non si può non apprezzare la coerenza della squadra, che sta viaggiando con un 4 vinte e 2 perse di parziale, senza minimamente essersi discostata dalla sua classica impostazione, senza avere ancora praticamente utilizzato Mashburn ma con segnali di grande vivacità da parte di Davis e perché no, del giovane West.
La scommessa è aperta, riusciranno i perdenti sottovalutati a farsi strada nella Eastern Conference? Qualcuno a New York potrebbe già cominciare a tremare…