L.A. cala il Poker d’Assi

Sono anni che ad L.A. si cerca una spalla per Shaq: trovata??

Dopo l'eliminazione subita per mano degli Spurs, il GM dei Lakers Mitch Kuptchak aveva chiaramente detto che ci sarebbero stati grossi movimenti durante l'estate, per rafforzare una squadra logora, stanca, carente in più di un reparto.

I tifosi dei Lakers ci speravano senza troppa convinzione (visto l'immobilismo sul mercato degli ultimi anni), gli avversari invece già  deridevano il GM gialloviola pronosticando il rapido declino degli ex-campioni, in pochi potevano immaginare che i movimenti di mercato sarebbero stati in realtà  dei veri epropri terremoti: non sono arrivati semplici rinforzi, ritocchi, gregari, bensì due pezzi da novanta, due carichi di briscola che rispondono ai nomi di Gary Payton e Karl Malone.

Oppure, se preferite, sono pronti a sbarcare allo Staples Center 21 partecipazioni all'All Star Game, 91.500 minuti sui parquet della lega più bella del mondo, conditi da 55.000 punti e 272 partite di playoffs, senza contare una valanga di titoli individuali.

Difficile trovare qualcosa di più impressionante del fatto che due futuri Hall of Famers vadano ad aggiungere il loro bagaglio di classe, esperienza e voglia di vincere ad una franchigia che già  poteva permettersi di schierare due dei migliori giocatori della lega; ecco, forse è ancora più impressionante il fatto che entrambi abbiano rinunciato a clamorose vagonate di dollari pur di tentare l'assalto a quel fatidico anello, tanto bramato e mai raggiunto da nessuno dei due.

Malone, scaduto il contratto da quasi 20 milioni di dollari l'anno, ha firmato per poco più di un milione di dollari, benchè gli fosse stata offerta la mid level exception da parte di numerose squadre; la rinuncia più grande potrebbe però essere un'altra: accettando un rinnovo con i Jazz, o comunque accasandosi in una squadra in cui avrebbe potuto fare il bello e il cattivo tempo, non solo avrebbe guadagnato di più ma soprattutto avrebbe avuto praticamente la certezza di battere il record assoluto di punti nella lega, che attualmente appartiene al grande Kareem.

Payton, per parte sua, ha rifiutato più di una ipotesi di sign and trade con squadre come Heat o Blazers, in cui sarebbe stato leader indiscusso e avrebbe guadagnato più di 11 milioni di dollari a stagione, per accontentarsi della MLE da 4.9 milioni. In totale i due ragazzi percepiranno nella prossima stagione poco più di 6 milioni, all'incirca l'equivalente di un Charlie Ward o un Abdul-Wahad.

Il tutto è stato reso possibile anche grazie all'opera di un paio di “reclutatori” d'eccezione, nientemeno che Magic Johnson e Shaquille O'Neal.

Il primo ha fatto valere il suo infinito carisma abbinato al suo inconfondibile, irresistibile sorriso, il più disarmante della storia dell'NBA; inoltre ha messo a segno un colpo decisivo nel convincere il Postino, promettendogli addirittura di fare in modo che la mitica canotta #32 sia eccezionalmente resa disponibile per la prossima stagione, e Malone è rimasto notevolmente colpito da questo gesto.

Il secondo ha perorato a lungo la causa gialloviola presso i due veterani, in particolare presso Malone, con cui ha condiviso lo stesso spogliatoio nel Dream Team; Shaq (che notoriamente non tiene in gran considerazione molti dei suoi colleghi, tanto per usare un eufemismo) ha una particolare ammirazione per il Postino, con cui condivide la formazione cestistica in Lousiana.

Cotanta insistenza da parte di Shaqzilla ha fatto particolarmente breccia nei due free agents, che oltre al non aver mai vinto il titolo hanno anche in comune il fatto di non aver potuto mai giocare a fianco di un centro dominante. Gli agenti dei due giocatori hanno ammesso che gli argomenti portati di Shaq sono stati decisivi.

