Kevin Millwood ha appena completato il suo capolavoro: no-hitter per lui !
Il 27 aprile scorso, i tifosi del Veterans’ Stadium hanno potuto assistere ad un evento memorabile, il no-hitter di Kevin Millwood contro i San Francisco Giants: il pitcher di Philadelphia, proveniente dagli Atlanta Braves, ha lasciato i suoi avversari senza battute valide, totalizzando complessivamente 10 strikeout a fronte di sole 3 basi su ball; l’incontro si è chiuso sul punteggio di 1-0, grazie al fuoricampo di Ricky Ledee nel primo inning.
Millwood ha completato il settimo no-hitter nella storia dei Phillies, il primo dal 1991 (contro gli Expos a Montreal), al termine di una partita terminata sul 3-0 a favore della franchigia della Pennsylvania.
Il no-hitter è una performance che ogni lanciatore spera di completare almeno una volta nella propria carriera, ma che molto spesso ha eluso anche i più celebri fuoriclasse, come ad esempio Greg Maddux, John Smoltz, Tommie Glavine e Roger Clemens; quando un lanciatore, al termine dei nove inning, è riuscito a compiere questo risultato, sa di avere realizzato un'impresa e tutti i suoi compagni corrono verso il monte per abbracciarlo.
E' molto curioso seguire il comportamento del pitcher durante la partita: durante gli inning d'attacco viene costantemente isolato dal resto della squadra, perché nessuno vuole disturbarlo. E' assolutamente proibito nominare la parola “no-hitter” per non influenzare la fortuna: la scaramanzia dei giocatori di baseball è rinomata; ciononostante l'eccitazione è evidente e anche tra gli spalti si può notare una certa apprensione.
Il primo no-hitter della storia del Major League Baseball è datato 28 luglio 1875, quando Joe Burden, lanciatore dei Philadelphia Athletics della National Association lasciò senza valide i battitori dei Chicago White Stockings in una partita finita 4-0; dopo quella storica impresa ne sarebbero seguite oltre 200.
(La National Association of Baseball Players fu la prima major league: fondata nel 1871, fu sciolta dopo cinque stagioni; “dalle sue ceneri” fu organizzata la National League. I Chicago White Stockings esistono ancora, ma non vanno confusi con i Chicago White Sox attuali: quella squadra, infatti, cambiò nome diverse volte, trasformandosi in Orphans, Colts e poi Cubs. I Philadephia Athletics della NA non hanno alcun legame con gli Athletics moderni).
Se, invece, vogliamo considerare il primo no-hitter della National League bisogna attendere il 15 luglio 1876: in quella giornata i St. Louis Brown Stockings sconfissero gli Hartford Dark Blues (entrambe squadre estinte) 2-0 grazie ai lanci di George Bradley.
La American League fu fondata nel 1901, ma soltanto il 20 settembre dell'anno successivo poté celebrare il primo no-hitter, quando i Chicago White Stockings (ora White Sox) sconfissero i Detroit Tigers 3-0 con Jim Callahan sul monte di lancio.
Come già detto in precedenza, oltre duecento giocatori sono riusciti nell'impresa, ma alcuni meritano di essere citati.
– Nel 1938 Johnny Vander Meer dei Cincinnati Reds collezionò due no-hitter in partite consecutive: l'11 giugno contro i Boston Braves (3-0) e il 15 giugno contro i Brooklyn Dodgers (6-0), nel primo incontro giocato ad Ebbets Field (lo stadio di Brooklyn) sotto le luci artificiali.
– Il 16 aprile 1940, Bob Feller dei Cleveland Indians contro i Chicago White Sox (1-0) realizzò il no-hitter nell'Opening Day.
– Il 6 maggio 1952, Bobo Holloman dei St. Louis Browns (ora Baltimore Orioles) diventò l'ultimo giocatore (l'unico del XX secolo) a realizzare il no-hitter alla prima apparizione da starter, battendo i Philadelphia Athletics 6-0.
– Warren Spahn dei Boston – Milwaukee Braves è stato uno dei più grandi lanciatori della storia: le sue 363 vittorie in carriera lo pongono in quinta posizione assoluta, e, considerando solo i mancini, in prima; se la Seconda Guerra Mondiale non lo avesse fermato per quattro anni, i suoi numeri sarebbero potuti essere ben più vistosi.
Nel 1960 Spahn aveva 39 anni e sembrava aver rinunciato al no-hitter: invece il 16 settembre coronò il sogno che gli mancava, sconfiggendo 4-0 i Philadelphia Phillies; pochi mesi dopo, esattamente il 28 aprile, contro i San Francisco Giants, Spahn concesse il bis (1-0).
– Il 1968 è l'anno dei lanciatori: Bob Gibson dei St. Louis Cardinals compilò un'ERA di 1.12 (la quarta di sempre, la migliore dalla fine della dead-ball era), Denny McLain vinse 31 partite (l'ultimo a superare la soglia delle 30 vittorie), Don Drysdale dei Dodgers realizzò una striscia di 58 inning e 2/3 senza subire punti (record migliorato nel 1988 da Orel Hershiser, sempre di Los Angeles).
In quell'annata, che vide delle medie battute bassissime (Carl Yastrzemski dei Red Sox vinse il titolo della AL con .301), avvenne un episodio molto particolare: il 17 settembre Gaylord Perry (primo pitcher a vincere il Cy Young Award in entrambe le leghe) dei Giants lasciò a zero i St. Louis Cardinals (1-0), i quali, tuttavia, si rifecero il giorno dopo con Ray Washburn (2-0).
