Utah: what’s next?

Coach Sloan molto incerto sul suo futuro

Un altro anello nella corteccia degli alberi, un altro anno è passato per gli Utah Jazz, per John Stockton, per Karl Malone, per Jerry Sloan. Un altro… forse l'ultimo per tutti nello Utah?
Dannazione, non si poteva trovare una metafora migliore? Una che non facesse riferimento a quel simbolo, l'anello, che è stato per lunghe notti nei sogni (e negli incubi) del sopraccitato trio?

Gli Utah Jazz hanno concluso la stagione con la sconfitta al primo turno dei playoff per 4-1 per mano dei Sacramento Kings. L'estate che si respira già  nell'aria si annuncia come una delle più movimentate per Larry Miller, il proprietario della franchigia e per Kevin O'Connor, il General Manager della squadra dello stato dei mormoni.

Il futuro? Partiamo dalle certezze: una parte di quel trio ha già  annunciato che la sconfitta in gara 5 contro i Sacramento Kings è stata l'ultima di una carriera irripetibile: John Houston Stockton, con il suo solito stile, ha mormorato ai microfoni nella conferenza stampa post gara “I think I'm finished. It's time to move on”. Secondo alcuni non ha annunciato prima il suo ritiro non tanto perché non ne fosse ancora convinto, ma perché voleva evitare le cerimonie commemorative che lo avrebbero accompagnato per tutta la stagione in ogni arena NBA: voleva andarsene in punta di piedi, senza dare nell'occhio, come ha sempre fatto in tutta la sua carriera (narra la leggenda che durante una delle prime stagioni di Stockton un inserviente di un palazzetto, vedendo entrare Malone, si rivolse al nativo di Spokane, che si apprestava anche lui all'ingresso “Ragazzo, guarda, c'è Karl Malone!”, al che John rispose “Davvero? Lei lo conosce? Mi piacerebbe incontrarlo un giorno!”).
In ogni caso, con lui se ne va un pezzo della storia NBA e dei Jazz: primo assist man ogni epoca (con l'incredibile cifra di 15.806), primo nei recuperi (3.265), quasi 20.000 punti segnati in carriera, 1.504 partite giocate in tre decadi… ma i numeri, al solito, non dicono tutto: una durezza fisica e mentale incredibile per un uomo con un fisico più che normale (ve lo confermano tutti i big men che si sono lamentati dei suoi blocchi “sporchi”), una leadership innata ed una comprensione del gioco degna di un maestro di scacchi. Non ha ancora deciso se rimarrà  nello Utah, la sua seconda patria, o se tornerà  a Spokane, nello stato di Washington, magari per dare una mano al padre al “Jack & Dan's”, il bar di sua proprietà , ma una cosa è certa: il basket gli rimarrà  per sempre dentro. “Quando prenderai di nuovo in mano un pallone?” gli hanno chiesto i giornalisti dopo l'annuncio del suo ritiro. “Domani, probabilmente domani, nel cortile di casa. E' sempre un gioco magnifico” la risposta, che meglio di ogni altra chiarisce il suo amore per il basket.

Il ritiro di Stockton potrebbe essere l'ago della bilancia che sposterà  le decisioni degli altri due “big” della franchigia: Karl Malone ha rilasciato alcune dichiarazioni che sembrano far presagire una sua partenza verso squadre che gli possano garantire una chance di vincere il titolo. Coach Phil Jackson, durante la sua rubrica radiofonica del 28 aprile, ha già  mandato segnali al numero 32 dei Jazz “Credo che Malone sarebbe una grande addizione al nostro roster”, cosa che ha mandato su tutte le furie O'Connor “Karl è un giocatore sotto contratto. Questa cosa si chiama 'tampering', ed è illegale”. Se i Lakers sembrano comunque una destinazione improbabile (ce lo vedete il Postino, uomo legato ai solidi valori tradizionali che vive in un ranch e ascolta musica country, andare ad ascoltare le “fregnacce zen” - lui una volta usò un'espressione un po' più colorita, “crap” – di Grande Capo Triangolo? E come la mettiamo con Kobe, quello che nel '98 al suo primo All Star Game rifiutò un blocco di Malone mandandolo via perché voleva battere il suo uomo senza aiuti?), ci sono altre squadre che possono offrirgli la mid-level exception da 4.5 milioni di $ e la concreta possibilità  di arrivare al titolo; su tutte San Antonio (città  natale della moglie Kay, e le consorti spesso contano molto nelle scelte dei giocatori), Dallas e Sacramento, se Keon Clark dovesse decidere di uscire dal contratto firmato in estate.

L'alternativa è lacerante: inseguire il sogno di vincere un titolo ed accontentarsi magari di un ruolo di secondo piano (ma non accetterebbe mai di fare la fine di un Mitch Richmond, crediamo), oppure rimanere fedele alla squadra che ha sempre creduto in lui e terminare la carriera, come in una favola col lieto fine, con il record di punti nella storia della NBA (se gioca altri due anni dovrebbe tenere una media di poco superiore ai 13 a stagione) sempre con la maglia dei Jazz? L'unica cosa che “The Mailman” ha dichiarato è che prenderà  la decisione insieme alla sua famiglia, e che tale decisione arriverà  in breve tempo, per non lasciare troppo sulla corda gli stessi Jazz e per permettere a Miller e O'Connor di muoversi di conseguenza sul mercato.