Poste queste premesse, è comprensibilissimo l'incredibile polverone che si è immediatamente alzato attorno ad un avvenimento già  etichettabile come “storico”: due superstar, due prime donne, leader indiscussi delle proprie squadre, rinunciano a parecchi milioni di dollari pur di andare a colmare le falle di una squadra comunque temibile di per se', in grado di arrivare ad un rimbalzo maligno sul ferro dal battere gli attuali Campioni del Mondo in carica.

Quasi tutti gli appassionati e gli esperti hanno tratto, da questo clamoroso coup de tèatre, le medesime conclusioni: un quintetto Payton-Kobe-chiunque-Malone-Shaq è quanto di più vicino si possa immaginare ad una squadra da sogno, senza punti deboli; quattro grandissimi campioni, fra i più grandi di tutti i tempi, attorniati da ottimi comprimari e orchestrati da un grandissimo allenatore, pure lui degno di essere considerato uno dei migliori di sempre.

I giornalisti si sono ovviamente lasciati andare a scomodi paragoni, i tifosi sono già  in fibrillazione, ma soprattutto la misura dell'importanza dell'accordo è dato dal fatto che i dirigenti delle altre squadre di vertice della Western stanno frenticamente cercando di far recedere almeno uno dei due dalla parola data, presentando offerte principesche (lo ha candidamente ammesso l'agente di Payton, Aaron Goodwin).

Diciamola tutta, stando così le cose i Lakers sembrano già  da ora la squadra favorita per il prossimo titolo di Campioni NBA.

Ma è proprio vero? Dobbiamo già  iniziare a forgiare gli anelli con sopra inciso “Los Angeles Lakers NBA Champions 2003/4”?

Assolutamente no: i nomi altisonanti fanno versare fiumi di inchiostro e eccitano le fantasie (o gli incubi, a seconda dei punti di vista) dei tifosi, ma alla fin fine in campo si va sempre cinque contro cinque, e la spunta chi ha qualcosa in più dentro di se', non chi ha più medaglie sulla divisa, e quindi si impone una analisi un po' più approfondita, anche se precoce, della situazione tecnia e ambientale che si verrà  a creare in casa Lakers.

I “pro” della doppia acquisizione sono più che evidenti:
Malone porta alla causa una potenza fisica con pochi eguali, nonostante le quaranta primavere, che toglierà  un bel po' di peso dalle spalle di Shaq nelle lotte sottocanestro, permettendo ai Lakers di difendere il proprio tabellone con due “buttafuori” di eccezione.

La sua comprensione del gioco, l'abilità  di passatore e il suo sontuoso jumper dalla media distanza lo rendono il giocatore ideale per stazionare sul lato debole all'interno dello schema noto come Triangolo.

Payton è uno dei più forti difensori di sempre alla posizione #1; l'età  ha un po' intaccato la sua abilità  difensiva, non è più uno “stopper” clamoroso come ai vecchi tempi e soffre particolarmente le controparti che ragionano poco e male, ma attaccano furiosamente il canestro: i classici “playmaker” nell'accezione più generale del termine, giocatori elettrici ed esplosivi con una mentalità  “pass first, shoot second”, che sono ormai la maggioranza; in ogni caso resta comunque un netto upgrade difensivo alla posizione che i Lakers soffrono più di tutte, per il fatto che chiunque ormai sfida la difesa gialloviola chiamando continui pick and roll con l'uomo “marcato” senza troppa convinzione da Shaq.

Nelle ultime due stagioni il povero Fisher è stato continuativamente messo in croce e flagellato da qualunque avversario, in situazioni di questo genere: l'acquisizione del Guanto dovrebbe permettere ai gialloviola di colmare anche questa lacuna e migliorare il rendimento difensivo, vero tallone d'Achille nella passata stagione (23esima difesa della lega).

Entrambi saranno impossibili da “battezzare”, aprendo molti più spazi per le abbacinanti scorribande di Kobe o le poderose esibizioni di potenza e tecnica di Shaq; inoltre porteranno alla causa una tremenda “fame” di vittoria e una grinta che ha pochi eguali nella lega, essendo due giocatori dal carattere fortissimo, che non mollano veramente mai e vogliono a tutti costi questo benedetto anello.

