A Sacramento sperano che un giorno quest'uomo li conduca a vincere un titolo.
E' sempre complicato, appena terminata una stagione, sedersi ad un tavolino e cercare di analizzare cosa non è andato.
Poi se ti chiami Sacramento Kings e partivi per arrivare fino in fondo, alla conquista di un titolo storico che, dopo gara 7 delle scorse finali di Conference contro i Lakers, appariva quale unica "cura" per lenire un dolore così forte, è persino più complicato farsene una ragione, trovare un valido motivo.
Che poi, questo valido motivo, alcuni l'hanno individuato (ed è difficile dar loro torto) nell'infortunio che ha posto fine, in gara 2 a Dallas, alla "serie" di Chris Webber.
Già , appare strano che un semplice infortunio possa scombussolare così i piani di una franchigia, C-Webb è giocatore importante, diciamo pure decisivo (per lui annata da 23 punti, 10.5 rimbalzi e 5.4 assist) nelle sorti del quintetto, ma pur sempre un singolo in un team che ha altri buoni elementi che dovrebbero (e potrebbero) "salire in cattedra" nel momento del bisogno.
Peja Stojakovic ha risposto "presente" (e con lui un redivivo Christie) caricandosi la squadra nelle decisive gara 4 e 6, è apparso determinato a far di tutto per non far rimpiangere il compagno, ma ha mostrato che da solo non si può vincere.
Chi invece ha deluso è stato, senza dubbio, Mike Bibby che, dopo gli splendidi play-off dello scorso anno (in cui aveva ridicolizzato Nash ed i Mavs), ha fornito un contributo altalenante e mai decisivo perdendo la lotta coi pariruolo avversari.
Certo, tutte queste sono argomentazioni valide e forse nessun giocatore può far da solo la differenza, però, come ha detto un serafico coach Adelman sulle pagine del Sacramento Bee <Provate a togliere, che so, Duncan agli Spurs, Kidd ai Nets, Nowitzki ai Mavs… rimangono buone squadre, ma senza il loro leader non vanno da nessuna parte…>.
Insomma, il discorso è forse più complesso, ma certamente parte da molto lontano ed ha, nell'infortunio di Webber, solo la punta dell'iceberg.
Quando dico lontano intendo lo scorso anno e la già citata amarezza nell'epilogo contro L.A.; a Sacramento hanno lavorato tutta l'estate con un solo obiettivo: trovarsi di nuovo "a quella gara" per vincerla questa volta.
La campagna di rafforzamento è stata mirata e di alto livello, tanti buoni elementi in grado di dar fiato ai titolari senza abbassare la guardia per poter arrivare ai momenti decisivi carichi e soprattutto lucidi.
Si partiva da un trio di stelle che, oltre all'ex Michigan, vedeva il serbo Stojakovic e l'ottimo Bibby (in cerca di consacrazione) in prima linea pronti a mettersi la squadra sulle spalle e condurla all'anello. Con loro un nucleo di valore, giocatori esperti e funzionali come Divac e Christie, ma, sopra ogni cosa, la miglior panchina di tutta la Lega per valore e profondità .
Purtroppo però la stagione è stata segnata da tanti infortuni e partite saltate (27 per Bibby, 22 per Bobby Jackson e 18 per Webber) che hanno scombussolato i piani dello staff ed impedito, vista l'assenza di Bibby per i primi mesi, una reale verifica di "geometrie" ed equilibri.
Poi, ad essere onesti, anche quando il roster è stato al completo, i Kings non hanno quasi mai dato la sensazione di essere dominanti e di poter sovrastare gli avversari. Hanno giocato ad intermittenza, sovente mostrando limiti di concentrazione ed uno strano senso di "rilassatezza" che hanno pagato, talvolta, con rimonte nell'ultimo quarto e sgambetti da parte di squadre mediocri.
Ovvio che grazie al talento non hanno comunque faticato ad imporsi in termini di risultati (ben 59 le vittorie, secondo miglior risultato di sempre per la franchigia), quando di fronte hanno avuto sfide importanti hanno dato il massimo e sovente l'hanno spuntata, però è rimasta una sensazione di "appagamento", un affidarsi troppo al tiro senza variare il gioco, una pallacanestro forse troppo "accademica" che ha fatto infuriare coach Adelman per l'atteggiamento di "sufficienza" mostrato.
A tutto ciò va aggiunto il fatto che taluni elementi (segnatamente Turkoglu, Bibby e in parte Christie) non hanno reso, per diversi motivi, quanto ci si attendeva anche se, ad onor del vero, altri inaspettati exploit (tipo Bobby Jackson sesto uomo dell'anno, Keon Clark e il ritrovato Jm Jackson) hanno rimesso a pari gli equilibri del team.
Infine si sono evidenziati problemi nella rotazione, troppi buoni elementi in cerca di minuti, qualche mugugno ed un po' di incognite a livello di chimica che hanno guastato la stagione (si fa per dire visti poi i risultati).
Così Sacramento si è presentata alla post-season con un buonissimo record, ma qualche ombra da sistemare… poi, dopo aver scherzato con Utah è arrivato l'infortunio di Webber e l'eliminazione, peraltro onorevolissima dopo una serie combattuta, in sette partite per mano di un'ottima Dallas (che ironia della sorte ha perso, in gara 3 della serie contro San Antonio, il proprio leader Nowitzki).
Ora, come dicevamo, bisogna tirare le somme, e sarebbe forse ingiusto condannare la squadra per una stagione un po' "storta". Certo, c'è da analizzare e fare un tantino di autocritica sull'atteggiamento mostrato a volte, ma il giudizio sui Kings è, e rimane, positivissimo malgrado il finale amaro.
La squadra c'è, è ben assemblata, andrà rivisto qualcosa, ci saranno dei movimenti di sicuro (tra i più indiziati a cambiar aria Turkoglu, desideroso di spazio, e Pollard che ha perso minuti), però è chiaro che il progetto va bene e va "cavalcato".
Coach Adelman non è in discussione (e come potrebbe dopo aver portato i Kings a questi livelli), la città ed i giocatori lo adorano, i proprietari, i fratelli Maloof, gli hanno subito riconfermato la stima ed il GM Petrie è già al lavoro per consegnargli un roster ancora più forte.
Alla fine dei conti a Sacramento la delusione è stata tanta, ma tutti, dalla dirigenza ai tifosi, hanno capito che si può continuare su questa strada, che non servono facili isterismi o cacce alle streghe, il futuro è ancora coi Kings. Poi se la fortuna li assisterà magari li vedremo presto vincere un titolo… infortuni permettendo!