La stagione dei Nets

Resto o non resto? Questo è il dilemma…

"Qualcuno sa dove giocano i Nets?"
Questa la domanda che i tifosi dei Knicks si sono posti fino all'estate del 2001, quando i Nets erano ancora i cugini poverissimi della franchigia che fu di Willis Reed, Walt Frazier e Patrick Ewing e una delle barzellette migliori (nel senso che facevano più ridere) della Nba.

Da quella famosa estate in poi, i cugini "ex-ricchi" hanno cominciato a conoscere bene East Rutherford, con tanto di (squallida) palude e Continental Airlines Arena annesse.
Continental Arena teatro di molte battaglie Giunoniche, che i Knicks hanno visto in televisione e i Nets hanno vissuto in prima persona in queste ultime due stagioni.

Beh, tutto comincia quando Rod Thorn, general manager delle "retine", viene preso da "Jerry Westologia" (antica, dovremmo aggiungere: un po' il greco moderno molto diverso da quello antico, il nuovo Jerry West dà  i primi segni di cedimento) da Gm, e in una sola estate inanella una serie di colpi da antologia: scambia Marbury, che non andava d'accordo con lo sceicco Van Horn, per Kidd, e in sede di draft cede l'idolo locale Eddie Griffin per i meno quotati Richard Jefferson, Jason Collins e Brandon Armstrong.

All'epoca Thorn fu molto discusso, primo per aver ceduto una stella giovane per una stella vecchia, secondo per aver ceduto un potenziale all-star per tre buoni elementi e nulla più.
All'epoca, dicevamo. Due stagioni dopo, due titoli della Eastern Conference dopo, due finali dopo, quando di acqua sotto i ponti (del "Dream river": in fondo è stato un gran bel sogno) ne è già  passata parecchia, qualcuno potrebbe obiettare di fronte ad un voto 8 all'operato di Thorn. Perché sinceramente non si scappa da un 9, o addirittura dall'eccellenza assoluta.

L'anno scorso, i Nets si sono arresi mestamente in finale ai Lakers del three-peat, dopo un cammino entusiasmante che li ha portati a concludere con il miglior record (52-30) ad est del Mississipi e ad eliminare nell'ordine Pacers, Hornets e Celtics dalla post-season.

I Nets di quest'anno nascono, come ha riferito coach Byron Scott, dalla sconfitta contro i Lakers. Così ecco che Thorn spedisce nella città  dell'amore fraterno Van Horn e McChulloch, deludenti in finale, in cambio dell'"inanagrafabile" Dikembe Mutombo, e propende per il far spazio a Jefferson e ad un Jason Collins che invece in finale ha fatto davvero bene (nei limiti del possibile per un essere umano) contro Shaq-zilla. Ecco anche la firma di Rodney Rogers, che aveva fatto una buonissima impressione alla dirigenza Nets nella finale di conference. Ecco anche la firma di Chris Childs, arrivato con l'intento di dare finalmente un buon back-up al marito di Joumana, al secolo Jason Kidd da Oakland. Mah, diciamo che l'esperimento Childs è andato a farsi benedire (in cucina). L'ex Knick, infatti, si è presentato al training camp un pochino (grosso, grosso eufemismo) sopra il peso forma. Non è mai stato efficiente in campo, e anzi è stato anche protagonista di episodi non proprio edificanti (vedere alla voce "come fare ad ingrassare otto chilogrammi in un fine settimana", prego).

Anche l'arrivo (ma sarebbe meglio pseudo-arrivo) di Dikembe Mutombo non dà  i frutti sperati: l'africano si infortuna prima del via, e quando tornerà  in campo, non farà  più parte dei pensieri della rotazione di coach Scott. La squadra è quindi apparentemente indebolita rispetto a quella dell'anno precedente, costruita alla vigilia espressamente per fare il cosiddetto "ultimo passo" verso il titolo e convincere così Jason Kidd a restare a East Rutherford anche dopo la scadenza del contratto alla fine della stagione, avendo alle spalle una squadra molto competitiva ad altissimo livello.

Ma l'inizio delle "Retine" è brillante: Kidd gioca da Mvp, ma soprattutto emerge un Richard Jefferson stellare, che a Febbraio giocherà  l'All Star Game, ma soltanto la partita del sabato, quella dei rookie contro i sophomore, quando avrebbe abbondantemente meritato di giocare la partita vera, quella consueta domenicale, quella in cui si sfidano le migliori stelle della Lega con L maiuscola.

Tutto funziona alla grande, nonostante le defezioni di Dickembe-"not in my house"-Mutombo e di Childs. La squadra sembra potersi confermare ai livelli raggiunti l'anno scorso, anche se è consapevole che quest'anno la strada sarà  più lunga per la maggiore consistenza degli avversari.
Ma la seconda parte di stagione riserva sorprese poco piacevoli: i Nets subiscono un calo pazzesco, e dopo una prima parte brillante da 26 vittorie e solo 9 sconfitte, concludono con un parziale di 23-24, frutto di un calo fisico (e psicologico, probabilmente) di tutta la squadra. Simbolo emblematico: Richard Jefferson, che da febbraio in poi sembra un giocatore bollito, stanco, disinteressato.

