Garnett non ha potuto fermare da solo la vena dei Lakers
Sono notti agitate quelle che stanno vivendo molti allenatori negli Stati Uniti.
Puntuale come in un incubo di qualche serie di filmacci made in Hollywood infatti, anche in questa primavera il primo turno di play-off ha compiuto il vecchio sortilegio.
Una squadra stanca, svogliata e sostanzialmente mal gestita per alcuni mesi, ha ricominciato a funzionare come un orologio svizzero e ha mietuto la prima vittima nei play-off.
I campioni del mondo dei Los Angeles Lakers, in barba a quanti dichiarano pubblicamente (e forse c'è anche da capirli) di non sopportarli più, hanno mietuto il primo scalpo eccellente della loro post season, la quinta forza della western conference, i Minnesota Timberwolves.
La serie contro la squadra di Kevin Garnett, scottato ormai ufficialmente dalla giuria per l'assegnazione del titolo di MVP, ha riproposto come tema portante la capacità dei Lakers di cambiare passo nel momento del bisogno.
Complessivamente infatti, la squadra di Flip Saunders è stata in vantaggio per un numero di quarti superiore a quello dei rivali. Dimenticando i rovesci di gara 1 e gara 5, dominate da Shaq e colleghi prima sul piano mentale piuttosto che su quello strettamente tecnico, Minnesota ha vinto palesemente gara 2, ha rischiato di dominare gara 3, finendo poi per vincere solo all'over time e per di più senza l'apporto del suo uomo migliore, ha perso gara 4 più per demeriti propri che per meriti degli avversari (questo almeno è quanto riportano alcuni osservatori della costa est) e ha perso gara 6 in preda ormai ad uno sconforto dovuto soprattutto alle prestazioni super delle due stelle avversarie.
In una serie che quindi non ha visto ridimensionati i T-wolves, hai quali invece sono stati tributati onori notevoli, i Lakers hanno fatto la parte dei cattivi, la parte di quelli che pur non sprecando enormi quantità di energia hanno saputo far prevalere la maggiore esperienza a questo livello di adrenalina.
Ma è davvero così?
I Lakers hanno vinto solo per il proprio ormai consolidato killer instinct?
A voler vedere, alcune considerazioni possono essere certamente valide. Negli ultimi quarti a disposizione certamente i Lakers hanno saputo trovare percentuali e conclusioni migliori, ma c'è anche da dire che nel panorama NBA odierno i Lakers possono vantare una caratteristica unica. I giallo viola utilizzano anche quest'anno ed è gioco forza sia così, un impianto di gioco unico.
In una lega che fa trova sempre più squadre che fanno a meno del centro, i Lakers possono sfruttare O'Neal come punto di riferimento continuo e con il sistema del triangolo possono controllare il ritmo del gioco dando meno possibilità di subire contropiedi in sequenza.
Un gioco vecchio per la filosofia attuale certo, ma un gioco che rende solo se i protagonisti sono quelli giusti. Nella serie di primo turno, i protagonisti sono stati certamente all'altezza.
Shaq ha decisamente ripreso il filo dei play-off 2002, siglando una media di 28.7 punti e portandosi a casa oltre 15 rimbalzi di media. Si sa, uno Shaq che difende è affare ben diverso da quello che solitamente si estranea dal gioco.
Accanto a lui però, gli uomini che hanno migliorato maggiormente il proprio rendimento sono stati Fisher e George. Il primo è ritornato a segnare oltre 15 punti a gara, con il 61.8 di percentuale da tre anche se ora è atteso da una prova durissima contro il reparto guardie degli Spurs.
Il secondo è stato la sorpresa della serie insieme a Troy Hudson. Schierato forzatamente in quintetto, causa l'infortunio di Fox, l'ala angelina che solo poche settimane fa sembrava già sul piede di partenza ha sfoderato gare di rara efficacia offensiva nelle quali ha tenuto una media di una sola palla persa a gara e ha difeso con una fisicità che non gli si conosceva.
Una sorpresa parziale è stato Bryant.
Dopo un febbraio e un marzo da delirio e un aprile più moderato, la guardia angelina si è presentato ai play-off in piena forma, giocando più minuti di tutti, segnando una media di 31.8 punti a gara, marcando percentuali al tiro da 43% dal campo e 35.7% da tre, proponendosi di gran lunga come il miglior assist man della squadra con 6.7 rifornimenti a partita e ripresentando la tesi che Phil Jackson va ripetendo da tempo. “
Non è importante che la stella sia l'uno o l'altro dei componenti della Combo, il bello è sempre vederli duettare e vedere quali soluzioni cercano di trovare gli altri”.
A questo punto la palla passa a Spurs vs Lakers, serie che si preannuncia se possibile ancora più interessante, ma prima di concludere è doverosa una riflessione su Minnesota.
La squadra dei T-wolves ha perduto nonostante avesse in campo un giocatore “divino” come Garnett. Ha perduto probabilmente perché la sua panchina, anche se sembra una bestemmia, non ha dato la stessa profondità di quella avversaria. Ha perduto nonostante la consacrazione di Hudson. Ha perduto perché la vera delusione della serie è stata la sua seconda star, Wally Szczerbiak, relegato a ruolo di comprimario dal provvidenziale infortunio a Fox e parecchio anche dai propri limiti mentali.
A questo punto molti giornali hanno parlato di ultima serie di post season di Minnesota con Garnett presente in roster. La verità ovviamente si saprà solo quest'estate, ma la scelta che molti paventavano quest'inverno, fra una squadra pro-Garnett e una pro-Wally e che era stata accantonata dalla bella seconda metà di stagione, sarà fondamentale per le future prospettive della franchigia.
Alla prossima"