Uno dei tanti momenti in cui MJ era ancora… Air
La fine della stagione regolare è un po come l'inizio dell'estate in cui tutti i sogni e i progetti invernali e primaverili stanno per concretizzarsi e passare alla realtà . Quest'anno invece non è stata così, perchè se da una parte si è definita la griglia dei playoff, lasciando a noi l'ingrato compito di pronosticarli e di commentarli, il rovescio della medaglia è che si è conclusa, questa volta per davvero la carriera di quello che praticamente tutti i sondaggi del mondo effettuati in questi giorni hanno riconosciuto come il più grande sportivo di tutti i tempi, al secolo Michael Jordan, per noi malati di basket USA semplicemente MJ. L'ultima settimana in particolare è stata vissuta come un triste countdown, quando poi è arrivata la notizia che anche in Italia si sarebbe vista in diretta l'ultima di MJ, allora il sottoscritto è stato incosciamente incastrato in una doppia senzazione contrastante, ovvero vedere l'ultima imperdibile di MJ, oppure lasciar perdere per immaginarmelo ancora in calzoncini e cannottiera. Alla fine ovviamente mi sono visto la gara che di per se ha aggiunto poco o nulla alla leggendaria carriera di Michael, se non il raggiungimento dei 20 punti di media, roba impensabile per la quasi totalità dei giocatori NBA al massimo della forma fisica tra i 25 e i 30-32 anni, ma che lui nonostante le quaranta primavere ha raggiunto in scioltezza.
La carriera di Michael si chiude con un 2/2 dalla lunetta, poi un compagno giustamente spende un fallo per regalare a tutto il mondo sportivo la più emozionante standing ovation di tutti i tempi. Michael lascia un basket NBA, che lui ha profondamente cambiato per non dire stravolto, perchè prima di lui nell'NBA erano riusciti ha farla da padroni anche giocatori atleticamente non eccelsi, nell'NBA attuale se escludiamo John Stockton, tutti i gli All Star dell'ultimo decennio avevano dallo loro oltre alla tecnica, un fisico atleticamente esagerato. Michael ha spostato verticalmente il gioco del basket in alto, e se all'inizio le sue schiacciate e i suoi Alley Hoop erano visti come un fenomeno da baraccone, tutti i successi ottenuti in seguito ne hanno fatto un fattore indispensabile per essere giocatori dominanti, la riprova di tutto ciò e che i quattro giocatori in odore di MVP della stagione appena conclusa Kobe, Garnett, Duncan e TMac sono atleti incredibili.
Quando i grandi dello sport si sono ritirati sono quasi sempre stati celebrati ricordandone ovviamente i trionfi, ma anche accentuandone le rivalità o con personaggi particolari continuando a far discutere. Le rivalità sono il sangue dello sport, ricordiamo quella genuina tra Coppi e Bartali, quella al limite dell'assurdo visti gli scontri a 200 all'ora tra Prost e Senna, quella più recentre tra Biaggi e Valentino nelle moto, ma anche le rivalità nel mondo NBA tra due amici come Magic Johnson e Larry Bird, o quella tra Chanberlein e Bill Russell negli anni '60, Michael Jordan a differenza di tutti questi grandi personaggi non è stato inserito in nessuna rivalità per il semplice motivo, che una volta raggiunta la maturità agonistica “non ha mai avuto rivali”, i suoi rivali sono stati quelli che lo dovevano affrontare la sera in campo e al massimo qualsiasi tentativo pur timido di paragone non ha resistito più di una stagione, come nel caso di Clyde Drexler nel '92; ci sono poi personaggi come Maradona o Tyson fuoriclasse riconosciuti nel loro genere che però si sono lasciati dietro una scia di futili discussioni che a distanza di anni riescono solo ad offuscarne l'immenso talento espresso, anche sul personaggio di Jordan spesso i media hanno cercato di accendere discussioni, ma il massimo che sono riusciti a fare è stato lo sbandierare davanti al mondo l'aver frequentato un casinò di Atlantic City la sera prima di una gara di playoff contro gli odiati New York Knicks, oppure le inutili speculazione degli ultimi anni sul suo presunto divorzio. Questo è a mio parere quello che rende Jordan il più grande di sempre,ovvero il fatto lampante di non avere rivali, e il fatto che nonostante la caratura del personaggio, il suo rendimento abbia di fatto spento qualsiasi discussione di contorno.
