Aria nuova nella capitale

Un'altra estate di lavoro per Kwame Brown. I Wizards si aspettano tanto da lui…

L'ottovolante si è fermato. Gli Washington Wizards hanno vissuto questi ultimi 4 anni in una centrifuga. Dal momento in cui Michael Jordan ha deciso di entrare a far parte della franchigia, occuparsi delle questioni tecniche, ed infine contribuire alla loro causa facendo quel che sa fare meglio: giocare.

Per due anni l'interesse e la mole di parole ricaduta sugli Wizards son state di gran lunga superiori a quelle riservate ad una qualsiasi altra squadra che non abbia centrato nemmeno i playoffs. In particolare in quest'ultimo anno.

In fin dei conti la squadra ha ottenuto risultati superiori alla media: Washington, prima Bullets poi Wizards, a lungo ha costeggiato la Nba. Una sola partecipazione ai playoffs, nel '97, la squadra di Webber e Howard, eliminati al primo turno dai Bulls. E poi tanti bassifondi della Atlantic Division.

Con Webber, con Rasheed Wallace, con Richmond. Per questo le ultime due stagioni della squadra sono le migliori che Abe Pollin, proprietario della franchigia da 39 anni, ricordi da molto tempo a questa parte.

L'ottovolante si è fermato, dopo che aveva dato pesanti segnali di cedimento strutturali. Un finale di stagione in cui il clamore del giro d'onore tributato a Jordan non ha nascosto le laceranti polemiche all'interno della squadra.

Un tutti contro tutti, scontenti ovviamente, che si è protratto durante l'estate. Vittima della situazione, o forse no, per una volta proprio Michael Jordan, disarcionato dalla carica di Presidente delle operazioni tecniche. A vantaggio di Ernie Grunfield, ex Bucks, soprattutto ex New York Knicks. Che non ha perso tempo, nominando Eddie Jordan nuovo head coach.

In una recente intervista Abe Pollin ha spiegato le motivazioni che lo hanno portato alla decisione di rinunciare all'aiuto di Mj: "Ho cercato di prendere - ha detto - una decisione che, per quanto dura, facesse il bene della squadra. E' importante considerare che abbiamo rinunciato al manager Michael Jordan, non al giocatore."

Una sostanziale bocciatura delle scelte e delle decisioni prese dall'ex North Carolina in questi anni. Lo stesso Pollin non ha voluto commentare le voci di forti dissapori fra i due, trincerandosi, dietro la parola "rispetto".

Del ruolo di Jordan s'è parlato tantissimo: dall'ex giocatore, un po'sovrappeso, furibondo ad ogni sconfitta della sua squadra, al giocatore, vice allenatore, sotto la guida di Doug Collins. Tante idee, molte scelte controverse e discutibili. Ma una squadra che, come talento, non teme il confronto con nessuna avversaria dell'est.

Subito dopo la decisione di ritornare un giocatore, Jordan, nella sua particolare veste di giocatore e datore di lavoro di Doug Collins, dichiarò che la squadra avrebbe fatto crescere i giovani e che lui avrebbe dato il suo contributo di esperienza. I giovani in questione: Kwame Brown, ovviamente, Courtney Alexander e Richard Hamilton.

Le cose non sono andate esattamente in quella direzione: Alexander fu scaricato quasi subito. Kwame Brown da due anni fa la spola fra il quintetto e l'ultimo posto in quintetto. Clamoroso il caso di Hamilton, a metà  stagione in possesso del miglior palleggio-arresto-tiro, in uscita dai blocchi, e scambiato a fine campionato.

Di qui la tendenza di Michael a innamoramenti rapidi ed altrettanto rapide ritirate. Sullo stile di Larry Brown, non a caso proveniente dalla stessa scuola di basket.

Nella seconda stagione Jordan sconfessò se stesso più volte: all'inizio abbandonando il progetto a lungo termine, per una squadra che avesse la possibilità  di ben figurare. Jerry Stackhouse, la stella, Larry Hughes, Bryon Russel. L'esperienza di Charles Oakley. E pur sempre giovani interessanti: Jeffries per tutti.

Com'è andata lo sappiamo. Michael ha lasciato il ruolo di sesto uomo, disegnato da Collins per averlo fresco nei finali, quasi subito. Il progetto "Hughes in play makin'" abbastanza abortito. E la dichiarazione pesante, dopo una sconfitta, nell'ultima partita di Michael a New York: "Questi ragazzi non hanno abbastanza cuore, non desiderano abbastanza andare ai playoffs". Un macigno.

In molti si sono stupiti che il là  alle critiche estive, lo abbia dato Stackhouse, ex North Carolina, uno che in Jordan dovrebbe vedere l'idolo. L'accusa: aver tirannizzato la squadra, costretta a giocare sotto ritmo, seguendo le esigenze di Michael. Una sorta di "Se affondate lo fate con me al timone."

In quel preciso istante si intuì quanto lunga sarebbe stata l'estate nella capitale. E si capì che qualche testa sarebbe dovuta cadere.

La principale colpa di Jordan è stata quella di applicare, come metro di giudizio, agli altri giocatori, la volontà  di sottostare ai suoi massacranti carichi di lavoro. Da qui il valzer di opinioni sui giocatori del roster. La bocciatura di Hamilton, reo di non alzarsi alle 6 del mattino per lavorare con i pesi.

E forse qualche scelta tecnica sbagliata. Sul finire della stagione coach Collins dichiarò: "Il mio principale rammarico tecnico per questa stagione è di non aver dato spazio sufficiente a Tyronne Lue". Specchio delle difficoltà  della squadra, in particolare nei finali di partita. Jordan&Stack in campo per forza ed uno Hughes che ha chiarito a tutti la differenza tecnica fra palleggiare bene ed essere un regista. Ed i finali persi punto a punto, da una squadra asfittica nel gioco a metà  campo.

La prima decisione tecnica del nuovo Gm, Grunfield, sconfessa quanto fatto nell'ultima stagione. La firma di Gilbert Arenas, dagli Warriors a 65 milioni di dollari, conferisce al Maravich nero lo spot esclusivo di point guard. Il giocatore è un diamante grezzo, valorizzato dallo stile di gioco "run&gun", utilizzato nell'ultima stagione da Musselman nella Bay area.

Dato per scontato Stackhouse in guardia, si dovrà  decidere di cosa fare dell'ex Sixers. Anche perché nel frattempo, il ritorno di Chriss Whitney, ha rimpolpato ulteriormente il back court.

Nel settore lunghi le certezze non sono molte di più. Tre giocatori: Jahidi White, Brendan Haywood, Kwame Brown. Con potenziale, in grado di fare la differenza nella Eastern Conference. Ma sostanzialmente immersi nella mediocrità . Una sera molto bene, una molto male.

Le prime dichiarazioni di Eddie Jordan non sono state memorabili: energia, altruismo, attesa di cominciare sono parole tipiche da conferenza stampa di presentazione. Probabile che il ruolo di leader del gruppo venga conferito a due veterani: Stackhouse com'era peraltro nei piani, e Laettner.

La squadra rimane competitiva per un posto ai playoffs. In un panorama che ad est si presenta piuttosto magmatico.

Possibile che i giovani, che negli ultimi due anni hanno sofferto il clima da ultima tournè dei Beatles attorno a loro, crescano in un contesto gli Wizards torneranno a essere semplicemente la squadra di basket della capitale.

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