L'entusiasmo di Andre Miller alla presentazione ufficiale
L’estate 2003 si sta rivelando ricchissima di spunti di riflessione per gli appassionati NBA, che hanno trovato parecchio pane per i propri denti; l’attenzione di tutti si è ovviamente concentrata sui pezzi da novanta, sulle storie da prima pagina: difficile riuscire a tenersi fuori dalle discussioni sui molteplici scambi che sono avvenuti, sui nuovi assetti di Spurs, Lakers, Wolves e Nets, sui primi assaggi di LeBron James, sui problemi con la giustizia di Kobe Bryant, e chi più ne ha più ne metta.
In tutto questo marasma di notizie in continua ebollizione passa praticamente inosservato il lavoro di Kiki Vandeweghe, che prosegue inesorabilmente col suo piano a lunga scadenza per portare i Nuggets nell’Empireo delle franchigie NBA.
Un piano iniziato esattamente due anni fa, un lasso di tempo durante il quale non sono certo mancate le facili ironie degli appassionati ma anche di parecchi addetti ai lavori, che però si stanno ricredendo in numero sempre maggiore, visto che il buon Kiki sembra non sbagliare nemmeno un colpo.
L’estate è iniziata nel migliore dei modi per i Nuggets, visto che dal draft è arrivato Carmelo Anthony, che col suo talento adamantino ha fatto innamorare di se’ tutti gli appassionati di college basket in una sola stagione. Un bel colpo, considerando che ‘Melo ha talento degno di una prima scelta assoluta, e che solo la contemporanea presenza di altri due “can’t miss prospects” ha permesso ai Nuggets di portarselo a casa con la terza chiamata.
Aggiudicatisi uno dei giocatori più talentuosi in circolazione, i Nuggets si sono presentati al mercato dei FA (che notoriamente è spietato, infido e ingannatore) con tanti soldi, idee chiare e nessuna fretta: nessuna spada di Damocle (sotto forma di risultati da ottenere a breve termine) gravava sull’operato delle Pepite, grazie alla consapevolezza che, anche se non fosse stato possibile portarsi a casa nessun pezzo da novanta, ci si sarebbe concentrati sul far crescere i tanti giovani di belle speranze, aspettando il draft 2004.
Dopo aver partecipato direttamente o essere stati alla finestra praticamente in tutte le trattative più importanti dell’estate, alla fin fine si sono aggiudicati i servigi di Andre Miller, sfruttando la difficile situazione dei FA in casa-Clippers e bruciando la concorrenza dei Jazz. Il sosia di Richard Pryor ha firmato un contratto da 6 anni per 51 milioni di dollari.
Una mossa che non ha fatto molto scalpore in giro per la lega, considerato il fatto che l’ex Cavalier viene da una stagione deludente: 13 punti, meno di 7 assist e 4 rimbalzi a partita in 36 minuti di media, tirando col 40% dal campo; considerando il fatto che si tratta di un giocatore di 27 anni, dobbiamo trarre la conclusione che sono soldi sprecati? Sarebbe un errore madornale…
Miller è un giocatore il cui valore non è in discussione, è semplicemente reduce da una annata storta: in tre anni ai Cavs ha sempre fornito un rendimento altissimo, arrivando ad essere il miglior assistman della lega e l’unico, nella stagione 2001/2, a raggiungere la doppia doppia punti/assist di media in stagione, nonchè il quinto assoluto nel rapporto assist/perse, meritandosi tra l’altro la convocazione nel Team Usa per la sciagurata spedizione ai Mondiali.
Se si ragiona con attenzione, l’improvviso crollo delle sue cifre nella sua unica annata coi Clippers, crollo evidente se confrontato con le altre stagioni fra i pro, è più che spiegabile: innanzitutto va detto che non ha avuto un attimo di riposo dall’inizio della stagione 01/02: 82 partite filate con i Cavs, poi i Mondiali, ed infine la malaugurata idea di giocarsi tutta la Summer League prima della stagione scorsa (a 36’ di media) per trovare il giusto feeling con la nuova organizzazione: proposito encomiabile, ma forse sarebbe stato più proficuo ricaricare le batterie.
Se poi guardiamo al contesto tecnico ed umano attorno a lui, le indicazioni sono ancora più nette: i Clippers dell’anno scorso non erano una squadra, bensì una accozzaglia di talenti in cerca di gloria personale per strappare il miglior contratto possibile a fine campionato, senza un minimo di organizzazione in campo, senza propositi a lungo termine, senza un vero leader in campo e fuori, con un allenatore continuamente sfiduciato dalla dirigenza fino all’inevitabile esonero: difficile immaginare situazione tecnica peggiore per un giocatore tutto sostanza e gioco di squadra, sempre al servizio dei compagni e mai spettacolare, caratteristica che gli ha precluso la possibilità di diventare uno dei favoriti dello Staples in versione biancorossa: i tifosi dei Clips, rassegnati a non poter mai cullare sogni di grandezza, vogliono quantomeno consolarsi con le giocate spettacolari: più di una volta dalle tribune sono partiti impietosi “booh” all’indirizzo di Miller, che tende a chiudere i contropiede con comodi lay-ups anzichè maestose evoluzioni sopra al ferro.