– Nel 1969 si ripeté lo scambio di no-hitter tra due squadre: il 30 aprile Jim Maloney (ricordiamoci questo nome) dei Reds ne lanciò uno contro gli Astros (10-0), ma 24 ore più tardi Don Wilson replicò, lasciando Cincinnati senza battute valide (4-0).
La seconda partita, però, fu molto più drammatica: Wilson si voleva vendicare dei Reds che, qualche giorno prima, avevano battuto gli Astros 14-0, tenendo un comportamento poco sportivo; per tutto l'incontro ci furono delle schermaglie tra i giocatori di Cincinnati e Wilson che, dopo il 27esimo out, era pronto a scatenare una rissa, se i suoi compagni non fossero entrati in campo.
– Il 23 giugno 1971 il pitcher di Philadelphia Rick Wise realizzò il no-hitter contro i Reds (4-0): incredibilmente in quella partita Wise batté anche 2 HR!
Il titolo di re del no-hitter spetta chiaramente al grande Nolan Ryan che ne collezionò addirittura 7: quattro con la maglia dei California Angels, uno con quella degli Astros, due con quella dei Texas Rangers; il più memorabile fu proprio il settimo, ottenuto contro i Toronto Blue Jays (3-0) il 1° maggio 1991 alla veneranda età di quarantaquattro anni.
(Lo stesso giorno Rickey Henderson rubò la 939esima base della sua carriera, migliorando il record di Lou Brock).
Nolan Ryan è uno dei pochissimi giocatori ad aver realizzato due no-hitter nella stessa annata: in quel 1973 (in cui stabilì il record di strikeout con 383) andò vicinissimo ad un clamoroso terzo capolavoro; in seconda posizione, invece, troviamo il mitico Sandy Koufax, l'unico pitcher con almeno un no-hitter in quattro anni consecutivi.
Per realizzare un no-hitter “semplice”, il lanciatore deve evitare di concedere battute valide agli avversari, ma tuttavia gli è consentito lanciare basi su ball oppure colpire il battitore. Di conseguenza è possibile che un battitore riesca a raggiungere il cuscino di prima base e magari a segnare; sebbene molto rari, si sono verificati dei no-hitter senza shut-out: il caso più clamoroso è quello di Ken Johnson degli Houston Colt 45s (nome cambiato in Astros qualche anno dopo) che, il 23 aprile 1964, perse la partita 1-0, sebbene i suoi avversari (i Cincinnati Reds) non fossero riusciti ad ottenere alcuna battuta valida.
Come si può intuire, il no-hitter non è il massimo capolavoro per un lanciatore, “titolo” che spetta al perfect game, la performance in cui il pitcher non permette ad alcun battitore avversario l’arrivo in prima base: per questo motivo, sono “vietate” non solo le battute valide, ma anche la basi su ball e i battitori colpiti; poiché un unico errore difensivo rovina il perfect game, anche i compagni di squadra sono obbligati a mantenere la massima concentrazione.
Il primo perfect game della storia del Major League Baseball fu realizzato il 12 giugno 1880 da John Richmond dei Worchester Ruby Legs: in quella storica partita i Cleveland Spiders furono sconfitti 2-0; solamente cinque giorni dopo Monte Ward ripeté l'impresa, permettendo ai Providence Grays di battere 5-0 i Buffalo Bisons.
Successivamente seguirono altri 14 perfect game (tutti nel XX secolo), anche se il più celebre resta quello dal lanciatore dei New York Yankees Don Larsen nelle World Series del 1956 contro i Brooklyn Dodgers.
Parlando di no-hitter e perfect game (ma si può estendere il discorso anche a shutout e complete game), bisogna tenere presente una cosa fondamentale: il pitcher deve lanciare anche negli eventuali inning supplementari; se al termine delle nove riprese il punteggio è in parità , l'impresa non può essere accettata.
Tredici furono le occasioni in cui un lanciatore perse il no-hitter negli inning supplementari, poiché i propri compagni non riuscirono a segnare al termine della nona ripresa; le più celebri sono:
Il 26 maggio 1959 il lanciatore dei Pittsburgh Pirates Harvey Haddix completò 12 inning PERFETTI contro i Milwaukee Braves: purtroppo nel tredicesimo inning, un errore difensivo gli ruppe la perfezione, mentre un HR di Joe Adcock lo condannò alla sconfitta.
Il 14 giugno 1965 contro i New York Mets, Jim Maloney dei Cincinnati Reds vide sfumare il no-hitter (non perfect game) all'undicesima ripresa; il 19 agosto dello stesso anno, Maloney riuscì a completare l'impresa contro i Chicago Cubs, anche se dovette lanciare per dieci inning.
Il 3 giugno 1995 Pedro Martinez lanciò 9 inning perfetti contro i San Diego Padres, ma purtroppo, al termine delle riprese regolamentari, il punteggio era di 0-0; Martinez concesse la prima valida nel 10 inning, anche se i suoi Expos riuscirono poi a vincere per 1-0.
Le performance di Haddix e Martinez, tuttavia, ricevettero da parte dei dirigenti del Major League Baseball una menzione speciale, assegnata anche al lanciatore dei Red Sox Ernie Shore, autore di un'impresa singolare: il 23 giugno 1917 i Boston Red Sox affrontarono i Washington Senators e Babe Ruth fu schierato come lanciatore partente; dopo aver concesso una base su ball al primo battitore affrontato, il mitico campione si fece espellere per proteste e sostituito proprio da Shore.
Con il nuovo pitcher sul monte, il corridore dei Senators fu colto rubando, ma, in seguito, Shore eliminò 26 battitori consecutivi; i dirigenti del Baseball dichiararono quella partita Perfect Game, anche se poi la decisione fu cambiata: tecnicamente quella performance non poteva essere considerata un perfect game (Shore non era il partente), ciononostante meritava una menzione speciale.