First Pick History

Non c'è bisogno di presentazioni quando si parla di King James…

La scienza più inesatta di questa terra: il draft NBA. Protagonista principale: Lebron James. Co-protagonisti: una serie di franchigie che gli hanno chiesto di cambiare la loro storia recente. L'ha spuntata Cleveland.

La storia della lega ci insegna che non sempre la prima scelta assoluta ha un impatto immediato sulla squadra in cui finisce.

Nel 1987 i San Antonio Spurs scelsero da Navy David Robinson cambiando contestualmente il loro destino. Undici anni dopo la storia dei texani subì un'altra scossa con la scelta di Tim Duncan.
Nel 1988 Sacramento scelse Pervis Ellison. La scelta cambiò la vita al giocatore ma non certo ai californiani. Due casi limite.

Il draft del 1988 ancora oggi è ritenuto maledetto. Quell'anno i Clippers utilizzarono la seconda per Danny Ferry, J.R Reid, Randy White, Stacy King andarono nelle prime dieci. Vlade Divac fu la scelta numero 26 dei Lakers. Tim Hardaway la 14 per Golden State. L'unica stella fra le prime dieci scelte fu Glen Rice (n.4). Di gran lunga migliore l'anno precedente: Pippen fu la numero 5, Reggie Miller la 11, il povero Reggie Lewis, protagonista a Boston, la 22.

In generale, il giocatore scelto con la prima chiamata, risponde, almeno, con una decina d'anni di onorata carriera NBA. L'assunto è stato valido sino al 2001 quando gli Wizards hanno deciso dei rischiare premiando il diciottenne Kwame Brown.

Scelta controversa, giocatore non in grado di contribuire al primo anno (rivaleggia per numeri con La Rue Martin, statistiche alla mano, la peggior prima scelta della storia). Il giocatore ha passato 2 stagioni alla corte di MJ, attingendo dalla valigia dei 101 trucchi di Charles Oakley. Ma a tutt'oggi il suo destino da professionista, come per gli altri liceali della sua nidiata, rimane nebuloso.

Non tutte le prime scelte assolute però, sono in grado di lasciare veramente il segno nella squadra in cui finiscono. Per ragioni differenti: alcuni non sono abbastanza forti, altri caratterialmente discutibili. Alcuni, dopo qualche anno, vanno a dominare altrove.

Joe Smith fu la prima scelta assoluta del Draft 1996. Gli Warriors gli consegnarono lo spot di ala grande, lasciato vacante da Webber. Il giocatore un po' soft, sprovvisto della forza fisica necessaria per quel ruolo, disattese le promesse. Oggi è un giocatore di ruolo nel cast di supporto di Kevin Garnett. La curiosità : lo stesso Garnett fu scelto quell'anno con il numero 5.

Altri nomi: Rasheed Wallace con il numero 4. Antonio Mc Dyess con il 2. Michael Finley, addirittura con il 21.

Le promesse infrante. Qualche anno fa Scottie Sterling, ex scout per Golden State disse: "All'uscita dal college Joe Barry Carrol (visto anche a Milano ndr) era considerato un grande prospetto. Solo che agli Warriors incontrò colleghi che gli insegnarono tutto quello che non doveva imparare".
Tipico esempio di un giocatore che avrebbe dovuto spaccare il mondo ed invece si è perso. Altri esempi: Derrick Coleman, scelto nel '90 dalla New Jersey vecchia versione. Il giocatore, proveniente da Syracuse, è uno dei più grandi talenti degli ultimi 10-15 anni. Non al di sopra dei sospetti, la sua voglia, la sua etica del lavoro. Giocatore perennemente a metà  del guado fra quello che avrebbe potuto dare, e quello che in realtà  ha fatto.
Discreto quell'anno: Payton con la n. 2, ma poco altro. Oppure Danny Manning, scelto col n.1 l'anno successivo; dominante al college, sotto Larry Brown stesso, scelto dai Clippers. Il suo enorme potenziale naufragò con la fragilità  delle sue ginocchia. E con esse le speranze di Phoenix la sua terza squadra NBA: quell'anno i Suns avevano pensato di affiancarlo a Sir Charles Barkley, per rendere il quintetto un vero rebus. Andò male. Dopo l'infortunio Manning tornò a buon livello, ma non cambiò più le sorti della squadra dell'Arizona.

La fortuna a volte arriva e". ritorna.
Nel 1992 gli Orlando Magic scelsero con il numero 1 Shaquille O'Neal, il centro destinato, secondo molti a dominare la Lega. L'ex LSU è subito dominante: All Star Game in quintetto, boicottato più o meno apertamente da coach Riley, e progresso di 20 vittorie per la sua squadra. I Magic arrivano noni nella Eastern.