Il record finale sarà  di 49 W e 33 L, il secondo della Eastern Conference dietro ai Pistons. Ma ai playoff, scatta la scintilla: dopo aver battuto i Bucks per 4-2 con qualche patema di troppo, i Nets si trovano di fronte i lanciatissimi Celtics, che al primo turno hanno eliminato una delle favoritissime per la finale, gli Indiana Pacers.
Ebbene, la serie è un monologo degli ex-cugini poveri, uno sweep che non lascia alibi ai biancoverdi.
Temi della serie: il contropiede e Kenyon Martin. I Celtics sono incapaci di opprsi alla transizione guidata da Kidd, Walker sparacchia senza alcuna logica e Martin lo umilia offensivamente e difensivamente, tenendolo a percentuali sinceramente imbarazzanti e mettendo in discussione il suo futuro da Celtic.

Con la convinzione di essere tornati una grande squadra, ai livelli dell'anno scorso ma più esperiente, si va a Detroit, con i Pistons che hanno il vantaggio del campo. Ma anche qui, il risultato è imbarazzante per gli avversari: 4-0 Nets, che adesso cavalcano una striscia di 10 vittorie consecutive dei playoff.

La finale contro gli Spurs sarà  una serie combattuta, tutt'altra cosa rispetto a quella dell'anno passato contro i Lakers. L'esperienza e la coesione di un gruppo ormai affiatato farà  si che la serie contro San Antonio non abbia mai un pronostico scontato. Alla fine i Nets si arrenderanno 4-2, ma tutte le partite della serie sono rimaste in bilico fino al terzo quarto almeno, segno di un equilibrio pazzesco. Troppo forte Tim Duncan, troppo profonda la panca degli Spurs, troppo spento Martin rispetto alle serie precedenti, ma obiettivamente di più era difficile fare.

Di buono, in prospettiva futura, c'è che anche Mutombo ha dato una piccola mano alla causa della sua squadra in finale, e che potrà  servire come uomo d'esperienza e specialista difensivo nei momenti che contano. Il problema è naturalmente che con quel contratto, dovresti saper fare anche qualcosina d'altro.

E a proposito di futuro: logico che il primo nome che si associa a questo sostantivo è Jason Kidd.
Tutto, e anche di più, dipende da lui. Non esiste alcun dubbio: se Kidd resta, i Nets saranno ancora una squadra da finale ad est, e comunque competitivi ad alti livelli; se Kidd fa le valigie, le ambizioni dovranno essere drasticamente ridimensionate. In questo momento le voci si susseguono, un giorno Kidd è a San Antonio, l'altro a Dallas, ma in realtà  l'unica cosa saggia da gare è attendere, quello che stanno facendo con il fiato sospeso i tifosi dei Nets.

Comunque, in sede di draft, i Nets si son coperti le spalle e con la ventuduesima chiamata hanno scelto Zoran Planicic, combo-guard europea alta 2 metri, classico esperimento alla Jiri Welsch per intenderci, ma i Nets sperano possa andare meglio del ceco. Planicic è stato scelto anche in prevevisione di una partenza di Lucius Harris, l'altro free-agent dei Nets, guardia di importanza fondamentale, come ha dimostrato quest'anno quando è stato lanciato in quintetto in occasione di un infortunio di Kittles.
Probabile che Planicic arrivi subito negli States se Kidd dovesse partire, in caso contrario resterà  ancora un anno in Europa per maturare e magari migliorare nel tiro da fuori, ancora deficitario, e nei tiri liberi, vero tallone d'Achille.

Un po' come è stato fatto con Nenad Krstic, scelto l'anno passato e quest'anno pronto ad approdare nella Lega, ma c'è da sciogliere il nodo riguardante il contratto che ancora lo lega al Partizan Belgrado. Krstic potrebbe allungare in maniera esponenziale la rotazione dei lunghi dei Nets, ed essere un ottimo complemento a Collins, ormai diventato un centro affidabile, soprattutto difensivamente. Krstic è più forte in attacco, ecco perché i due potrebbero trovarsi bene insieme e dividersi equamente i compiti.

In definitiva non resta che aspettare la decisione di Kidd (o di Joumana?) per capire che futuro attende le "Retine". Ma pochi hanno preso seriamente in considerazione la partenza di Eddie Jordan, il responsabile dell'attacco dei Nets, andato a Washington per fare il capo-allenatore.
Molti lo consideravano il vero allenatore dei Nets, a scapito di quel Byron Scott che spesso ha deluso con alcune sue decisioni tattiche, anche in finale.
Questa "fuga" potrebbe riservare brutte sorprese ai Nets, che sperano di non doversene trovare di fronte un'altra, con conseguenze "devastanti" che distruggerebbero tutto quel che di buono è stato fatto in questi due anni.

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