Toronto Hospital

Voshon Lenard, una delle poche note liete della stagione

Quella che sta per concludersi verrà  ricordata come una stagione assolutamente deprimente, con pochissime luci ed il bilancio di sole 24 vittorie su un totale di 80 gare fino ad ora disputate è veramente drammatico, soprattutto se rapportato alle ultime positive stagioni.

Mai come oggi i play-off sono sembrati così lontani dalla stagione '98-'99, sono arrivate anche 12 sconfitte di fila e Toronto brancola attorno al 30% di vittorie, percentuale alla quali al di là  del confine non erano più abituati anche se cinque vittorie in sei partite nella prima metà  di Febbraio avevano fatto ben sperare, quantomeno nella possibilità  di salvare la faccia e l'onore.

La causa di questa crisi è la tanta sfortuna sottoforma essenzialmente di infortuni a raffica, oltretutto si sono susseguiti momenti tutt' altro che felici di qualche giocatore. Meglio cominciare dagli infortuni, un alibi sufficiente a non creare scosse all' interno della squadra.

Antonio Davis è rimasto assente dal 6 dicembre al 3 gennaio, ovvero saltando le 13 partite in cui i Raptors hanno iniziato a colare a picco, mentre Carter praticamente ha fatto solo una breve comparsata di 10 partite ad inizio stagione tra il recupero dopo l' operazione al suo ginocchio sinistro e il nuovo infortunio. Davis per lo meno è tornato dopo i problemi alla schiena e questo ha dato un punto di riferimento in post. “C'è sangue intorno a noi e gli squali ci stanno circondando” le parole pronunciate dal general manager Glen Grunwald “comunque non ho detto che voglio buttare qualcuno in preda agli squali”.

I Raptors hanno ereditato dagli Hawks il poco ambito scettro di squadra più infortunata della lega, quando Carter era appiedato, Alvin Williams si era girato una caviglia e Antonio Davis aveva i soliti malanni, per una sera hanno schierato il seguente quintetto base: Jermaine Jackson, Voshon Lenard, Morris Peterson, Jerome Williams e Greg Foster.

Toronto è l'unica squadra in tutta la NBA che non ha mai avuto più di 11 giocatori disponibili per una gara nelle prime 60 partite, con picco anche di 8 coi Wizards tuttavia i Raptors hanno avuto talmente tanti guai fisici che in un allenamento, per tentare di provare un 5 contro 5, sono stati schierati gli assistenti Craig Neal e Walker Russell!

Il solo grosso errore dei Raptors è stato quello di lasciarsi prendere dall' euforia per gli ottimi play-off di due stagioni fa, strapagando qualche giocatore di troppo ed ora stanno pagando ben oltre i loro demeriti, anche se il talento a disposizione non è di primissima fascia. Durante la scorsa estate la situazione è peggiorata ancora, il salary cap ingolfato li ha costretti a perdere Keon Clark che chiedeva troppo per rimanere anche se era stato fondamentale l'anno prima, il miglior della squadra e in più si è ritirato Hakeem Olajuwon, rendendo drammatica la rotazione dei lunghi.

Partendo dal coach entriamo nel dettaglio e a malincuore sottolineamo come Lenny Wilkens sia sì l'allenatore più vincente della storia ma come presto sarà  anche il più perdente. Pare ormai cotto, lascia parecchi dubbi per quanto riguarda la gestione tecnica della squadra e sembra ormai superato dall' evoluzione del gioco. Voci molto insistenti che durano da almeno un annetto lo danno per ritirato e si parla di un arrivo di Jeff Van Gundy, il quale sarebbe disposto entro breve a tornare alla guida di una franchigia NBA.

Passando il testimone ai giocatori, la saga Vince Carter non vuole mai finire ed anzi si arrichisce di nuovi spunti in continuazione. Le accuse principali rivolte al giocatore sono state quelle di avere uno scarso carisma, di non possedere le qualità  per guidare una squadra ad un titolo NBA, “Half Man, Half Amazing” non è ancora riuscito ad assumersi il ruolo di leader, di giocatore determinante e vincente, forse non è ancora pronto dal punto di vista mentale o forse non ha ancora interpretato correttamente le qualità  dei suoi mezzi tecnici.Quest'anno doveva prendersi la sua rivincita, in troppi lo hanno abusato quando non era al meglio, in troppi lo hanno deriso e provocato.

L'antefatto ci riporta alla stagione scorsa quando il ginocchio gli faceva veramente male, il suo linguaggio del corpo non era lo stesso e non attaccava più il canestro ma si basava sul tiro a bersaglio da fuori che aveva distrutto l' attacco dei Raptors. In pochi hanno capito la sua generosità , il tentativo di stringere i denti per non lasciare soli i compagni, affidandosi alle cure dei medici che gli avevano detto chiaramente che se non si fermava avrebbe potuto fare danni irreparabili.