Aggiungiamo al quadro una franchigia non certo nota per mettere a proprio agio e rendere felici i propri giocatori, e una metropoli dalle mille tentazioni, e avremo un alibi più che soddisfacente.
In buona sostanza i Nuggets non solo non hanno buttato via dei soldi, al contrario hanno fatto un vero affare: il vero Miller non è quello visto a LA, è sicuramente più vicino a quello da 17-11 (conditi con 5-6 rimbalzi che non fanno mai male); portarsi a casa per pochi milioni in più rispetto alla mid-level exception uno degli ultimi playmakers puri della lega, un potenziale all-star, è un vero colpo da maestro: ora coach Bzdelik ha a sua disposizione un giocatore in grado di eseguire gli schemi, creare gioco e far girare la squadra con i tempi giusti, efficace su due lati del campo. Un vero toccasana per una squadra che l’anno scorso, nonostante lo scotto da pagare all’inesperienza, era già fra le migliori in assoluto per quanto riguardava la fase difensiva, pagando poi dazio con un attacco che le statistiche impietosamente etichettavano come il peggiore della storia dell’NBA…
La fisionomia delle Pepite è sempre più definita; oltre a Anthony e Miller, la terza pietra miliare della squadra è Hilario, o meglio Nene’: il giovane brasiliano si è ufficialmente abbreviato il nome all’anagrafe, come da tradizione brasileira (d’altronde chi è che parla di Pele’ chiamandolo “Edson Arantes do Nascimiento”?), ed è atteso alla conferma dopo una strepitosa annata da rookie.
Accanto a queste tre certezze, che formeranno l’ossatura dei bianco-oro-azzurri (ah già , l’estate ha anche portato in dono una nuova divisa, guardacaso somigliante nei colori agli UCLA Bruins tanto cari a Kiki), ci sono vari giocatori in cerca della conferma, dell’esplosione, di una definitiva affermazione, di una rivincita.
Ufficializzato l’accordo con Miller, Vandeweghe ha subito fatto in modo di coprirgli le spalle, aggiudicandosi Earl Boykins, minuscolo funambolo proveniente da Golden State, che è stato per tutta la stagione scorsa il miglior cambio alla posizione #1 della lega, nonchè serissimo candidato al titolo di Sesto Uomo dell’Anno.
Tra l’altro Boykins iniziò a farsi un nome nella lega proprio a Denver: alla sua seconda partita dopo aver firmato con i Warriors, si alzò dalla panchina per dare un determinante contributo con 20 punti e 7 palle rubate in 24 minuti.
Denver si trova così ampiamente coperta in playmaking, aggiungendo al quadro anche Junior Harrigton, il titolare della scorsa stagione, che non sarà una stella ma ha dimostrato di poter dare il suo contributo.
Per quanto riguarda gli esterni, la situazione è fluida ed in evoluzione: accanto a ‘Melo, il titolare di dovrebbe essere Rodney White: nella stagione appena conclusa il talentone ex Pistons, classe 1980, ha mostrato solo a sprazzi la sua classe immensa dopo un anno da rookie passato in naftalina a Detroit; la dirigenza ha grande fiducia in lui, e ci si attende la sua esplosione.
Nickoloz Tskitishvili continuerà a maturare nell’ombra: difficile che i suoi minuti aumentino considerevolmente, i Nuggets hanno per lui piani a lungo termine e non si attendono un contributo dal georgiano prima di altri 2-3 anni.
Dal mercato dei FA intanto è arrivato in Colorado anche Jon Barry, veterano di mille battaglie che dovrà portare un po' di esperienza, arrivando dalla panchina, ad un backcourt veramente giovane…
Vandeweghe si sta anche guardando intorno per portarsi a casa un lungo che dia un contributo dalla panchina e infoltisca la rotazione, il primo obiettivo sembra essere Predrag Drobnjak dei Sonics.
Un’altra grande incognita della stagione dei Nuggets è Marcus Camby: dopo aver giocato negli ultimi due anni soltanto 58 partite su 164, pare essere (per quel che valgono tali dichiarazioni, già sentite infinite volte in passato) in gran forma fisica e mentale, intenzionato a battere il suo “record” di 63 gare giocate in stagione.
Il suo ambientamento a Denver è stato difficile ma ora i problemi sembrano superati, e un ulteriore incentivo a rendere al massimo viene dal fatto che Camby ha nel suo contratto (che scade al termine della stagione che sta per iniziare) una clausola che gli permette di estenderlo per una ulteriore stagione solo se riuscirà a tenere un rendimento piuttosto elevato, in base a paramentri specifici; trattasi di stimolo non da poco, visto che significherebbe un rinnovo a più di 7M di dollari, cifre che sicuramente non potrebbe spuntare sul mercato dei FA.
La situazione di Camby è un’altra scommessa sicuramente vincente per Vandeweghe e i Nuggets: se davvero riesce a tornare sui livelli di rendimento di qualche anno fa (e soprattutto se riesce a restare sano), è un acquisto importantissimo che alza notevolmente la caratura tecnica della squadra. Altrimenti, il suo consistente contratto in scadenza può fare gola a moltissime squadre, oppure si potrebbe semplicemente lasciarlo scadere per “pulire” ulteriormente un monte salari già bassissimo, e ritentare la fortuna con i FA dell’anno prossimo.