Tim Duncan: la vittoria è soprattutto sua!
Urla di gioia si potevano sentire in ogni angolo della città ; da Commerce Street a luoghi come il Tony's Bar di Brooklyn Street o Our Lady of the Lake Convent. I tifosi potevano finalmente gridare alla vittoria innalzando i vessilli della franchigia del cuore, cantando lodi ai vari Duncan, Kerr e Jackson. La River Walk presa d'assalto da migliaia di persone festanti, per una parata in onore dei nuovi padroni della Lega.
Persino a Bexar County Jail, il penitenziario della città , si è fatto festa e centinaia di detenuti hanno potuto assistere al trionfo del Caraibico (prestazione mostruosa la sua) e dei propri compagni.
Dunque anche queste Finali sono andate in archivio, non senza qualche polemica, qualche indice di ascolto in meno e, parere del sottoscritto condiviso da più parti, anche un tasso di talento inferiore rispetto a qualche anno addietro e, di conseguenza, un livello di spettacolo e di "bel gioco" non paragonabile a quello del recente passato.
Un uomo si erge al di sopra di tutto ciò: Tim Duncan grandissimo interprete del basket essenziale, vincente, talento rubato al nuoto capace di prestazioni devastanti in questi playoffs, ormai stella assoluta del mondo dei pro, costretto però in alcune occasioni a predicare nel deserto, ma che alla fine è riuscito a traghettare il resto della squadra verso l'approdo più dolce, quello della vittoria e della gloria.
Indubbiamente, nel corso del duello con i Nets, gli Spurs hanno più di una volta dato l'impressione di non essere un team schiaccia sassi, offrendo anche prestazioni davvero mediocri di fronte ad un avversario dotato di buona volontà , di Kidd e poco altro.
Il "supporting cast" si è spesso dimostrato non all'altezza della situazione e così a The Big Fundamental è toccata l'incombenza di segnare, prendere rimbalzi, sfornare assistenze, per sopperire ai limiti del resto della squadra.
Nell'albo d'oro ritroviamo così San Antonio, dopo il primo trionfo targato 1999. Accanto a quella vittoria vi è, a memento della stagione del lockout, un asterisco.
E' giusto aggiungerne un altro, simbolico, invisibile, per marcare una Finale che di buono ha offerto ben poco? Il sottoscritto si è divertito poco (tranne qualche giorno fa, guardando in videocassetta Chicago-Utah Gara 6 del 1998).
Sì, è vero, c'era Jordan e di Supermen come quest'ultimo non ne nascono tanti, ma da allora qualcosa forse nel mondo NBA si è rotto.
Onore invece a Steve Kerr, l'assassino silenzioso dei Bulls di MJ, in grado di portarsi a casa un altro anello, dimostrando che in fatto di tecnica al tiro i vecchi hanno ancora qualcosa da insegnare ai più giovani. Lui, e in misura maggiore Robinson, sono un pezzo di NBA che se ne va e, per chi il basket a stelle e strisce lo segue dalla fine degli anni 80, la sensazione è di grande tristezza (il tempo passa purtroppo). Rimane però la consapevolezza di aver potuto ammirare un grande giocatore che, nella fase migliore della carriera, sul parquet aveva ben pochi rivali.
Chi vince ha sempre ragione e allora non mi rimane che fare i complimenti a chi in questo momento si trova in cima all'Olimpo della pallacanestro. La vittoria è stata comunque meritata (se il titolo avesse preso la strada per il New Jersey molti avrebbero gridato allo scandalo) e non c'è malizia nelle mie parole quando dico: Viva San Antonio. Ripeto, chi vince ha sempre ragione e il team ha lavorato sodo per ottenere questo risultato.
Non mi vergogno però quando affermo che quest'anno l'atto conclusivo del campionato più bello del mondo è stato spesso deludente e noioso.
Spurs campioni, Gloria agli Spurs!
Stay tuned!