Carter si riguardava al video-tape e vedeva in se stesso la controfigura del passato, lento, insicuro come non mai, incapace di fare quello che una volta gli veniva con naturalezza. In carriera non aveva mai patito niente di più grave di una distorsione alla caviglia, la conseguenza fu che il suo gioco cambiò radicalmente, incapace di sfruttare le doti atletiche che non c' erano più, fino ad arrivare alla data del 22 Marzo 2002, quando il dolore lo costrinse alla panchina con successivo intervento.

Doveva essere arrivato il suo turno ed erano partite le prime schermaglie “Sono pronto a rinfrescare la memoria a parecchia gente su chi sia e cosa sa fare Vince Carter” aveva detto al training camp di Ottobre, anche se il dolore non era del tutto scomparso. Ad inizio stagione Carter disputa a mala pena 10 partite, tuttavia dopo un lungo stop la seguente dichiarazione “Non ho idea di quando ritornerò. Presto può significare un paio di giorni come una settimana” non contribuì a dare un' idea chiara sulla data del suo rientro.

Il 18 novembre è arrivata l'ennesima tegola, un ulteriore elemento da utilizzare per i suoi detrattori. Carter, ancora infortunato al ginocchio sinistro, mentre i suoi perdevano ad Atlanta partecipava al concerto di Nelly, la star Hip-Hop che con la canzone “Dilemma” ha avuto un notevole successo tuttavia bisogna sapere che i giocatori infortunati non viaggiano quasi mai con la squadra.

Altro capitolo difficile e tromentato è stato quello dell' All Star Game. I voti hanno confermato che Carter è ancora tra i preferiti del pubblico, primo assoluto nella Eastern Conference ma se vi siete chiesti perché abbia offerto in extremis, probabilmente in maniera non spontanea il suo posto in quintetto a Michael Jordan, la risposta la trovate alle recenti critiche rivoltegli dallo stesso Jordan circa la sua difesa, l' amore per il gioco e la capacità  di soffrire.

Carter ha liquidato il tutto dicendo che era stato votato dai tifosi per cui mettersi da parte voleva dire fare un torto a tutti coloro che lo avevano selezionato ma è risaputo che tra i due non corra buon sangue. E' uscito dalla gara con le ossa rotte, perché l'opinione pubblica lo avrebbe crocefisso se non avesse ceduto il posto a Jordan e allo stesso modo in cui lo ha fatto per aver aspettato l'ultimo minuto, in ogni caso dopo le difficoltà  degli ultimi mesi, ci sono state nuove critiche rivolte da ex compagni che si aggiungono alle datate di Charles Oakley.

Keon Clark è arrivato a dire che “Carter vuole la fama, ma non sta lavorando per ottenerla. Raptors una squadra importante con Carter come leader? Avete visto quello che abbiamo fatto l'anno scorso quando non c'era?”.
Dare un giudizio ora su Carter è difficile, ha saltato fino ad ora 33 partite, le sue scelte si possono criticare ma è quello che fa sul campo ciò per cui gli è stato offerto il contratto al massimo salariale e con lui in salute i Raptors ad Est sono una squadra da play-off, senza faticano ed il problema è riaverlo in salute definitivamente.

Da quando è tornato ha dimostrato che i guai al ginocchio sembrano spariti, nonostante tutto quello che si è detto Carter ha finalmente ritrovato la gioia e la passione per il gioco e l'infortunio potrebbe aiutarlo nel lungo periodo dal momento che si è trasformato in un ottimo giocatore di squadra.

Al momento è scontato che non è più mobile come una volta e forse non recupererà  più tutta l' esplosività  di cui era dotato, in ogni caso gioca molto di più coi compagni, usa il cervello e l' ultima versione è quella di un giocatore che non arriva ai 21 a partita. Si è girato una caviglia nella gara di inizio Aprile contro i Nets e conclude così la stagione con 43 presenze, saltando anche le ultime 6 gare.

Dopo il lungo capitolo dedicato alla stella della squadra andiamo ad analizzare il roster di Toronto partendo da Antonio Davis, l'unico punto fermo di questa squadra, il quale porta a referto 14 punti ed 8 rimbalzi, numeri di tutto rispetto e superiori alle sue medie in carriera. E' un giocatore maturo, esperto, gran lavoratore e concreto, sta raccogliendo continui successi personali, come la partecipazione in quintetto alla partita delle stelle nel 2001 e la recente selezione per il Team USA ai fallimentari Mondiali di Indianapolis.

