Sempre sopra i 20 ad ogni inno nazionale, ma da Carter ci si aspetta di più…
Nella splendida Disneyworld che è l'NBA di oggidì, ci sono castelli incantati, favole a stelle e strisce e sogni dirompenti. Alcuni però, alle volte si infrangono come mosche sui parabrezza e creano cuori amari a causa delle peggiori delle etichette mai inventate: le aspettative.
In questa breve panoramica, In The Zone si concentra oggi su chi ha deluso le aspettative di chi, a torto o a ragione, le aveva inventate in off-season e le aveva diffuse rendendole concrete, reali e palpabili, quasi come se prima di esse non ci fosse stato nulla.
Non una caccia al più colpevole, il meno migliorato o il peggio del peggio: un'analisi critica, invece, senza bisogno di cercare facili scuse, inutili perché o insperati se. Buon divertimento!
10) E-Rob (Chicago Bulls)
La grande molla dei tori era attesa, un po’ come tanti altri colleghi in rossonero, ad una stagione decisamente migliore delle precedenti: tanto entusiasmo dovuto a buoni acquisti in off-season, la scelta di un playmaker leader e la crescita di due centri giovani non sono però bastati a trascinare anche Eddie fuori dal tunnel post infortunio nel quale era capitato. Stagione incolore, panchina ben incollata al posteriore che raramente si stacca da terra, come dimostrato ampiamente con gli Hornets: il futuro è una ripresa prima mentale e tecnica e solo dopo fisica.
9) Jeff Mc Innis (Portland Trailblazers)
Arrivato come riserva di Damon Stoudamire (play da anni con la valigia già pronta) dopo una stellare stagione ai Clips, l'anno di Jeff Mc Innis è stato incolore a dire poco. Un terzo dei punti segnati l'anno prima, un utilizzo misero e una torta di minutaggio spartita anche con Pippen e Daniels. Sicuramente Jeff non si aspettava questo trattamento, ma forse il bicchiere mezzo pieno lo vede comunque: almeno non sta più dalla parte sbagliata di Los Angeles…
8) Austin Croshere (Indiana Pacers)
The Phantom of the Conseco. Ogni anno andiamo sempre più giù: la stagione 2002 – 2003, terminata al primo turno di playoff, non è neanche lontana parente di quella in cui i suoi tiri sono stati protagonisti nella lotta contro Big Aristotele tre anni fa. Certo che un GM che ti fa la borsa un giorno sì e uno anche non è un granchè e il gioco ne risente; aggiungi la crescita sempre più rapida di gente nel tuo ruolo (Artest, Al Harrington e ci mettiamo pure Bender) e il gioco è fatto. Austin, se stai leggendo, concentrati su questa frase: vai via finchè sei in tempo, il problema non sei tu!
7) James Posey (Houston Rockets)
Ci metto pure lui tra i flop dell'anno! Atteso all'esplosione, per un po’ è sembrato una luce in galleria a casa Denver, per poi perdersi nel marasma di talento texano che sono i Rockets. Tanta voglia di crescere e un ruolo tutto sommato non copertissimo in quel di Houston potevano essere le chiavi della svolta decisiva: forse però l'immensa gioia di uscire dal gulag del Colorado ha rallentato i neuroni dell'uomo da Xavier.
6) Lee Nailon (New York Knicks)
Non me ne voglia questo Lee e quello (di cognome) che i Knicks li vede sempre dalla prima fila, però un giocatore peggiorato così da un anno all'altro non l'ho quasi mai visto.
Onestamente, con tutte le critiche di sempre, l'acquisto di Nailon ho creduto che fosse una delle mosse più azzeccate dell'anno a livello dirigenziale. Al di là degli infortuni, l'uomo proveniente dagli Hornets è giocatore da venti a sera se serve o da due punti ma fondamentali: più che “è” direi sarebbe, però… Stagione incolore, chiusa con 5,5 di media e neanche due rimbalzi; Weatherspoon e Harrington due consumati campioni al suo confronto: Lee Nailon, se sei sempre dentro quel corpo lì, dacci un cenno!
