Rod Thorn: una vita nella NBA

Eccolo assieme a Jason Kidd e famiglia: portarlo e tenerlo ai Nets è stato uno dei suoi capolavori

Spesso nella vita di un uomo non è facile trovare la propria strada, c’è chi nasce con in mente un solo grande obiettivo e chi la propria via la trova vivendo. Non c’è una formula magica, un trucco o un qualcosa d’altro che possa aiutarti a scoprire per cosa sei stato messo al mondo, così come non c’è un’età  entro la quale, per magia, le idee diventano più chiare ed il tutto appare più nitido e comprensibile.

Quindi la sola soluzione che sembra praticabile è quella di vivere fino in fondo la propria esistenza, guardando al futuro si, ma senza perdere d’occhio il proprio passato e magari, guardandoci attorno, prima o poi scopriremo cosa il destino ci ha riservato.

Forse deve aver pensato proprio questo (o magari sono solo io a fantasticarci su) Rod Thorn negli ultimi anni alla guida dei Nets e così, dopo aver peregrinato molto nel mondo della pallacanestro, sembra aver trovato la sua collocazione ideale, e con essa i meritati riconoscimenti di una carriera spesa in questo sport.

Figlio del West Virginia Rod è stato un giocatore di basket appena sufficiente, dopo l’università  nello stato natio, ha girovagato tra NBA ed ABA con compiti marginali e, il più delle volte, come specialista difensivo.

Non era un predestinato e lo sapeva, certamente non era stato baciato dal talento, ma l’impegno e la dedizione gli hanno consentito di rimanere a galla più che dignitosamente e di chiudere la sua carriera, dopo essere passato per Washington, Detroit e St. Louis, a Seattle con le sue migliori stagioni e tanto affetto da parte dei tifosi locali.

Appese le scarpe al chiodo nel ’71 ad appena 31 anni è rimasto ai Supersonics con vari compiti organizzativi tra cui quello di assistente, prima di Lenny Wilkins, poi di Tom Nissalke. Furono due anni molto fruttuosi perché da un lato gli consentirono di imparare tanto, dall’altro di maturare la decisione di “voler rimanere” in questo mondo che amava tanto.

Nel ’73 decise di lasciare la west coast per trasferirsi ai New York Nets nella ABA come vice dell’ex compagno Kevin Loughery e qui, al suo primo anno, arrivò il titolo di campioni della Lega con una squadra bella e divertente in cui spiccava il talento di Julius Erving.

Nel ’75 accettò la panchina degli Spirits of St. Louis, Rod si sentiva pronto per “volare” con le sue ali, ma fu un’annata sfortunata che terminò con il ritorno, come assistente, ai Nets che nel frattempo, fallita la ABA, venivano integrati dalla NBA.

Arrivarono due annate mediocri al ritorno nella Grande Mela che però aiutarono Thorn a capire che il pino, in fin dei conti, non faceva per lui: troppo stress, viaggi stancanti, tanti piccoli problemi ed incomprensioni all’interno dello spogliatoio, tutte cose da cui non si sentiva “attirato”, ma che soprattutto non lo “stuzzicavano” a livello di realizzazione professionale.

Così decise di passare dietro la scrivania, un lavoro più tranquillo, meno frenetico, che lo teneva più “distante” dai riflettori, ma soprattutto più congeniale a lui ed alle sue doti di grande conoscitore del gioco e riconoscitore del talento. A dargli la chance furono i Chicago Bulls alle prese con un periodo difficile chiusa l’era dei vari Sloan, Van Lier e Love.

Nella “Wind City” Rod cercò di riavviare il progetto ricostruendo un nucleo allo sfascio e riportando fiducia nella città , furono sei anni pieni di lavoro (intervallati, nel 1982 da 30 partite come coach ad interim), ma avari di successi veri, così, nell’estate del 1984 accettò le lusinghe della Lega e, rimettendosi nuovamente in gioco, entrò a far parte dello staff organizzativo e dirigenziale della NBA.

Il suo “ultimo regalo” alla città  di Chicago, come GM dei Bulls, fu la scelta nel draft ‘84 di quel Michael Jordan che avrebbe in seguito cambiato la storia della franchigia e di questo gioco.

Abbandonata la “trincea” Thorn divenne uomo di fiducia del Commissioner David Stern lavorando prima con compiti organizzativi, direttivi e di controllo, poi come vice Commissioner ed infine come “Giudice Sportivo” della Lega.

I sedici anni passati nell’organizzazione della NBA hanno fatto di Rod Thorn uno dei personaggi più in vista negli uffici della quinta strada, nonché uno dei più amati perché sempre in grado di lavorare al meglio per il bene della Lega e talvolta protagonista di episodi “curiosi” come quando, membro direttivo del comitato che doveva scegliere i giocatori per l’olimpiade ‘96, venne più volte “bidonato” da Kemp (rincorso letteralmente per gli States) prima di abbandonare l’idea di farne un “dream teamer”; oppure quando, da “Giudice Sportivo”, passò tre ore chiuso nel suo ufficio a parlare (anche animosamente) con Dennis Rodman per cercare di sedarne il suo spirito da “cavallo pazzo” e riportarlo sulla “retta via”.

Nel 2000 decide di “offrire” un’ulteriore svolta alla sua poliedrica carriera accettando le lusinghe della sua ex squadra e tornando in pista come Presidente Operativo dei New Jersey Nets. Qui Thorn ha compiuto un grosso capolavoro riuscendo a rivoltare la squadra come un guanto trasformandola in una delle più forti ed ambite della Lega, dando fiducia e rispetto ad un ambiente molto “degradato” da anni di delusioni ed anonimato.

Oggi, a 63 anni, siamo al cospetto di un uomo che ha dato tanto e ricevuto molto da questo sport, ha saputo calarsi in vari ruoli svolgendo tanti compiti portando sempre tanta professionalità , onesta e capacità . Quelli che lo conoscono veramente parlano di un uomo mite e tranquillo, uno che parla a bassa voce e lentamente, uno che non urla mai, non sbraita mai, ma che quando apre bocca tutti stanno ad ascoltarlo compresi i giocatori più giovani.

Di questo sport Rod Thorn è ormai un fine conoscitore, sa come muoversi al meglio e come ottenere il massimo ed anche grazie a questo che, in prossimità  di difficili bivi, ha sempre saputo fare la mossa migliore per la sua squadra.

La NBA avrebbe bisogno di tanti come lui, anche se la sensazione e che, dopo il premio come “Executive of the Year” dello scorso anno, la sua carriera sia tutt’altro che al capolinea.

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