Tim Hardaway deve assicurare leadership in regia a Indiana…
Un record di 41-29 che nella iperlivellata Eastern Conference di questi tempi assicura il 4° posto assoluto e il vantaggio del fattore campo al 1° turno. Ma in una conference enigmatica, Indiana ha i requisti per esser considerata l'enigma per eccellenza.
Inizio del mese di dicembre: con una vittoria sul campo dei Clippers, i Pacers ottengono la quattordicesima vittoria a fronte di 2 sole sconfitte. Tutti i dubbi attorno alla squadra sembrano essere di colpo svaniti: la chimica, la maturazione di Jermaine O'Neal, il recupero di Al Harringhton.
Tutto funziona a meraviglia. La punta di diamante della vittoria contro i caldissimi Dallas Mavs Sembra che persino i tornado si abbattano con minore insistenza su Indianapolis.
La sera successiva una sconfitta contro Utah da l'inizio alla seconda fase della stagione. La storia cambia perché da quella data il record è in perfetta parità : 27-27. Se poi dovessimo analizzare il trend noteremmo un'ulteriore tendenza al calo visto le 5 sconfitte consecutive a febbrai, il bilancio di 3-7 nelle ultime 10.
Difficile capire quale sia il vero valore dei Pacers, in una Eastern Conference mai così livellata, verso l'alto o verso il basso non si sa. Soprattutto difficile è verificare la coesione di tante personalità discordanti, a volte disfunzionali: Artest, ovvio, ma anche Tinsley, lo stesso O'Neal.
Delle "malefatte" di Ron Artest, sappiamo tutto: risse, atteggiamento provocatorio in campo, approccio da "me against the world" sempre e comunque. Questa caratteristica potrà venir bene nei finali delle partite di playoffs, probabilmente infuocati. Ma andrebbe controllata meglio perché non si tramuti in un boomerang. Il giocatore ha una sinistra tendenza a sopravvalutare le sue capacità offensive, questo lo porta a strafare in alcune occasioni.
Jermeaine O'Neal, abbiamo detto. La sua crescita tecnica ed i suoi miglioramenti son stati evidenti: il perfetto prototipo del lungo moderno, di grande agilità , ottime mani, ma limitata potenza. Quindi non in grado di "dominare l'area" nell'interpretazione del suo omonimo Shaquille. In più di 20 occasioni Jermaine è stato il miglior marcatore della squadra: dimostrazione evidente di come l'attacco cominci con lui.
Jamaal Tinsley. Appena scelto, qualcuno fece notare a Thomas come il suo carattere sarebbe stato difficile da gestire. Quest'ultimo rispose che "i bravi ragazzi li facciamo sposare alle nostre figlie, a noi servono giocatori di basket".
Il suo talento è indiscutibile, la sua idiosincrasia per la difesa a zona, non molto praticata nei playground di New York, è altrettanto evidente. Tinsley dovrà condurre la squadra nei playoffs, non rinunciando alle "magate", connaturate al suo modo di interpretare il gioco, ma riducendo al minimo le fesserie.
Isiah Thomas dovrà gestirlo, in certi casi tenerlo a freno, di sicuro, valutare attentamente i momenti della partita prima di impiegarlo. A maggior ragione ora che Donnie Walsh ha deciso di affiancargli il veterano Tim Hardaway, cui si dovrà far spazio in rotazione.
Isiah Thomas, infine: di certo un allenatore che non si allinea al conformismo NBA. Sempre convinto che i ruoli non esistano, l'autore del libro "Quattro passi verso il successo negli affari", ha dalla sua il materiale giusto: giocatori eclettici, che possono ricopire diversi ruoli.
Forse un po' troppo per un allenatore già di suo "fantasioso". Di certo la squadra ha il suo carattere: quel misto di cattiveria sul filo del gioco sporco, che ricorda in parte i suoi Detroit Bad Boys. Grande valutatore di talento, doti di stratega meno definite.
Tutti nodi che andranno definiti prima dell'inizio dei playoffs. Con un'unica certezza: se ci sarà bisogno di un tiro per vincere la partita, datela a Reggie Miller.