Impossibile provare a parlare dei Knicks senza parlare di Sprewell…
Anche per quest’anno è finita. 82 partite, 37 vittorie, 45 sconfitte. Fuori dai playoffs per il secondo anno consecutivo dopo una costante presenza in post season che durava da lustri.
Chissà a cosa staranno pensando i giocatori oggi, al 371 di Seventh Avenue, mentre svuotano gli armadietti. Alcuni penseranno di non mettere più piede in quest’impianto se non da avversari e questo pensiero magari li renderà tristi (Sprewell?) o sollevati (sempre Sprewell? Vuoi mettere non avere più Layden tra i piedi?), oppure saranno costretti a tornarci e sentire ancora fischi (Eisley, perché con il suo contratto chi lo smuove?). Perché, volenti o nolenti, l’arena più famosa del mondo ha sempre il suo fascino, anche con e per questi disastrati Knicks.
Ed intanto Lamar Odom, dall’altra costa degli Stati Uniti, fa sapere che per l’eccezione contrattuale sarà in autunno un Knickerbockers. Lui, newyorkese, sogna ancora di calcare quel parquet che da ragazzino regnava nei suoi sogni. Ma sono per ora solo parole e non osiamo immaginare gli scongiuri dei tifosi, viste le ultime promesse di Chris Webber sul trasferimento a New York ormai due anni fa, quando alla fine non se ne fece niente per una questione ancor prima economica che non tecnica. Perché i sogni o le amicizie sono una cosa, i dollaroni un’altra.
Senza ripetere cose già scritte e riscritte nei report passati, è ora di tirare le classiche somme di fine stagione. Il record finale di 37-45 è alla fine meno disastroso di quel che all’inizio della regular season si poteva pensare. Ma solo sulla carta, per le scartoffie statistiche.
In estate, con l’arrivo di Antonio McDyess, si era sognato ed i sogni erano leciti vedendo l’aria di mediocrità che tirava ad Est. Ma dopo l’infortunio dell’ex-Nuggets e con una batteria di lunghi sottodimensionata, fare di più era impensabile, eppure se Sprewell non avesse saltato le prime nove gare, forse i Knicks sarebbero ai Playoffs.
Addirittura il record con le squadre dell’ovest (Conference molto più forte dell’est, ricordiamocelo) è ottimo: 14-14. Aggiungiamoci molte partite condotte in testa e perse al fotofinish e la classica frittata è fatta.
Quindi, viste le premesse fatte di infortuni, come si può parlare di stagione comunque fallimentare a quota 37 vittorie quando se ne potevano pronosticare al massimo 15? Si può eccome.
Infatti l’uscita di scena definitiva di McDyess e quella breve di Spree avrebbe dovuto trasformare automaticamente questa stagione da una di rilancio ad una di ricostruzione, valutando al meglio il rookie Frank Williams e perdendo il più possibile per arrivare ad avere tante palline nelle urne del prossimo draft.
Ovviamente non è stato possibile dire ai giocatori di perdere (o non si è voluto dirlo per non mettere a repentaglio il proprio posto di lavoro) e la posizione finale, decimo posto ad est, è il classico limbo “né carne né pesce” che non ha permesso l’approdo alla post season, così come ha virtualmente privato di una scelta interessante al draft e si hanno ora l’1.8% (?!?) delle possibilità di chiamare con la numero uno.
E se fossero invece arrivati i Playoffs? Breve cammino, senza dubbio alcuno.
Inutile sciorinare statistiche o numeri che potete trovare su diecimila altri siti che si occupano di cifre (tipo che i Knicks sono stati i migliori tiratori da tre della Lega), meglio gettarsi a capofitto in un mega-pagellone riassuntivo. Fuoco alle polveri, dunque.
Voto 10 – Calvin Klein
Non si tratta di un nuovo rookie o di un illustre sconosciuto pescato da qualche lega minore e omonimo del famoso stilista, ma proprio dello stilista, reo di aver strattonato e rivolto qualche parola poco gentile a Sprewell durante una gara al Garden. Arrestato, ha ammesso di essere un tossicodipendente di quelli dello zoccolo duro. Insomma, Klein è riuscito laddove i giocatori hanno fallito, ovvero portare i Knicks sulle pagine dei più noti quotidiani “generalisti” italiani (La Stampa e Il Corriere della Sera, con tanto di foto di Spree che guarda lo stilista con aria perplessa mentre viene scortato fuori dall’impianto). Roba che neanche al three-peat dei Lakers. Strafatto.
Voto 9 – Latrell Sprewell
Molto probabilmente, con lui dall’inizio, staremmo compilando la presentazione del primo turno di playoffs anzichè un report di fine stagione. L’1-8 in sua assenza è stato, a conti fatti, un gap incolmabile. Ha chiuso con buone cifre, da uomo squadra e all-around (lo dimostrano soprattutto i 4.5 assists, secondo dietro ad Eisley). Punto di riferimento dello spogliatoio, fin troppo calmo nonostante le continue provocazioni di Layden, Spree è stato il solito catalizzatore per tutta la squadra. Ha anche stabilito il nuovo record NBA per più tiri tentati e segnati nella stessa gara (9/9). Sempre e comunque… Leader.
Voto 8 – Allan Houston
Da molti questa appena conclusa è stata definita la migliore stagione dell’ex-Piston. In effetti, è sembrato meno timido e più duro rispetto al passato. Uno dei momenti in cui l’inversione di tendenza è parsa netta è stato dopo che Kobe Bryant gli ha rifilato 56 punti al Garden. Houston è parso davvero scosso dalla cosa, tanto che dopo quella volta è andato pure lui per due gare oltre quota 50, una di queste proprio a Los Angeles contro KB.
