Una immagine a caso dai cinque titoli vinti da Robert Horry: 2 a Houston e 3 ad L.A.
Quando si parla di Robert Horry non bisogna guardare troppo ai numeri perché quelli non rendono troppa giustizia al reale valore dell'ala. A parlare per lui sono da sempre i fatti, 5 titoli di campione NBA e le frasi di stima di compagni ed allenatori che non hanno mai lesinato superlativi per descrivere la grandezza, prima dell'uomo, dopo del giocatore.
Che poi, a vederlo sul parquet, Robert passa quasi inosservato durante l'arco della gara, ma successivamente, rivedendo la registrazione ti rendi conto che ha fatto sempre la cosa giusta, la giocata migliore per aiutare i compagni, magari un rimbalzo, un assist, forse un tiro pesante, ma certamente qualcosa che ha permesso alla sua squadra di vincere.
In tutta la sua carriera Horry ha sempre avuto un solo obiettivo: vincere, e per fare questo ha sempre messo a disposizione della squadra la sua duttilità , il talento e la grande intelligenza che ne fanno uno degli atleti più ammirati dai ragazzi della NBA.
Robert K (la K non ha alcun significato preciso, anche se per anni le guide la spacciavano per Kennedy) Horry è nato il 25 agosto del 1970 a Hartford nel Maryland dove il padre Robert Sr, sergente dell'esercito, era dislocato nella locale base militare, anche se le sue origini erano nel sud del paese, precisamente in Alabama dove la famiglia fece ritorno quando Robert era ancora piccolo.
Ad Andalusia, nel cuore dello stato, il ragazzo è cresciuto ed è diventato uno dei migliori cestisti dell'Alabama tanto da attirare molti spettatori e curiosi alle partite della sua Andalusia High School. Da giovane giocava centro in virtù dell'altezza, ma si segnalò da subito quale atleta "globale" in grado trattare bene la palla, tirare e passare come un piccolo.
Tutte queste doti, unite ad un debordante atletismo (che ne faceva un ottimo prospetto anche nell'atletica leggera) gli valsero il titolo di miglior giocatore dello Stato nel suo anno da senior e l'interessamento dei maggiori atenei del sud del Paese. Decise di rimanere a casa ed optò per l'Alabama University.
Con i Crimson Tide Bama Maja (questo il soprannome del ragazzo al college) compì un quadriennio di alto profilo giocando sovente da pivot, ma mostrando doti tecniche di altissimo profilo ed una intelligenza cestistica molto sviluppata tanto da convincere molti scout che sarebbe stata un'eccellente ala per i pro visto che come centro, malgrado i 208 cm, avrebbe fatto fatica con quel fisico ben delineato, ma troppo longilineo.
Nel draft del 1992 gli Houston Rockets lo scelsero con il pick n.11 convinti che sarebbe stato un eccellente addizione per la squadra texana, l'unico intoppo era che accanto ad Olajuwon, come power forward, già agiva Otis Thorpe, così Robert fu spostato ad ala piccola dove avrebbe dovuto sfruttare le buone mani ed il tiro per creare grattacapi agli avversari.
Le prime stagione a Houston furono discrete, ma non esaltanti, Horry era abituato a giocare più vicino a canestro, sovente spalle ad esso ed a sfruttare il proprio tiro come arma tattica, invece nel sistema di gioco dei Razzi la palla finiva dentro ad Hakeem con gli esterni pronti allo scarico o alla penetrazione.
La svolta della sua carriera arrivò nell'estate del '94 allorchè la dirigenza lo cedette a Detroit in cambio di Sean Elliot e Bill Curley. Lui non la prese benissimo, però accettò la situazione senza dir nulla, ma, mentre si trovava in Michigan, gli arrivò la notizia che l'affare era saltato (Elliott non aveva passato le visite mediche) e che si tornava in Texas.
Spesso succede che un semplice fatto possa cambiare completamente la vita di un uomo, far scattare un meccanismo che prima era bloccato, o più semplicemente smuovere un qualcosa a livello mentale, fatto sta che per Horry da quel giorno iniziò una nuova carriera nella Lega. Le annate '94-'95 e '95-'96 portarono i Rockets sul tetto del mondo e diedero ai ragazzi di coach Tomjanovich due anelli di campioni della NBA.
Se il leader era sempre Olajuwon, il nuovo Horry era un giocatore più consapevole dei propri mezzi e più sicuro, uno capace di rendere al meglio in campo sfruttando al massimo le proprie caratterisiche e peculiarità ; nella prima finale contro i Knicks azzerò Charles Smith offrendo tanto sudore e lavoro oscuro, l'anno seguente fu decisivo in tutta la post season (vizio rimastogli questo).
Partito Thorpe ed arrivato Drexler Robert tornò a giocare da 4 inanellando delle prove fantastiche nei play-off contro Phoenix e San Antonio (memorabili alcuni suoi tiri decisivi dall'arco) dove rappresentò un vero e proprio rebus per gli avversari grazie alla sua doppia dimensione dentro-fuori; poi in finale fu sweap contro Orlando ed i giovani Penny e Shaq.
