La sfida tra Martin e Rose è solo una delle tante sfide nella sfida…
Finalmente, ecco le Finals. Scenario e riflettori su Tim Duncan – MVP 2003 – su Jason Kidd – miglior play della lega – spazio a Popovich e Scott, opposte filosofie di pensiero che si traducono in modi opposti di far giocare questa palla arancione. Ma non solo.
Le Finals sono infatti un evidenziatore di grandezze e di lacune e un amplificatore di particolari; ogni dettaglio, più si va avanti e si riducono le squadre in corsa, diventa fondamentale, improvvisamente importante, cruciale. Alla fine di tutto ci saranno i venti e dieci come minimo di Timoteo e la tripla doppia dell'ex play di California, ma tutto ciò che non ci si aspetta è esattamente quello che sposta gli equilibri.
Due nomi su tutti: Kenyon Martin e Malik Rose. Non sono due nomi a caso, ma due grandi punti interrogativi, due scommesse, due incertezze che quegli equilibri li sanno spostare eccome, aggiungendo quel valore aggiunto che fa tutta la differenza del mondo.
Per K-Mart, la regular season appena terminata è stata quella della conferma, dei primi veri grandi numeri e del principio di maturità , tecnica e mentale. Il neurone di Kenyon Martin, si sa, non viaggia alla stessa velocità di quello dei colleghi, è esplosivo come il suo fisico: uno scherzo della natura di 2 metri e 6.
Pro e contro evidenti: tendenza a strafare, esplosioni di collera, ignoranza della parola “controllo”, ingestibilità e un correlato talento smisurato. Un mix certo non facile per Byron Scott.
Rose non è entrato in NBA dal salone delle feste come il suo collega prima scelta assoluta, ma dall'entrata di servizio, quella dei giocatori sul filo del taglio. Charlotte la sua prima casa, San Antonio il luogo che lo ha visto esplodere.
Nettamente sottomisura rispetto ai pari ruolo, atleticamente sottovalutato in quanto non grande saltatore, Malik Rose si è ritagliato un ruolo da sesto uomo di lusso in grado di produrre tanto e subito e di non far fare gli straordinari a Tim Duncan con l'ammiraglio seduto sul pino.
Gli equilibrismi delle finali saranno migliaia: ci saranno i Kerr, i Ginobili, gli Sweet Lou e i Deke oltre ai già citati premi oscar, ma alla fine molto passerà proprio dalle mani di K-Mart e Malik: la capacità di controllarsi e di non essere a rischio falli nel quarto quarto saranno elementi segnati sulle lavagne dei due coach, così come una chiave sarà proprio l'intensità sotto i due tabelloni del prodotto di Drexel in nero-argento.
Anche i nostri due protagonisti di oggi, peraltro, si aggiungono a quella splendida lista di personaggi che alza il volume della radio, quando la musica comincia a diventare piacevole e quando il palcoscenico in cui si suona diventa bollente. Oltre venti di media, per fare un esempio, è la media di K-Mart in questi playoff. Senza numeri è la sagacia tecnica difensiva e offensiva di Malik: due paradisi tecnici nei quali i due coach si divertono come bimbi col cioccolato. Da stare male.
Il loro minutaggio sarà fondamentale per capirne i risultati: condizionante la difficoltà per uno di stare in campo senza fare danni, tanto quanto la difficoltà di non tenere l'altro troppo dentro, a scapito del suo vero ruolo: il sesto di lusso, appunto.
Le finals, epitome della pallacanestro giocata, scritta e parlata, sono anche questo: sangue, forza, volontà , tecnica e quel qualcosa in più che non ti sai spigare ma che sai di dover cavalcare finchè ce n'è, finchè hai un domani per cui vale la pena di lottare. Per K-Mart e Malik Rose sarà proprio così, al di là del limite tecnico, al di là dei grandi numeri.