5 anni lontano da Chicago, nessun anello. Ora Scottie torna a casa…
Dove ci eravamo lasciati?
Salt Lake City, un palco improvvisato.
Michael Jordan e Phil Jackson rilasciano le prime dichiarazioni dopo la vittoria del sesto anello. Sulla destra, defilato, sigaro fumante in bocca, Scottie Pippen di fatto dichiara conclusa l'epopea dei Chicago Bulls.
"Quest' estate mi guarderò attorno nel mercato dei free agents", dichiarò alla fine di una gara vissuta fra il campo e gli spogliatoi per forti dolori alla schiena.
La notizia, in quest'estate di grandi colpi da parte delle squadre candidate al titolo, non è di primissimo piano. Scottie Pippen tornerà a Chicago. Due anni di contratto, 10 milioni di dollari.
Lo ha convinto il suo ex compagno di squadra John Paxon. Quest'ultimo confida nella sua leadership per aiutare i "giocatori-bambini" a mettere la testa a posto.
"Torno a giocare dove il mio cuore è sempre stato", la prima dichiarazione di Scottie. "Anche se in passato ho avuto alti e bassi con questa organizzazione, ora sono completamente a mio agio". Alla faccia dell'eufemismo.
Ambiziosi i propositi: "In sedici anni di carriera non ho mai mancato i playoffs. Non intendo cominciare quest'anno".
Il ritorno di Pippen nella windy city sancisce il fallimento di un progetto: vincere un anello, il settimo, senza avere al fianco l'ombra di Michael Jordan. Cinque tentatvi: il primo con Houston, gli altri con Portland. Tutti falliti.
Tolta l'ultima stagione, Blazers, eliminati in sette partite dai Dallas Mavs, i Los Angeles Lakers si sono sempre frapposti fra Pippen ed il suo grande sogno.
Stagione 1999: Pippen si unisce agli Houston Rockets. La stagione delle serrata. L'ingombrante presenza in post basso di Holajuwon e, soprattutto, Barkley, costringe l'ex Bulls a giocare un basket che è l'antitesi di quello giocato per anni con Phil Jackson. Una stagione intera a dare la palla in post ai due lunghi. Quinto record ed eliminazione al primo turno 3-1 contro i Lakers. Da ricordare i 37 punti di gara 3 l'unica vinta dai texani.
La stagione successiva Scottie si trasferisce nell'Oregon. Portland. Completa un quintetto favoloso con Stoudamire, Steve Smith, Wallace e Sabonis. Gli si chiede leadership, fosforo e difesa in una squadra in cui Rasheed Wallace sembra la star. In mezzo una sgradevole polemica con Barkley: "Me l'aveva detto Michael Jordan che con te non si vince niente". Smentita poi dal 23.
La stagione di Portland è ottima, secondo record dietro gli stratosferici Lakers del primo anno di Phil Jackson. Ma si intuisce il difetto che porterà la squadra all'eliminazione: la discontinuità .
La serie con L.A. ne è il simbolo: vittoria perentoria in gara 2 allo Staples Center. Due sconfitte al Rose Garden. Portland rimonta da 3-1 a 3-3.
Gara 7 è un suicidio. Vantaggio di 13 punti a fine terzo quarto. Un'ultima frazione tragica, incorniciata dall'1 su 8 di Wallace. Rimonta dei californiani. Che da quel giorno diedero vita alla loro dinastia.
Portland invece perde la rotta: l'anno successivo arrivano Dale Davis, per Brian Grant, e Shawn Kemp. Coach Dunleavy si ritrova con una situazione ingestibile, dovendo utilizzare una rotazione spropositata. Pippen non le manderà a dire: "Avevamo Jermaine O'Neal, abbiamo preso Shawn Kemp. Ma che scambio è ?"
Il giocatore da quel giorno oscilla fra la necessità d'esser messo in playmakin' e l'ingombrante presenza dello Stoudamire, dello Strickland di turno. Prima parte di stagione turbolenta ma con il miglior record della Western conference. Seconda parte in caduta libera sino al settimo posto.
Conseguenza: eliminazione al primo turno con i Lakers, ancora loro: 3-0. Lo sbando totale simboleggiato da Wallace che durante il time out tira un asciugamano in faccia a Sabonis. Per non parlare di Kemp sospeso per problemi di droga.
La franchigia non dimostra di capire: cambio allenatore, dentro Maurice Cheeks. Arrivano Derek Anderson, in cambio di Steve Smith, Ruben Patterson. Se ne va Sabonis ed arrivano Randolph e Bumjie Bumje. E' l'ennesima stagione incompiuta. Pippen ancora una volta lancia i suoi messaggi. "Qui si lascia andare un certo tipo di giocatori (Smith ndr)", ponendo l'accento sulla turbolenza dello spogliatoio e sulla grande abilità dei Blazers di mettersi nei guai fuori dal campo. La lista è infinita e crea disagi nel rapporto tra la squadra e la sua comunità . I Blazer arrivano sesti. Incontrano Los Angeles ed escono, 3-0, infilzati dalla solita bomba allo scadere di Robert Horry.
Nell'ultima stagione il quarto posto, ed il vantaggio del fattore campo contro Minnesota, sfugge per un'inopinata sconfitta contro i Grizzlies, all'ultima partita. Pippen ha problemi ad un ginocchio. In campo è il vero play maker della squadra. Con un'intelligenza inimitabile.
Ma il suo malcontento è palpabile: "Non sono mai stato interpellato dalla franchigia prima di decisioni importati".
Ora il ritorno ai Bulls. Si dice che Pippen per tornare nell'Illinois abbia rifiutato offerte di S Antonio e che non abbia aspettato Dallas. Il suo sogno di rivincere il titolo rimarrà incompiuto.
"L'incontro con John Paxon - dice - mi ha dato la carica giusta. Il mio atteggiamento sarà il solito. Sul campo semplicemente non accetto si possa perdere".
In quintetto ci sarà affollamento nella posizione di playmaker, con Crawford in rampa di lancio e Jalen Rosen, storicamente con velleità da regista.
Ma i tifosi della città del vento potranno sentire di nuovo lo speaker annunciare: "Number 33, from Central Arkansas, Scottie Pippen". Il palazzo sarà tutto per lui.