Horry era al settimo cielo, i Rockets gli avevano dato la possibilità di vincere e lui li aveva ripagati con tanto lavoro duro e sacrificio. Purtroppo l'idillio si interruppe l'anno dopo quando fu mandato a Phoenix (con Cassell e Brown) in cambio di Barkley. Robert ci rimase malissimo, amava Houston e spostare la famiglia (la compagna Keva ed il piccolo Camron) in Arizona non gli piacque molto. Ai Suns Horry rimase 32 gare fatte di nervosismo, frustrazione ed incomprensioni con coach Westpall così, a metà stagione, fu spedito ai Lakers con Joe Kline in cambio di Cedric Ceballos e Rumeal Robinson.
La stagione finì ad L.A. senza grossi scossoni, Robert sembrava lontano dal ritornare ad essere il giocatore decisivo di una volta. Ai giallo-viola trovava Shaq, Jones e Van Exel e negli anni successivi giunse pure Kobe così si ritagliò il ruolo di sesto uomo di lusso, specialista delle piccole cose, ma cosa più importante divenne il punto di riferimento, la coscienza silenziosa dei giovani e non dello spogliatoio, lui che il titolo l'aveva vinto e sapeva come arrivarci.
Coach Dell Harris così gli diede in mano le chiavi della squadra, ne fece la chioccia dei giovani Lakers chiedendogli di fare la differenza dentro e fuori. Il Robert Horry giocatore, che era giunto in california, non era molto diverso da quello di Houston: grande duttilità , intelligenza, perizia nel fare le piccole come le grandi cose, tiro mortifero e la solita “grandezza” nei momenti che contano; però l'uomo era molto cambiato, lui persona sensibile aveva sofferto i cambiamenti, aveva accentuato il carattere riservato e mite chiudendosi spesso in se stesso.
A monte di ciò c'erano soprattutto i problemi a casa, la secondogenita Ashley era nata con una grave malformazione alla gola che le impediva di parlare ed alimentarsi naturalmente così la sua famiglia aveva fatto ritorno a Houston dove c'era l'unica clinica in grado di assisterla al meglio. Lui soffriva tantissimo l'assenza della moglie e dei figli, viveva ad L.A., ma telefonava quattro volte al giorno a casa ed appena poteva si recava in Texas.
Il management, come i compagni gli sono stati sempre vicini, ma lui da gran professionista non ha mai lasciato che ciò influenzasse il suo rendimento in campo. Il 1999 fu l'anno della svolta ai Lakers, l'arrivo di Phil Jackson contribuì a rilanciare la squadra che nei successivi tre anni vinse il titolo grazie ai numeri delle proprie stelle Shaq e Kobe, ma anche grazie al contributo dei comprimari Fisher, Fox e Horry appunto.
Jackson appena arrivò fece di tutto per avere uno tra Pippen e Kukoc, ma dai primi allenamenti capì subito che con Robert avrebbe tranquillamente potuto fare a meno di loro. Horry era il barometro dei suoi Lakers, l'arma in più da buttare in campo nei momenti decisivi, il giocatore che quando arrivava maggio sembrava destarsi dal “torpore” per innestare una marcia in più.
Dopo tre titoli consecutivi quest'anno i suoi hanno perso dagli Spurs al secondo turno e Robert ha preferito, dopo sei anni e mezzo, lasciare Los Angeles. La società avrebbe voluto trattenerlo, aveva anche una prelazione, ma ha lasciato che cambiasse aria per poter tornare a casa sua, Houston, vicino alla famiglia ed alla figlia. Sembrava vicinissimo ai Rockets, ma alla fine l'affare è saltato e, ironia della sorte, si è accasato non lontano a San Antonio con un biennale a 9.5 milioni di dollari.
Ora che comincia una nuova avventura Horry è un uomo tranquillo ed un giocatore maturo (ha più volte dichiarato che se non avesse giocato a basket avrebbe fatto l'insegnante), in 12 stagioni di NBA ha imparato tanto, è migliorato, è cresciuto e ne ha viste di tutti i colori.
Raramente lo si vede sorridere (anche se amici e colleghi dicono sia un "compagnone"), è sempre molto geloso della sua privacy, gli piace stare in famiglia e guardare la tv, va matto per gli snickers e non ama i riflettori lasciando che a parlare per lui siano i fatti.
Se chiedete a Olajuwon, Tomjanovich, Harris, O'Neal, Bryant e Jackson a proposito di Robert Horry riceverete sempre parole di elogio e di grandissima stima, ma le parole più significative sull'ex compagno, a mio avviso, le disse Rick Fox dopo il secondo titolo <…certo che sono i grandi campioni a farti vincere gli anelli, ma è gente come Robert che ti porta a giocarteli…>.