Che vi ricorda se vi dico: giugno '97 Delta Center Salt Lake City??? Esatto…The Shoot!!!
Grazie mille Steve. Grazie mille perché ci hai dimostrato che per giocare nella NBA non bisogna essere alti e grossi, non bisogna saltare come dei grilli o correre come delle gazzelle e non è necessario avere muscoli grandi e pompati, l'unica dimensione che veramente conta è quella del cuore.
Bisogna avere un cuore grande, un cervello che "corre" più delle gambe, una volontà di ferro, una passione smisurata e tanto, tanto sacrificio per emergere, per avere la possibilità di giocare e farlo al meglio nella "Lega dei sogni". Forse più di tanti altri Steve ha "impersonificato" l'uomo comune, quello che incontri per strada e magari non riconosci, che ti passa accanto e non diresti mai che possa essere un atleta professionista.
Sarà forse per la sua grande semplicità e naturalezza, la stessa che lo ha spesso portato in Italia d'estate a presenziare a camp per i giovani, ad insegnare i segreti del tiro, come appoggiare i polpastrelli sulla palla, a migliorare il rilascio della sfera, lì su un campetto, in braghe di tela a sudare sotto il sole felice come un ragazzino, in mezzo a tanti ragazzini che lo ammiravano come un eroe.
Insomma ci mancherà molto la sua "zazzera" bionda da eterno giovanotto, il suo sorriso contagioso, la sua voglia di giocare e divertirsi sempre e comunque, di affrontare nuove sfide senza tirarsi indietro con la semplicità e la naturalezza che solo i grandi hanno. Già , perché Steve Kerr, checche se ne possa dire, in questo sport la sua impronta l'ha lasciata eccome, ed ora che ha deciso di ritirarsi e dire basta è giusto rendere merito a tutto ciò che ha fatto.
Cinque titoli NBA, 3 con i Bulls di Jordan, Pippen e Rodman, 2 con gli Spurs di Duncan e Robinson, il secondo ad aver vinto due titoli consecutivi con due diverse squadre dopo Frank Saul (1950-51 Rochester Royals, 1951-52 Minneapolis Lakers). Tutte vittorie che portano anche la sua firma, alcune suggellate con tiri pesanti (vedi gara 6 a Salt Lake City nel giugno '97) altre vinte "nell'ombra", ma sempre accompagnate dalla "tripla" nel momento cruciale.
Tanti record individuali a livello NBA: miglior percentuale nel tiro pesante per una stagione (.524 con 89-170 nel '94-'95), miglior percentuale da tre in carriera (.459 con 677-1495), due volte primo nella Lega nel tiro pesante ('89-'90 e '94-'95), vittoria nell'All Star Game del '97 nella gara da oltre l'arco.
Ma forse la consacrazione più importante, che va oltre le tante vittorie e i singoli riconoscimenti, è la stima di compagni ed allenatori oltre al rispetto di tifosi ed avversari. Lo stesso Michael Jordan è rimasto contagiato dallo spirito e dalla forza del giocatore e dell'uomo tanto da eleggerlo a suo particolare beniamino e fido scudiero nei Bulls del secondo three-peat.
Nella sua e vita e nella sua carriera Kerr ha avuto tante gioie, ma anche tanti dolori; nel suo terzo anno alla Arizona University ricevette la notizia della morte del padre, rettore all'università americana di Beirut in Libano, a causa di un attentato degli ezbollah. Forse quello fu il momento più difficile della sua vita, ma seppe reagire tuffandosi nello sport e nella vita. Dopo il quadriennio coi Wildcats (terminato come quinto realizzatore ed una Final Four nel 1988) venne scelto come n.50 dai Phoenix Suns nel draft '88.
La stagione di esordio non fu delle migliori, passò moltissimo tempo in panchina ed a fine anno fu mandato a Cleveland. Coi Cavs Kerr ebbe un ottimo impatto, alla prima stagione giocò 78 gare e chiuse primo nella Lega nel tiro da tre. Le successive tre annate furono però molto dure, Lenny Wilkins non gli diede molto spazio così, nella stagione '92-'93 dopo solo 5 partite giocate lo mandò ad Orlando. In Florida la carriera di Steve invece di decollare subì un'ulteriore stop, infatti dopo 47 gare con pessime cifre chiuse l'anno in infermeria.
Proprio quando la sua carriera pareva compromessa arrivò la proposta dell'allora GM dei Bulls Jerry Krause bisognoso di un tiratore efficace ed esperto. A Chicago Kerr iniziò una nuova "vita", due buone annate agli ordini di Phil Jackson che lo utilizzava come specialista del tiro nel suo attacco triangolo che ne esaltava la grande intelligenza tattica e la precisione da oltre l'arco.
Col ritorno di MJ, nella seconda parte della stagione '94-'95, Steve diventò ancora più importante per questa squadra prendendo, di fatto, il posto di John Paxson nello scacchiere dei Tori. Proprio Michael diede la sua "benedizione" al ragazzo dopo i primi allenamenti di fuoco imposti dall'alieno, Steve dimostrò un grande carattere, si impegnò al massimo arrivando persino a discutere con il n. 23 in allenamento. Questa dimostrazione di carattere aumentò la stima della squadra nei suoi confronti rendendolo un "intoccabile" nel gruppo. Il resto è storia trita e ritrita: 3 titoli consecutivi, suggellati dal tiro decisivo in gara 6 contro i Jazz nelle finali del secondo anello.
Finita l'epopea dei grandi Bulls nel 1998 firmò, nella stagione del lock-out, con gli Spurs. A San Antonio Kerr fu importante sopratutto nello spogliatoio, lui aveva vinto e sapeva come farlo, i compagni lo ascoltavano ed alla fine di una stagione un po' particolare poté festeggiare il suo personalissimo quarto titolo di fila. Anche in Texas Steve aveva fatto breccia nei cuori di compagni e tifosi, David Robinson lo trattava come un suo carissimo amico e Duncan ne lodava l'etica lavorativa e l'esempio dato a tutto il gruppo.
L'avventura all'ombra dell'Alamo durò altre due stagioni a cui seguì la cessione ai Blazers dove era stato "caldamente" richiestola coach Cheeks che sperava potesse dargli una mano in una squadra giovane ed un po' turbolenta. Anche a Portland la guardia ha continuato a fare il suo dentro e fuori, ma, appena finito l'anno e scaduto il contratto ha voluto fortemente il ritorno agli Speroni.
Di nuovo a "casa" ha saputo calarsi nel ruolo di chioccia per i tanti giovani del gruppo aiutando soprattutto Ginobili ad ambientarsi e stando vicino a Parker dopo il suo avvio di stagione negativo. Però quando c'è stato bisogno di lui Kerr non ha rinunciato alla zampata vincente propiziando, con le sue incredibili triple, la rimonta in gara 5 contro Dallas in finale di Conference spianando la strada verso la finale ed il suo quinto titolo.
Oggi che ha deciso di smettere con il basket giocato potrà finalmente dedicarsi completamente alla moglie Margot ed ai tre figli Nicholas, Madeline e Matthews; ha poi espresso il desiderio di continuare i suoi studi in Storia Americana continuando però ad occuparsi del suo Master in "Sports Administration".
Speriamo però che un giorno trovi la voglia e lo spazio per dedicarsi ancora a questo sport che ha tanto bisogno di uomini come lui.