L'ultimo anno celebrativo di Jordan è stata l'ennesima dimostrazione che Jordan è stato il campione di tutti, al di la delle due maglie che ha indossato, un campione trasversale che ha messo tutti daccordo e tutti a tacere, che rispecchia come meglio non si potrebbe la mentalità sportiva made in USA, per ora avanti anni luce rispetto alla nostra, infatti se Jordan fosse stato il calciatore di gran lunga più forte di tutti i tempi, nei nostri stati nell'ultimo anno di gioco si sarebbe beccato gli insulti più atroci, invece in America succede quello visto a Philadelphia ovvero il tifoso che per una sera mette da parte il proprio idolo, arrivandolo addirittura a fischiarlo, se solo si permette di intralciare il “mito” nella sua ultima recita.
Per raccontare tutti i flash back che ci ha lasciato MJ probabilmente non basterebbe un libro da 1000 pagine, io ho avuto la fortuna dall'alto dei miei 33 anni di seguirlo sin dai tempi dei Tar Hells di North Carolina, perchè in quel periodo a Tele Montecarlo passavano alcune partite del campionato NCAA, e quel ventenne quasi completamente rasato, non passava certo inosservato, nonostante giocasse in una squadra il cui leader era James Whorty, e in cui Michael si divideva il ruolo di seconda scelta offensiva com Sam Perkins, però alla fine il tiro della vittoria nella finale NCAA contro GeorgeTown di coach Thompson e di Pat Ewing, lo mise dentro lui, ed è uno di quei tiri che non si dimenticano, che gli americani hanno semplicemente soprannominato “The Shot”.
Micheal arriva nell'NBA nel draft del '84, dove però non è prima scelta, perchè c'è Hakeem Olajuwon che viene da un quadriennio eccezionale alla Houston University, lui rimane a Houston ai Rockets, ma poi quando Portland viene chiamata a pronunciare il nome del giocatore selezionato con il pick n°2, inaspettatamente viene scelto Sam Bowie (!!!!!!!!), così Michael finisce ai Bulls, in una realtà perdente da secoli. Nella sua gara d'esordio arrivano 16 punti, ma alla terza partita sono già 35, e si comincia a capire che MJ è molto più adatto alla pallacanestro NBA di quella del college, chiude la sua stagione da rookie con il premio di “rookie of the year”. Nel suo secondo anno Michael salta praticamente tutta la stagione, ma torna in tempo per i playoff dove nella serie contro Boston mette insieme 63 punti al Boston Garden mettendo il primo leggendario mattone, con Larry Bird che a fine gara esterna “quello era Dio vestito da Jordan”, passano gli anni i Bulls crescono e cresce la leggenda di MJ, arrivano ad aiutarlo Scottie Pippen e Horage Grant, arriva il carrier high di 69 punti contro Cleveland una delle sue vittime preferite, poi il meraviglioso tiro in faccia a Creg Helo sempre contro Cleveland, che decide una serie di playoff, le meravigliose gare delle schicciate con le leggendarie lotte ad altezze siderali con Dominique Wilkins, le dure durissime battaglie contro i Pistons del nemico Isaih Thomas, per cui coach Chuck Daly aveva messo apunto le famigerate “Jordan Rules” regole che però alla fine non riuscirono a fermarlo, e alla fine nel 1991 arriva il primo titolo dei Bulls vinto 4-1 a casa di Magic Johnson, con un tiro sottomano con cambio di mano in aria che rimane il simbolo di quella indimenticabile stagione.