Chiude anche quest’anno come migliore marcatore della franchigia con 22 punti a gara.
Voto 7 – Kurt Thomas
Definirlo centro sottodimensionato è poco. Ha come al solito tenuto botta ai centimetri ed ai chili che regalava ad ogni avversario diretto e forse meritava la chiamata all’All-Star Game. Dopo il week end delle stelle ha subìto una vistosa flessione nel rendimento, arrivando quasi sfinito alla fine della stagione. Ma obbiettivamente non gli si poteva chiedere di più: ha fatto reparto da solo, considerando anche l’assenza iniziale di Michael Doleac (voto 5) e le nefandezze compiuti dagli altri “lunghi” (le virgolette sono d’obbligo). 4.2 falli a gara sono però un po’ troppi. Macellaio.
Voto 6 – Don Chaney
Coach pluri-riconfermato proprio a fine stagione, nonostante avesse già esteso a novembre il suo contratto. Chaney non ha lavorato male, pensando forse un po’ troppo al suo “cadreghino” (leggi: posto di lavoro) che non a sviluppare e valutare gente come Frank Williams e Lee Nailon (entrambi non giudicabili). Ma, si sa, il pubblico del Garden è esigente e non ha pazienza, quindi si è solo adattato alla situazione contingente. Più volte lo abbiamo visto mettersi le mani nei capelli dopo l’ennesimo errore dei suoi, arrivato magari da una banale rimessa in gioco. Nel bene o nel male… Promosso.
Voto 5 – Howard Eisley e Shandon Anderson
Parimerito per l’ex-coppietta dello Utah, tempi in cui Layden s’innamorò di loro (solo lui, credo ndr) fino a strapagarli.
Eisley è diventato a poco a poco il playmaker titolare, anche se Chaney ne ha diviso il minutaggio in modo praticamente uguale e quasi maniacale con Ward. E’ stato il miglior assistman del team (5.4) ed il terzo realizzatore (9). Non è di certo un play da Titolo, ha portato un po’ di fantasia al reparto ed è stato il più bersagliato dallo spietato pubblico newyorkese. Capro espiatorio.
Anderson a volte si è dovuto addirittura improvvisare ala grande. Un buon back up che però si è di fatto trascinato stancamente in questo ruolo fino alla fine. Sonnolento.
Voto 4 – Charlie Ward
Viaggio nella mediocrità , andata e ritorno. Ok, avrà pur messo qualche bombetta qua e là , ma resta sempre il play più lento della Lega e quello dotato di minor fantasia. Meglio fermarsi qui, perché pare irriguardoso parlare delle franchigia della città di New York, patria dei playground che sfornano da sempre ottimi playmaker, e dover dare voti negativi proprio ai registi. Inutile.
Voto 3 – Clarence Weatherspoon
L’uomo con uno dei “didietro” più importanti del mondo cestistico ha dato pochino in uscita dalla panchina. Qualche rimbalzo offensivo (con un picco di 24 totali tirati giù dopo un doppio supplementare contro i Magic, non certo dei giganti) e nulla più, se ovviamente vogliamo dimenticare le tante ciambelle glassate, sicuramente da doppia cifra di media giornaliera. Culone (passateci il francesismo).
Voto 2 – Othella Harrington
Anche lui, come ‘Spoon, non è parso mai fisicamente molto in forma, ma al contrario del collega ha avuto momenti in cui si è eretto “salvatore della patria”, fallendo miseramente. Ormai leggendari (?!?) i 4 tiri presi in altrettante azioni consecutive nonostante in campo ci fossero le bocche da fuoco Houston-Spree durante l’umiliazione che i Lakers stavano impartendo ai Knicks a domicilio. Ala grande titolare, il che è tutto dire. Eroe (mancato).
Voto 1 – Scott Layden
A dire il vero, quest’anno grosse nefandezze non ne ha compiute… per merito degli altri! Tante volte le trades che coinvolgevano Sprewell o addirittura Thomas (unica ala presentabile del roster) sono saltate per volere degli altri GM. Aveva forse azzeccato lo scambio post-draft Hilario-McDyess (almeno nell’immediato) ma la sfortuna ci ha infilato il becco. Ma, come si dice, la fortuna aiuta gli audaci… e non gli stolti, aggiungiamo noi. Quindi il voto è sulla “fiducia” di cazz… ehm, di sciocchezze future. Incapace.
Voto zero – La fanciulla che ha vomitato sul panfilo di Spree
bbene sì, tra le tante sentite, dobbiamo credere almeno ad una delle leggende metropolitane sul conto della frattura della mano del treccinato… Ed allora crediamo a questa, ovvero che una ragazza abbia riproposto il pranzo allo strangolatore di Milwaukee, con conseguente pugno scagliato al suo accompagnatore, andato a vuoto se escludiamo una parete della bagnarola. Senza quell’episodio, probabilmente New York si preparerebbe ai Playoffs… ma se per caso la dea bendata dà ai Knicks una scelta alta, allora le cose cambiano. Zoccola (o Vergine Maria, a seconda).
Ed intanto, da quest’anno, al soffitto del Garden è appesa un’altra maglia: la numero 33 di Patrick Ewing, il miglior giocatore che la franchigia abbia mai avuto. A questo punto, in città , ci si chiede quanto si dovrà aspettare ancora per un Anello che manca al dito della Statua della Libertà da 30 anni, se neppure il loro miglior giocatore è riuscito nell’impresa che fu di Willis Reed e Walt Frazier.
A meno che quell’1.8%…