Da non sottovalutare anche l'impatto psicologico che possono avere sulle partite, per il fatto che molti giovani soffrono il confronto diretto con due personalità  così forti, e perchè entrambi godono di un forte ascendente sui direttori di gara: non sarà  elegantissimo, ma c'è la certezza di un buon numero di fischi “politici” a partita, dato che ben pochi grigi restano impermeabili al peggior trash talker della lega e/o al cipiglio sempre severissimo del Postino, che peraltro all'anagrafe risulta più anziano di svariati direttori di gara.

L'aggiunta del dynamic duo permetterà  non solo alle due stelle della squadra di avere più spazi, più opportunità  e anche qualche minuto di riposo in più; renderà  anche automaticamente migliori i gregari, i “peones” tanto criticati in queste ultime due stagioni: Derek Fisher, zimbello degli avversari e oggetto di feroci critiche da parte dei suoi tifosi, passerà  dall'essere un giocatore mediocre ad un'arma tattica importantissima, avendo la possibilità  di giocare a tutta birra per periodi di tempo limitati.

Devean George, che ormai è entrato stabilmente nel gruppo di “pretoriani” di Jackson, dopo aver dimostrato di poter essere una più che valida terza opzione anche ai playoffs, godrà  di una libertà  quasi imbarazzante, e verosimilmente le attenzioni richiamate dai Magnifici Quattro gli regaleranno tante possibilità  di gloria personale, ovviamente senza fare mai mancare il suo superbo rendimento difensivo.

I giovani Rush, Walton e Cook non potranno che imparare parecchio dalla presenza di un monumento vivente come Malone riguardo a come ci si comporta nella lega, l'etica lavorativa e qualche trucchetto d'altri tempi che non fa mai male.

Dopo aver visto i lati positivi della vicenda, non ci resta che valutare i dubbi suscitati da questa operazione, che non sono pochi.

Da un punto di vista strettamente tecnico può sembrare prematuro iniziare già  a discutere di schemi e situazioni tattiche, però sicuramente il coaching staff dei Lakers avrà  di che lavorare: innanzitutto qualcuno dovrà  rinunciare ad un bel po' di gloria offensiva, non ci possono essere abbastanza tiri per tutti; Shaq e Kobe vedranno diminuire le loro responsabilità  offensive, dato che avranno un sostegno qualificato e non sarà  più possibile dare due metri di spazio ai non-combo (se non proprio quattro o cinque quando uno dei due è in panchina); in compenso però giocheranno meno minuti (soprattutto Shaq) e vedranno calare forzatamente la media dei loro tiri.

I due nuovi arrivati, per parte loro, dovranno accettare un ruolo più defilato, pochissimi schemi chiamati per loro e uno stile di stare in campo tutto nuovo, in cui non basta chiedere palla e fare il proprio gioco, ma sarà  necessario farsi trovare al posto giusto nel momento giusto, ed eseguire correttamente gli schemi di un sistema di gioco affrontato mille volte in passato, ma totalmente nuovo e radicalmente diverso da tutte le situazioni tattiche costruite per loro negli anni.

Come detto, Malone sembra fatto apposta per la “triple post offense” di Winters, ma in difesa potrebbe avere i suoi bei grattacapi: in post basso può distruggere fisicamente ancora chiunque, persino Duncan e Garnett, ma è verosimile che le forimdabili ali forti della Western Conference lo porteranno lontano da canestro, per mettere a nudo le fisiologiche carenze in materia di passo d'arretramento e mobilità  laterale di un quarantenne, anche se trattasi del quarantenne più in forma del mondo.

Se Malone è un fantastico upgrade in fase offensiva ma suscita qualche perplessità  sulla tenuta difensiva, per Payton è tutto l'opposto: GP è un grande attaccante ma è un giocatore istintivo, che ama tenere molto palla e creare gioco per se' e per gli altri (ma tendenzialmente il suo ricevitore preferito resta… se' stesso) con geniali improvvisazioni dal palleggio o dal post basso, posizione in cui la sua abilità  è leggendaria; quando mette le spalle a canestro nessuna squadra si azzarda a non raddoppiarlo ormai da anni e anni.