5) Jay Williams (Chicago Bulls)
Sarà la storia dell'armadietto, sarà quel che sarà , ma metto l'ex play di Duke al quinto posto solo perché difetta in età e le aspettative sui giovanissimi vanno sempre ridimensionate. Certo è che oggi parliamo di Amare Stoudamire e non di questo qui, che avrebbe teoricamente potuto riempire le pagine dei giornali di Chicago e non solo, viste le imprese vere ai tempi del college. E invece? Cuori in inverno per il povero coach Cartwright. Difficile da gestire, un ego grosso come lo Stadium che non c'è più e risultati a fine anno piuttosto scarsini: voti bassi in punti, rimbalzi, attitudine, voglia di vincere e agonismo. Non solo: ci avreste mai creduto che Jamal Crawford a fine anno sarebbe stato il migliore realizzatore tra i due? Beh, io no, mai. Specie da uno che decide di vantare diritti sul mobiletto di legno…
4) Lamar Odom (L. A. Clippers)
Non vi incazzate, dai: questa posizione è come quei voti bassi che i prof ti danno quando… “siccome sappiamo che sai fare di meglio, manteniamo alto l'obiettivo”. Sinceramente mi auguro che Sterling decida che di Odom, in fondo, ce ne si possa anche privare e che finisca tra le braccia di qualche vecchio coach con i contro-marroni, uno che lo metta sotto come si deve e che lo faccia rigare dritto. Sinceramente, chi l'ha visto alzi la mano: cos'ha Lamarvelous che non hanno KG o alieni simili? A parte la carta d'identità io dico niente. Quindi, a conti fatti, la stagione dell'ala-play-guardia dei Clips è di quelle deludenti con la “D” maiuscola; lui e i suoi, se solo avessero spinto un po’ di più, avrebbero certamente concertato almeno al primo turno di playoff, facendo spendere a Sterling almeno i soldi per le inaspettate trasferte di maggio…
3) Tim Thomas + Anthony Mason (Milwaukee Bucks)
Twin Picks! Una bella doppia scelta per l'ultimo dei posti da podio. Due delusioni simili, nella stessa squadra, con quello strano sapore al palato che sa tanto di “mancato sfruttamento di grande occasione”. Per Thomas, soprattutto, l'anno coinciso con la partenza di Big Dog poteva e doveva essere quello dell'esplosione, della tanto attesa possibilità di mettersi in mostra come si deve. Il potenziale c'era e la tecnica pure, accompagnata – e qui non c'è Big Dog che tenga – da un'abilità difensiva fuori dall'ordinario. Poi, però, la scelta di Karl; il coach ha una visione mistica: in sogno gli appare Gary Payton che gli dice che in realtà Tim Thomas è un'eccezionale ala grande. Il giorno dopo Tim fa il quattro e Mase, che lo faceva prima, diventa un fantastico scaldalegno. Col risultato di uccidere due talenti e non raccogliere nessuna fava…
2) Darius Miles (Cleveland Cavs)
Nella misteriosa città errata, la grigia malattia ha contagiato anche lui. Lui è, naturalmente, D-Miles e la malattia è la nota Lebronite acuta. Certo nessuno si aspettava una stagione vincente, certo nessuno si aspettava un venti e dieci ma almeno poteva essere presumibile quel concetto “luce nel buoi” di fine stagione. Invece niente, non ci siamo. Le carte ci sono: si può emergere, fare tanto in una squadra così, eppure… per la terza stagione consecutiva facciamo nove a sera. Un suggerimento: anziché mettere i pugni sulla fascia, qualche ora in più sui fondamentali? Troppo cattivo, eh?!
1) Vince Carter (Toronto Raptors)
Scontato come i prezzi durante i saldi. Stagione incolore malgrado il ventello a sera assicurato. Un linguaggio del corpo che parla di rassegnazione, immaturità e desiderio di cambiamento. Fine dei confronti con KB8 o TMC, semplicemente siamo rimasti indietro un giro. Almeno sull'attitudine. La verità ? Verrà fuori solo se e quando Air Canada diventerà Air Usa da qualche altra parte: solo allora il giro verrà pian piano recuperato. Forse.
Honorable mentions:
– Vin Baker: visto recentemente in un oratorio pugliese perdere l'uno contro uno con Don Gianni e venire consolato da Suor Paola
– Ron Artest: chi è quell'uomo con gli occhialini e il camice vicino ad Isiah Thomas? Ah, sì: il nuovo acquisto dei Pacers, lo psichiatra di Ron
– Larry Hughes: non è un play, non è un play, non è un play…
– Andre Miller: povero Andre, i Clips riescono ad imbruttire pure lui!