A contrastare lo strapotere dell'Ovest è rimasto il solo Jason Kidd…
Una lega che pende decisamente a sinistra. Non stiamo parlando di tendenze politiche. Ma sulla Nba spira il vento dell'Ovest, in maniera sempre più decisa.
"E' probabile che negli ultimi anni la forbice fra est e ovest si sia allargata. Ma se guardiamo nel lungo periodo, una finale est contro ovest porta molti vantaggi". Così parlò David Stern, due anni fa, durante la finale Los Angeles-New Jersey, senza storia fin dall'inizio.
A due anni di distanza la situazione è simile, se non peggiorata. Provate ad elencare, istintivamente le squadra favorite per il titolo: San Antonio, Los Angeles, Sacramento, la new entry Minnesota, Dallas, New Jersey.
Pur spremendosi le meningi, difficile trovarne un'altra sulla costa est: Philadelphia e Boston non godono di grande credito, come Detroit, squadra operaia con poco talento. L'emergente Indiana per ora è più l'incompiuta Indiana.
Un salto nel passato. Nel corso degli anni '80 la situazione era diversa: le epiche sfide fra Boston e Los Angeles incorniciavano una situazione di grande equilibrio. In quella decade la Western Conference produsse una sola squadra campione: Los Angeles (5).
La Eastern tre: Boston (3), Philadelphia e Detroit (1). Infatti per anni si parlò dello stile di gioco della costa orientale, concreto ed adatto a vincere, contro lo spettacolo, a volte fine a se stesso delle squadre dell'Ovest (Denver e Dallas per fare due esempi).
Negli anni '90 il dominio dei Chicago Bulls non ha cambiato i termini della questione. Fluida la situazione da Ovest. Non a caso Jordan e compagni, in sei finali hanno incontrato 5 squadre diverse: i Lakers dell'ultimo Magic, Portland, Phoenix, Seattle e, solo nelle ultime due stagioni Utah.
Il caso volle che, proprio nell'anno e mezzo di inattività di MJ, Olajuwon raggiungesse la piena maturità tecnica e atletica, portando Houston al suo back to back.
Ma proprio l'ultima parte della dinastia Bulls ha nascosto quanto stava succedendo nella lega. Il progressivo spostamento di talento da est a ovest.
Utah per arrivare alle finali dovette battere la Houston del big three Hakkem-Drexler-Barkley e la giovane, inesperta ma talentuosa Los Angeles di Shaq, Horry, Jones e il giovane Kobe.
Il vertice della Eastern Conference propose in quegli anni Miami, giunta in finale di conference solo per le squalifiche che colpirono New York in seguito alla rissa Ward-Brown, e Indiana, squadra che in due anni sarebbe stata rivoluzionata.
L'Osmosi da est a ovest. Lo stesso caso di Los Angeles è indicativo del trend di quegli anni. Una squadra dell'ovest che sottrae il suo uomo franchigia all'est. Shaq da Orlando a LA.
Più tardi: Webber da Washington a Sacramento, Wallace sempre dalla capitale a Portland. Pippen dai Bulls a Houston prima e Portland poi, Marbury a Phoenix. L'unico grande big ad aver fatto il percorso inverso negli ultimi anni è stato Jason Kidd, da Phoenix al New Jersey.
Se poi analizziamo i ruoli della maggior parte di questi giocatori, individuiamo il trend tecnico. Come detto Webber, Wallace, il colpo di fortuna di Duncan a San Antonio, il fiuto di Minnesota a prendere Garnett. Questi sono i giocatori che, stante lo svaporare di una generazione di grandi centri, (è rimasto il solo O'Neal) hanno preso a dominare la lega. Con la loro versatilità .
Prova ne sia la ricchezza della front line della Western Conference agli ultimi All Star game: Shaq, Duncan, Garnett, Webber, i nuovi Nowitzky e Yao. Dall'altra parte, dopo i problemi di Alonzo Mourning ci si è affidati a Mutombo, oppure, come nell'ultima edizione a comprimari come Miller e Illgauskas, oppure faticatori come Wallace. Il solo Jermaine O'Neal.
La situazione attuale. Al momento la situazione è questa: alzi la mano chi non è convinto che Houston, nona ad ovest nell'ultimo campionato, non sarebbe agevolmente arrivata fra le prime quattro ad Est. Lo stesso discorso può valere per Golden State, comprimari cronici nella Pacific Division, con un'abbondanza di talento, segnatamente in front line, da far impallidire molte contenders della Eastern Conference. L'ultimo mercato ha peggiorato, se possibile la situazione.
Il problema reale della Nba. Da molti anni la Lega ha deciso che il suo evento di punta su cui incentrare gli sforzi del marketing e della comunicazione è l'All Star Game, la vera vetrina NBA nel mondo. Ma il nodo legato alla finale deve essere sciolto.
La lega non può, caso limite lo scorso anno, presentare una finale della Western Conference come LA-Sacramento ed una finale assoluta, sciapita come Lakers-Nets. Negli ultimi anni, con la notabile eccezione dell'inizio della serie fra Lakers e Phila, gli indici d'ascolto sono sempre calati. Nel mondo globale, fra internet e Tv mondiali, i rates americani non sono più tutto ma rappresentano comunque una fetta consistente della torta.
E' quindi probabile che qualcuno all'Olimpic Tower abbia passeggiato nervosamente la notte dello scambio che ha portato Spreewell a ovest. La soluzione del problema pare richiedere tempi lunghi.