La stagione seguente è dominata dai Buls e cominciano le battaglie dure contro i Knicks di Pat Riley, alla fine la spuntano i Bulls, che in finale si trovano i Portland Trail Blazers, in gara 1 Michael tiene un clinic sul tiro da tre chiudendo il primo tempo con un 6/9 e passando il secondo a guardare le riserve, la serie si chiude sul 4-2 con Michael che in gara sei chiude con due liberi dalla lunetta una mega rimonta dei Bulls, che nell'ultimo quarto recuperano ai Blazers la bellezza di quindici punti in maniera leggendaria, con un apporto incredibile dei panchinari nella prima parte del quarto, e poi con l'esperienza dei titolari nel finale, con il mitico Dan Peterson che esterna sui Blazers “… che ridicoli sono !!”.
La stagione 1992-1993 sembra destinata a chiudersi con un successo dei Suns di Charles Barkley, ma i Bulls dopo la solita estenuante battaglia con i New York Knicks, arrivano in finale, e vanno a vincere per due volte in Arizona, in gara tre i 55 punti di Jordan non servono a dare la vittoria ai Bulls che poi vincono gara quattro e perdono gara 5, si torna a Phoenix, dove ha luogo uno dei finali più emozionanti della storia, Bulls sotto di quattro Micheal fa tutto il campo a corsa e segna il -2, i Bulls recuperano palla, si vive uno dei Time Out più lunghi della storia, coach Jackson decide che Michael non deve tirare e i Bulls con una rotazione della palla eccellente servono a John Paxon il tiro da tre della leggenda, l'ultimo disperato tiro dei Suns verrà stoppato da Horace Grant semplicemente nullo fino a quel momento. I Bulls si infilano il terzo anello, ma l'autunno è movimentato, il padre di Michael viene trovato morto, forse assasinato da dei balordi, e MJ decide di ritirarsi.
Ma il basket per Michael è semplicemnte il 100% della sua vita è l'esilio non può durare più di un anno e mezzo. Michael torna in campo il 19 marzo del '95 con un'inedita maglia n° 45, in una partita contro Indiana in cui la palla non vuole sapere di entrare, ma alla quarta gara dopo il rientro riecco il vero MJ con un cinquantello al Madison Saquare Garden. Il meccanismo dei Bulls non è però ancora ben oliato, e nei playoff devono arrendersi agli esuberanti Orlando Magic di Shaq e Penny, con qualcuno come Nick Anderson che perde l'occasione buona per stare zitto dicendo “Il 45 non è più come il 23, perchè gli anni si vedono eccome”.
Ma tutti i nuovi talenti che nel frattempo stanno invadendo la lega Penny Hardaway, Grant Hill, Chris Webber, Shaquille O'Neal devono ancora capire che Jordan non conosce e non comprende il significato della parola sconfitta, l'estate MJ si sottopone a un lavoro durissimo con molti compagni che lo imitano e soprattutto quasi obbliga Jerry Krause a prendere dal mercato Dennis Rodman, giocatore al limite della follia che però risulterà essere il più grande rimbalzista di tutti i tempi, con in più il pregio di non pretendere nulla in attacco, reduce però da due stagioni molto problematiche agli Spurs, alla fine Michael e i Bulls mettono tutti al silenzio con una stagione da record con 72 vittorie, con quella che verrà definita semza ombra di dubbio la migliore squadra di basket di tutti i tempi, anche se in finale si trovano davanti un ostacolo molto duro come i Seattle SuperSonics di Kemp e Payton, che creano non pochi grattacapi alla banda di coach Jackson, alla fine la spuntano i Bulls, ma la difesa di Payton su MJ entrerà nella leggenda.
Le due stagioni seguenti saranno caratterizzate dalle finali contro gli Utah Jazz del duo Stockton Malone, nel 97 Michael regala all'onesto lavoratore Steve Kerr il tiro della vittoria, mentre il finale di gara 6 del 1998 rimarrà per sempre nella leggenda, con la palla rubata a Karl Malone, il campo fatto in palleggio dieci secondi di attesa, e poi il decisivo attacco, con una finta che mette Bryon Russel a sedere e Michael che infila il tiro della vittoria, rimanendo per un paio di secondi immobile nella posizione da cui ha rilasciato la palla. L'inutile e disperato tiro di Stockotn non va e Michael chiude la sua seconda parte di carriera con una prestazione da 45 punti sui 91 segnati dai Bulls in quella partita.