Infatti, se anche Malone dovesse lasciare, i Jazz si ritroverebbero sgravati dal suo contratto che quest'anno chiamava oltre 19 milioni di dollari (e che comunque anche in caso di permanenza sarebbe ridiscusso e ridimensionato), oltre ai sette milioni che Stockton aveva come suo solito concordato personalmente al bar con Larry Miller. Soldi disponibili, quindi ma per chi? Per ora l'unico nome che circola è quello di Andre Miller, nativo di Los Angeles che però ha speso i quattro anni di università  proprio a Utah, agli ordini di Rick “Not so Slick” Majerus. Fino all'anno scorso sembrava la soluzione ideale per sostituire Stockton, ma la figuraccia ai Mondiali di Indianapolis prima e la deludentissima stagione ai Clippers poi hanno fatto sorgere più di un dubbio alla dirigenza e ai tifosi dei Jazz, tra l'altro alle prese anche con il dubbio Raul Lopez: la prima scelta del 2001 che si è poi infortunato seriamente non ha ancora dato modo di valutarne il potenziale e l'impatto a livello NBA. Viene paragonato da molti a Steve Nash, ma ai Jazz si accontenterebbero anche di qualcosa di meno “E se ci trovassimo per le mani un altro Tony Parker? Che senso avrebbe investire dei soldi in quella posizione?” si domandano nel front office.
L'altro problema è che i due migliori giocatori della franchigia che rimarrebbero nel roster sono Matt Harpring e Andrei Kirilenko, caratteristiche tecniche certamente diverse ma ruolo identico. Se Harpring è un lottatore ed un tiratore da tre affidabile che si è inserito perfettamente nel sistema di gioco dei Jazz e da cui dirigenti e tifosi si separerebbero malvolentieri, AK47 ha mostrato lampi di classe accecanti, e i suoi margini di miglioramento sono ancora enormi. Dovrebbero dunque rimanere entrambi; toccherà  al coach trovare un modo per farli coesistere.

Già , il coach. Dopo 15 anni passati sulla stessa panchina (il periodo più lungo di qualunque allenatore nello sport professionistico americano), forse Jerry Sloan ha esaurito le motivazioni per rispettare il suo contratto che prevede un ultimo anno alla guida dei Jazz. Alcuni segnali di frustrazione ci sono stati nella stagione appena conclusa: Sloan è stato sospeso per sette partite per aver spinto l'arbitro Courtney Kirkland in gennaio. In gara 3 della serie con Sacramento è stato espulso per aver protestato troppo su una chiamata dubbia. In gara 2, ha tenuto seduto per tutti i 48 minuti DeShawn Stevenson, con il quale aveva avuto un duro scontro per questioni legate al minutaggio. Insomma, un'annata nera, conclusa nella conferenza stampa con una dichiarazione emblematica “Sono disgustato: questo è stato il peggior lavoro della mia vita. Abbiamo giocato malissimo quest'anno”. Coach, ma la squadra ha guidato la Lega per percentuale dal campo!!
Anche Malone porta indizi negativi: “Beh, quest'anno l'ho visto un po' frustrato. E' come se si stesse chiedendo 'Voglio ancora tutto questo se quei due non torneranno l'anno prossimo?'”.
Ci pensa però Larry Miller a dare speranza a chi vorrebbe rivedere Sloan sul pino anche nella prossima stagione: “Nella stagione '97-98 Stockton si operò al ginocchio e dovette saltare 18 partite. Dopo quella striscia, Jerry venne da me e mi disse che il periodo in assenza del play titolare era stata una bella sfida, che si era divertito”. Questa è bella: paradossalmente, il fatto di avere due giocatori sul parquet che sanno a memoria cosa fare e quando farlo forse rendeva il lavoro del nativo di McLeansboro (Illinois) più noioso, meno coinvolgente. Ora il pensiero di dover ributtarsi ad insegnare pallacanestro potrebbe anche stimolare Sloan ad andare avanti.

In ogni caso, la prossima sarà  una stagione di rottura con il glorioso passato della franchigia. Addirittura c'è stato qualcuno che ha proposto una trade quanto mai inusuale: visto che i nomi proposti per la nuova squadra di Charlotte (Dragons, Bobcats o Flight) sembrano non piacere a nessuno, autorevoli giornalisti hanno avanzato l'ipotesi che il nickname “Hornets” torni nel North Carolina, e che “Jazz” torni ad essere prerogativa della città  che lo ha visto nascere, New Orleans.
Ma nessuno pensa ai poveri tifosi dello Utah? Una franchigia NBA senza più Stockton, Malone, Sloan, e che non si chiami neanche più Jazz non riuscirebbero neanche ad immaginarla.

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