Contro la logica, ottengono di nuovo la prima chiamata n .1. John Gabriel, sceglie Chris Webber per scambiarlo con Anfernee Penny Hardaway, fra lo sconcerto dei tifosi della Florida. Penny dovrebbe essere il nuovo Magic Johnson, nell'asse play-pivot più elettrizzante degli anni 90'. Finì che l'unica scelta a cambiare la storia della franchigia fu la n. 11 dell'88, l'anno maledetto: Nick Anderson sbagliò quattro liberi consecutivi, i Magic persero la finale con i Rockets, Shaq perse fiducia nei compagni.

L'anno successivo volò a LA per proseguire la storia dei grandi pivot Lakers. Hardaway, nella sua carriera, si è avvicinato più a Joe Bryant che a Magic. Lo stesso Webber, finito a Golden State, litigò con Nelson e divenne il grande giocatore che conosciamo solo alla sua terza squadra, i Kings. Nell'anno d'uscita di O'Neal Alonzo Mourning fu scelto con la n. 2 da Charlotte (ora New Orleans).

L'anno prima le vespe si erano assicurate da Nevada Las Vegas Larry Johnson, che veniva considerato il nuovo Charles Barkley. La squadra migliorò, subì due eliminazioni ai playoffs ad opera di Boston e Chicago. Poi Mourning andò a Miami per Rice. Jonhson, condizionato da problemi alla schiena, divenne la guida dello spogliatoio ai Knicks in cambio di Anthony Mason.

Il caso Glenn Robinson fece scalpore: prima scelta assoluta del '94, davanti a Kidd e Grant Hill, chiese un contratto pluriennale superiore ai cento milioni di dollari. Il senatore Kohl, proprietario dei Bucks, rispose "A quelle cifre gli vendo la franchigia".
A distanza di anni quelle cifre non fanno più la stessa impressione. Robinson ha visto tutto dei Bucks negli ultimi anni: la franchigia perdente, la cessione di Vin Baker, la personalità  disfunzionale di Karl. E la finale di conference del 2001: vero picco della sua carriera.

Rapporto con Allen e Karl a parte, le carenze difensive, sono la vera ragione che ha diviso Robinson dall'empireo assoluto della NBA. Al di là  della cessione ad Atlanta ha comunque segnato un'epoca nella città  della birra.

Di Tim Duncan abbiamo detto: è stato Mvp delle finali al suo secondo anno ma rappresenta un caso a parte. Anche perché è finito in una squadra finta debole. S Antonio ebbe la prima scelta per gli infortuni che, nella stagione precedente, colpirono l'ammiraglio, Chuck Person e Sean Elliot.

Qualcuno ancora oggi avanza il sospetto che tutti quei guai fossero pilotati. Ne sono convinti in particolare nel Massachussets: Boston si accontentò di Billups (n.3) e Mercer (n.6) entrambi irrilevanti nella storia dei Celtics.

Altro caso interessante: Allen Iverson. The Answer, andato ad un attimo dallo scambio, architettò l'incredibile stagione 2001 in cui la cavalcata dei Sixers si concluse solo in finale, contro i Lakers. Ma nei primi anni fu il perfetto esempio di come, numeri elettrizzanti a parte, la prima scelta non sempre produce un'inversione di rotta nella franchigia. Curioso che in un draft di altissimo livello (Camby, Rahim, Marbury, Ray Allen), l'unico ad esser rimasto nella sua prima squadra è stato la scelta n. 13, Kobe Bryant.

Negli ultimi anni la questione si è fatta ancora più nebulosa: nel '99 i Clippers premiarono Michael Olowokandi, nella speranza di "rubare" il nuovo Hakeem. Quattro anni dopo i dubbi sui fondamentali dell'africano permangono. Il braccio di legno Donald Sterling non gli concederà  l'estensione contrattuale.

Destino simile a quello di Elton Brand, prima scelta 2000 per Chicago. Giocatore solido, continuo, ma non esattamente la stella dei tuoi sogni. In quell'anno forse non ricchissimo, i Bulls non considerarono Francis (n. 2), il Barone (n.3). Qualche rimorso in più per i Clippers, che peraltro detengono il contratto dell'ex Duke: nell'anno di Olowokandi uscirono nell'ordine Carter (5), Nowitzky (7), Pierce (10). Vancouver, in teoria, fece il vero colpo di quel draft: scelta numero 2 per Bibby, andato però a dominare a Sacramento.

Conclusione. Solo nel 50% dei casi la prima scelta si tramuta nella pietra angolare della franchigia. Le variabili da considerare sono troppe. Negli ultimi anni si è aggiunta l'incognita legata a giovani, usciti in anticipo dal college o dal liceo, senza un'educazione cestistica di primo livello. E' possibile che James faccia la fortuna della squadra che lo sceglierà . Più facile che sia un protagonista. Se con la maglia della squadra che lo ha scelto, difficile dirlo.

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