Come detto Michael alla vigilia della stagione del Look Out annuncia il proprio ritiro, i Bulls si sfaldano con Jackson che si ritira in attesa di andare da Shaq e Kobe ai Lakers, e Pippen va a Houston a tentare l'assalto dell'anello in compagnia di Barkley e Hakeem. Passa un anno e MJ entra nello staff dirigenziale dei Wizard, ha l'opportunità di scegliere con la primissima scelta nel draft del 2001 dove arriva Kwane Brown, ma nel frattempo Michael si sta allenando duramente con Ron Artest per smaltire peso e ritrovare la forma migliore, e nei tristissimi giorni seguenti all'11 settembre 2001, Michael annuncia il prorpio ritorno, questa volta nelle file dei Wizard. Saranno due anni che in teoria non dovrebbero aggiungere nulla di nuovo a questo incredibile film, ma MJ è sempre MJ, e se la prima stagione è condizionata da qualche infortunio di troppo, i Wizard offrono buone prove tanto che a metà febbraio sono in zona playoff, poi Michael si infortuna al ginocchio, e Washington si scioglie come neve al sole di agosto, infine l'ultima stagione che sarà per Jordan una specie di tournèe celebrativa in tutti i palazzetti dell' NBA riuscendo a far il tutto esaurito anche in posti impensabili come Atlanta e Miami dove solitamente le sedie vuote la fanno da padrona, in molte occasioni si assiste al fatto che i tifosi di casa tifano per lui e per gli Wizard, roba semplicemente impensabile per la mentalità sportiva europea fatta di isterismi e di violenza negli stadi, Michael sarà il primo quarantenne a segnare 40 punti, quattro cinque prestazioni degne dei vecchi tempi, un finale di All Star Game scritto per lui rovinato solo dall'immenso ego di quello che potrebbe essere il suo erede Kobe Bryant, i sopracitati 20 punti finali di media serviranno alla fine per essere il giocatore con la media punti più alta di sempre. Il grande volo di Jordan si chiude a Philadelphia mercoledì 16 aprile 2003, in un'atmosfera irreale, dove il pubblico di casa inneggia dall'inizio alla fine “We want Mike” dimostrandosi addirittura irritato nei momenti in cui Jordan è in panchina.
In mezzo a tutto ciò ci sono anche due Olimpiadi una vinta da collegiale nel 1984 a Los Angeles agli ordini Bobby Knight, e quella del 1992 a Barcellona nell'unico e inimitabile Dream Team, e una marea di titoli individuali tra cui i principali sono:
– 5 volte MVP NBA della stagione regolare (1988, 1991, 1992, 1996, 1998)
– 6 volte MVP della finale (1991, 1992, 1993, 1996, 1997, 1998)
– Rookie of the Year 1985
– Difensore dell'anno 1988
– 10 volte primo quintetto NBA
– 9 volte primo quintetto difensivo
– 10 volte leader nella classifica per punti segnati
Poi c'è anche l'All Star Game che per Jordan non è mai stata una vera e propria esibizione, ma bensì un'occasione da non perdere per dimostrare una volta di più la sua superiorità , alla fine saranno 13 partecipazioni, sempre in quintetto anche nella stagione da rookie, per ben tre volte sarà MVP della partita, nel 1988, 1996 e nel 1998, e sarà anche l'unico ad aver realizzato una tripla doppia all'All Star Game nel '97, quando però ispiegabilmente non gli fu riconosciuto l'MVP, sempre all' All Star Weekend ha offerto alcuni tra i numeri più emozionanti, ovvero le sue partecipazioni alla gare delle schiacciate, nel 1985, e poi nel 1987 e 1988 quando vinse, con duelli memorabili contro Dominique Wilkins.
Il grande volo si è concluso, ma quello che MJ lascia al futuro è semplicemente un macigno enorme, e soprattutto un metro di paragone quasi impossibile da raggiungere per gli attuali e i futuri giocatori perchè raggiungere i suoi livelli anche per gente com Bryant, McGrady, Iverson e mettiamoci magari anche LeBron James sarà un'impresa dispearata, una sorta di gara dove si corre per arrivare secondi.
Grazie di tutto Michael, ci mancherai immensamente …..