Anche se spesso è più leggero e basso dei suoi diretti rivali sotto canestro, Davis è un uomo che ha sempre saputo lavorare ottimamente sul suo fisico, un atleta molto solido e reattivo. In attacco, a volte, è un po' troppo macchinoso nelle sue esecuzioni ma ha acquisito un discreto tiro dalla media distanza. All' inizio di stagione Antonio ha fatto un ulteriore salto di qualità , cercando di diventare il leader dei pochi giocatori ancora sani rimasti.

L'impatto dii “Old Tone” in difesa è enorme, nondimeno troppo spesso i compagni lo hanno dimenticato nei momenti cruciali del match e la squadra è andata a fondo in fretta.

Chi invece ha profondamente deluso è stato Morris Peterson, 14 punti a partita ma il 39% dal campo e 32% da 3, un numero di assist vicino a quello delle palle perse, sono lo specchio di una stagione di basso profilo.

A dire il vero “Mo Pete” ha cercato di rendersi utile in altri modi, prova ne sono gli oltre 4 rimbalzi a partita ma questo doveva essere definitivamente l' anno dell' esplosione, invece Peterson ha dimostrato che non è ancora pronto e forse non lo sarà  mai ad essere il leader della squadra sul perimetro e un elemento determinanete sia in attacco che in difesa. Sembra essersi tramutato nel più classico degli incompiuti ed arrivato ormai alla terza stagione dai pro non ha dimostrato tangibili miglioramenti.

Nonostante negli ultimi due anni Alvin Williams sia migliorato notevolmente sia in termini di marcature che dal punto di vista della distribuzione del gioco, la sua gestione delle partite a volte crea ancora dubbi.

In questa stagione ha fatto un ulteriore salto di qualità  prendendosi numerose responsabilità  col roster tartassato dagli infortuni, “Boogie” ha viaggiato ai massimi in carriera in tutte le principali categorie statistiche, realizzando 13 punti a sera, col 44% dal campo e 5 assist, cifra notevolmente inflazionata dal 42% con cui ha tirato la squadra.

Jerome Williams è un giocatore assolutamente atipico, non è né un “3” nè un “4”, la sua caratteristica principale è l'energia incredibile che mette in ogni singola azione, gioca ad un livello di intensità  doppio rispetto a quello di tutti i compagni, mettendo in difficoltà  gli avversari.

Sa rendersi pericoloso in attacco, è un fattore soprattutto a rimbalzo, statisca nella quale è leader con 9 a partita e sulle palle vaganti ma è un giocatore impossibile da inserire in un contesto di gioco.

“Waka Junk Yard Dog” ha cercato di aiutare sotto canestro il più solido e affidabile Davis ma il problema è che Williams può dare un buon contributo se parte dalla panchina e cambia i ritmi della gara ma se invece deve giocare oltre 30 minuti in un ruolo che non è il suo, rende meno fluido l'attacco e si trova in vistoso imbarazzo tecnico.

Il general manager Glen Grunwald, aveva portato a buon fine al termine della scorsa estate lo scambio Michael Stewart per Lamond Murray, guadagnandoci vistosamente, scaricando un giocatore inutilizzato e pagato 24 milioni per 6 anni nel '99. Lamond è sempre stato un tiratore letale, dotato di buon fisico, esperienza ma anche scarsa se non nulla attitudine difensiva, dal carattere non facilissimo. Dotato anche di entrate spacca caviglie, doveva essere una carta in più uscendo dalla panchina come back-up di Peterson e Carter ma causa infortunio non ha mai calcato i parquet NBA per quest' anno.

Ottimo l' apporto della guardia Voshon Lenard, firmato dopo l' infortunio di Murray e miglior realizzatore dei suoi dopo le prime partite, tuttora sfiora i 15 a sera. Voshon sembra essersi riciclato per l' ennesima esperienza in carriera partendo pressochè da zero in termini di fiducia e spazio in squadra. Merita il rinnovo per le belle prove fatte registrare almeno che qualche altra franchigia non gli garantisca un contratto più vantaggioso.

Oltre le aspettative anche Rafer Alston, vera superstar del basket dei playground che dopo vari tentativi infruttuosi sembra essere riuscito a dimostrare che può ritagliarsi un posticino anche fra i pro. Firmato dai Warriors in estate e poi scaricato, “Skip to my Lou” riceve la chiamata dei Raptors dopo una comparsata nella NBDL, la lega di sviluppo.

Alla sua prima gara contro Minnesota gioca addirittura 30 minuti, segnando 12 punti con 6 rimbalzi e 8 assist, arrivati a fine stagione ha quasi 4 assist e oltre 6 punti di media.

Per far numero causa gli infiniti infortuni arriva il decadale, poi non rinnovato fino a fine stagione, per l'ala Damone Brown prelevata dalla NBDL, tagliato in estate dai Sixers che lo avevano scelto nel Draft scorso.

