Duncan finalmente esulta durante la parata a San Antonio!
NBA anno 2003.
Stagione finita. Titoli assegnati.
Un solo indelebile marchio sulla stagione, sul gioco e soprattutto sugli albi d’oro del futuro. Il marchio di Tim Duncan.
Numero 21, 2.10 metri e 3.10 tonnellate (ma vado per difetto) di talento.
Naturalmente tutto questo rispecchia in pieno la NBA attuale. Duncan è il classico prototipo del giocatore moderno, arrabbiato, cattivo, forse non grandi fondamentali ma una strapotenza fisica che ne fa un vero e proprio carro armato non fermabile in uno contro uno, anche se non sempre grandioso difensore. E poi fuori dal campo. Un ciclone di parole, anche colorite, una vita privata che fa sempre notizia anche se non proprio per fatti dei quali andreste fieri…scusate un secondo.
Ci fermiamo un secondo nello scrivere e andiamo a controllare il libro dei record.
Ma, forse c’è stato un piccolo disguido.
Quello eletto ad MVP della stagione 2002/03 e delle finali NBA 2003 non è propriamente il solito prodotto dei pro di basket o è tutto un abbaglio? No, non si tratta di un abbaglio.
Scherzi a parte, il bello di un giocatore come quello noto con i tanti nomignoli, da ”il caraibico a “Mago Merlino”, è proprio la caratteristica di saper confondere, sorprendere.
In un’era di bestioni (non me ne vogliano i tifosi delle altre superstar NBA, è detto in modo benevolo) questo ragazzone rappresenta con pochi altri, un rebus davvero poco spiegabile.
Tim Duncan è, al momento, il più bel manifesto vivente di come il mondo della pallacanestro professionistica possa produrre e accettare nella sua ristretta cerchia di All Stars, persone diversissime da come ve le immaginereste.
Il suo fisico da ex nuotatore è longilineo, a volte sembra addirittura dinoccolato, il suo volto è serio al limite della timidezza, ma i suoi modi gentili ed educati non sono frutto di calcolo o di ipocrisia.
Duncan è universalmente riconosciuto da compagni, addetti ai lavori e persino dai tifosi delle altre franchigie, come un signore, nel vero senso del termine, con la S maiuscola.
Una persona che ha saputo trarre dalle difficoltà della vita pre-basket un insegnamento profondo e che, fortuna sua, ha trovato in un compagno di squadra come David Robinson la guida giusta per plasmarne la crescita peraltro mirabolante.
Ma attenzione, abbiamo parlato di persona capace di stupire.
Quindi non facciamoci ingannare da tanta buona educazione. Non confondiamo l’educazione con la scarsa capacità di lottare. Così come per tanti altri esempi in altri sport, la faccia buona del leader dei San Antonio Spurs, nasconde un secondo volto.
Un volto guerresco che ne fa un difensore ampiamente a livello di assoluta eccellenza. Al di là delle innegabili capacità offensive, che per assurdo possono passare in secondo piano, questo campione possiede una capacità quasi algebrica di chiudere un raddoppio, una lunghezza di braccia e una fluidità di movimento che rendono le sue stoppate facili da eseguire e difficili da digerire una volta ricevute, cifre difensive che sono passate dai quasi 10 rimbalzi difensivi a gara (9.7) della regular season, agli 11.4 dei play-off, per di più restando sempre in media con il livello delle stoppate (sempre a quota 3 per gara).
Certo le finali NBA non hanno regalato emozioni in serie. Vero.
Ma se andiamo a vedere, Duncan non ha mai steccato i momenti importanti, ha chiuso i giochi quando dovevano essere chiusi, non ha dato soddisfazione a chi gli chiedeva prestazioni da cartolina, ma nella gara decisiva ha sfiorato la quadrupla doppia.
Non è possibile pensare si tratti di un caso e non lo penseranno neppure i ragazzi e tifosi che fra 10 anni o più, andranno a leggere i libri di statistiche. Lì ci troveranno solo un nome, un numero e un titolo.
Certo, i pochi detrattori, dicono che contro un Webber in condizione o contro un Wallace (Rasheed) caricato sarebbe stata vita diversa, ma anche in questo caso si torna al paragone con altri buoni dello sport.
Stockton, Hornacek, Bill Russell, Magic, English, sua maestà Jordan, sono giocatori che resteranno nella storia anche per le proprie facce.
Sorridenti, concentrate, serie.
Ma andiamo a vedere oltre quelle espressioni. Andiamo a chiedere a chi passava vicino ai loro gomiti, a portata dei loro corpi, andiamo a domandare gli effetti che restavano.
Nella NBA, così come nello sport è facile confondere l’educazione con la mancanza di grinta. Ma la grinta, così come il talento e la leadership, non si esprimono con i decibel o con i gesti eclatanti.
I puristi del basket scuseranno questi paragoni, ma Duncan a livello più globale, sta nella stessa classe degli Edberg, degli Ashe, degli Scirea, dei Senna, campioni che trovavano la consacrazione nel gesto tecnico, meno nelle relazioni interpersonali.
A proposito di paragoni, oggi chiunque, dall’America all’Europa, ne spreca molti per Tim Duncan. Non volendo restare fuori dalla mischia e per pura impressione personale, è possibile azzardare due nomi.
Kareem Abdul Jabbar, solamente per la grazia nei movimenti e la leggerezza nel tiro e Larry Bird, per la capacità di concentrazione, la cattiveria silenziosa nella ricerca della vittoria e la volontà di fare sempre la cosa più semplice ed efficace per raggiungere un risultato.
Opinabile, vero?
Quello che è meno opinabile è il futuro del rappresentante degli Spurs.
Come molti predicono, per gli Spurs sarà davvero difficile costruire una dinastia, almeno fino a quando il pur encomiabile Bowen non sarà rimpiazzato da un successore del grande Sean Elliott e si troverà l’erede di Robinson.
Allo stesso tempo però, Duncan ha dimostrato ampiamente come la parabola sia ben lontana dall’essere all’apice e la sua capacità di “fare squadra” potrebbe riservare ancora molte sorprese nella zuffa che si prevede ad Ovest nel 2004.
Il ruolo più affollato del basket moderno, sembra dunque avere trovato un dominatore stabile e c’è da giurare che il parquet dello Staples Center nel febbraio prossimo, non sarà soltanto terra di conquista dei rappresentanti della squadra di casa.
Il re oggi è Duncan Tim da Wake Forest, lunga vita al re…