Ai Lakers però dovrà  affrontare un paio di ostacoli: nel triangolo si palleggia poco, si passa molto e ci si muove moltissimo senza palla; in particolare il “playmaker” (anche se non esiste un vero playmaker: c'è colui che supera la metà  campo palla in mano e inizia l'azione in punta, ma può essere un giocatore come un altro) è quello che meno di tutti ha libertà  di movimento, i cui movimenti sono attentamente disciplinati e regolamentati, e lo portano quasi sempre a prendere posizione al di là  della linea del tiro da tre punti.

Insomma, in quella posizione l'ideale è un giocatore anche senza particolare inventiva, senza grande abilità  in 1 vs 1, che però esegua gli schemi con attenzione, puntualità  ed applicazione, e tiri bene dalla distanza.

Difficile fare l'identikit di un tipo di giocatore più lontano dallo stile del Guanto, quindi possiamo dire già  da ora che il suo successo ai Lakers è legato ad alcune alternative ben precise: o Payton cambia totalmente il suo stile di gioco (poco probabile) o Winters e Jackson chiudono un occhio e lo lasciano improvvisare, mettendo da parte il triangolo (molto meno probabile)
oppure le parti in causa trovano un compromesso accettabile, ad esempio costringendo GP a giocare in modo ragionato quando Malone e Shaq sono in campo contemporaneamente, per poi dare carta bianca a lui e a Kobe nei momenti in cui uno dei due lunghi, o entrambi, riposano le stanche membra in panchina.

La questione tecnica è comunque asslutamente marginale, rispetto all'ovvio problema della difficile coesistenza di ben quattro galli, in un pollaio che già  in passato ha rischiato più volte di scoppiare a causa dei contrasti fra due soli padroni.

Entrambi i nuovi acquisti sono sempre stati abituati ad avere i pieni poteri in spogliatoio, però sono consapevoli che questa è “la squadra di Shaq e Kobe” (testuali parole da parte di entrambi); arrivano ai Lakers per vincere, per giocarsi il tutto per tutto in una sola mano (infatti entrambi dovrebbero firmare per un solo anno con opzione per il secondo), che probabilmente sarà  la loro ultima occasione: faranno di tutto per non sprecarla in modo futile.

In ogni caso, se veramente nasceranno dei problemi, è verosimile che vi sia coinvolto Kobe: come detto, fra Shaq e Malone c'è un feeling particolare, e anche Payton non è insensibile al carisma di “da Diesel”; stiamo parlando di tre veterani, che in fondo appartengono alla stessa generazione (la generazione dei campioni che ha fatto in tempo a sfidare Jordan “in his prime”, non semplicemente ammirarlo in televisione) e si affrontano sui parquet di tutta America da più di un decennio ormai: non è impossibile pensare che facciano subito “comunella” fra loro.

Kobe potrebbe non gradire una situazione del genere: lui appartiene già  ad una NBA diversa, è il presente ma soprattutto il futuro, senza contare il suo carattere particolare che lo porta a non dare troppo ascolto ai “grandi vecchi”; in particolare con Malone ci sarebbe anche un piccolo screzio di qualche anno fa, quando un giovanissimo Kobe si permise di rifiutare sgraziatamente un blocco portatogli dal Postino.

I rapporti fra i tre veterani e la giovane stella (che peraltro avrà  già  un'estate piuttosto movimentata, per i noti problemi extracestistici) potrebbero essere ulteriormente complicati dal fatto che la dirigenza e Jackson gli avevano fatto chiaramente capire che, in corrispondenza della parabola discendente di Shaq, sarebbe stato lui Da Man in casa Lakers da ora in poi: proprio la stagione che sta per iniziare avrebbe dovuto essere quella del definitivo passaggio di consegne, staremo a vedere se e come si modificheranno i rapporti di forza all'interno dello spogliatoio dopo le due acquisizioni.

Su tutto questo vigila ovviamente l'occhio attento ma sempre scanzonato di Phil Jackson, sicuramente l'uomo giusto nel posto giusto, trattandosi di gestire e far rendere al meglio una situazione potenzialmente esplosiva: non ci vuole un medium per sapere che l'idea della sfida di far coesistere quattro personaggi di tale calibro lo esalta; vincere questa sfida e coronarla con l'ennesimo titolo sarebbe la consacrazione ideale per assurgere una volta per tutte al trono di miglior coach NBA di sempre.

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