L'ala piccola al primo anno Chris Jefferies, arrivato il giorno del Draft dai Los Angleles Lakers insieme al play Hunter in cambio di un altro rookie, Kareem Rush e di un veterano quale Tracy Murray, è rimasto virtualmente inutilizzato per tutta la stagione anche se il poco spazio concessogli è diretta conseguenza di un infortunio che l'ha appediato per un lungo periodo.

L'altro acquisto Lindsey Hunter ha calcato i parquet in sole 29 occasioni ed ha fatto notare qualche lampo dopo la pessima stagione passata in California, impreziosita però con l' anello di Campione NBA.

Restando nel sommerso della panchina dei Raptors, citiamo giusto per la cronaca il lungo Mamadou N'Diaye il quale si trova in scadenza e probabilmente non tornerà  in Canada nella prossima stagione. Transitato da queste parti anche il centro Nate Huffman, tagliato dopo aver firmato un pluriennale ma dire che ha deluso non rende assolutamente l' idea.

Da lui ci si aspettava molto, molto meno invece dai lunghi Zendon Hamilton, Greg Foster ed Art Long, firmati con decadali nei periodi più neri, durante i quali la panchina era svuotata e tra gli altri ricordiamo anche la guardia Jermaine Jackson, cavallo di ritorno necessario causa i continui infortuni che hanno reso questi avvicendamenti sempre più ficcanti.

Continuando col reparto lunghi citiamo indoverosamente il bianco Eric Montross, il quale non delude più nessuno con le sue prestazioni incolori oltretutto quest' anno non ha giocato una sola partita.

Il secondo anno ex-Villanova Michael Bradley ha fatto notare leggeri miglioramenti ma un' incapacità  cronica di giocare centro a questi livelli, causa i 208 centimetri scarsi e poco peso da opporre contro gli avversari che gli precludono maggior spazio. Se non saprà  inventarsi al più presto solida ala forte, durerà  poco in NBA viceversa ha ottime doti tecniche e potrebbe diventare un ottimo cambio a media-lunga scadenza. Ultimamente sta partendo titolare Michael Bradley nel ruolo di centro, per l'assenza forzata di Antonio Davis, dopo essere finito al lungo nel dimenticatoio, sta andando sempre in doppia cifra nei rimbalzi e qualche giorno fa contro i Pistons ha messo a referto 16 punti, 9 rimbalzi e 3 stoppate.

Chi invece ha stupito tutti è l'ala-centro Jelany McCoy, dimenticato dai Lakers, ai quali avrebbe fatto molto comodo soprattutto durante la lunga crisi invernale. Per lui sono arrivati oltre 6 punti di media e 5 rimbalzi, con una prima parte di stagione strepitosa, direttamente in quintetto base.

Firmata fino al termine della stagione, l'ala Maceo Baston non ha però trovato minuti e con lui sono ben 21 i giocatori utilizzati da coach Wilkens, se escludiamo il non impiego fin da subito di Hakeem Olajuwon.

Ormai è tempo di esperimenti, con l'annata irrimediabilmente persa coach Wilkens sta provando la squadra per l'anno prossimo, anche se lui probabilmente non ci sarà .

Nelle ultime uscite è capitato di vedere Chris Jefferies partire in quintetto, anche se solo per i primi minuti ed i finali di pieno “garbage time”, poi Vince Carter è stato utilizzato da point-forward alla Scottie Pippen, esaudendo un desiderio dello stesso giocatore che vuole avere la squadra in mano ed iniziare i giochi tuttavia nelle poche occasioni in cui ha avuto questo innovativo ruolo non è andato poi così male.

In proiezione futura, quindi parlando di Draft, ricordiamo come Toronto riceverà  la seconda scelta di Cleveland del 2003 o 2004 a discrezione dei Cavs che a loro volta hanno acquistato la prima dei Raptors nello scambio Stewart-Murray, protetta fino al 2008 se in lotteria.

Per quest'anno in Canada potranno scegliere con una delle prime 5 chiamate verosimilmente e i nomi papabili tra i lunghi sono Darko Milicic, Chris Kaman, centro di Central Michigan, Nick Collison, Chris Bosh, Anderson Varejao, Sophocles Shortanidis ed Emeka Okafor, giocatori da affiancare sotto canestro all' ormai troppo solo Davis.

Se la dea bendata sorride ai Raptors si può sempre sognare LeBron, perché al LeBron Derby partecipano pure loro, anche se non come favoriti, nondimeno tra i papabili ci sono anche TJ Ford, play da Texas e l' ala da Syracuse Carmelo Anthony ma è ancora troppo presto per parlare di scelte.

Purtroppo come ricordato Toronto ha un payroll elevato e non potrà  fare la voce grossa in quello che si prevede essere un ricco mercato estivo, il GM cercherà  di portare a casa qualche buon elemento con le eccezioni salariali, partendo magari dalla riconferma del positivo Lenard.

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