Atlanta al bivio: part 3

Grandi sorrisi ad inizio stagione hanno lasciato il posto a musi lunghi…

Forse hai più fedeli lettori del nostro sito questo titolo sembrerà  di averlo già  sentito, infatti si tratta del terzo capitolo di una "saga" che prese inizio lo scorso giugno e vedeva come protagonista la franchigia della Georgia.

All'epoca, appena finiti i play-off ed in pieni festeggiamenti nella città  degli angeli, tirammo le somme di una stagione "strana" per gli Hawks che, dopo un inizio sotto le attese, avevano visto le proprie quotazioni risalire tanto da chiudere in crescendo il campionato e lasciando presagire cose molto positive a tutto l'ambiente.

Sembrava che la squadra fosse finalmente riuscita a quadrare il cerchio e dopo un periodo di apprendistato i nuovi elementi parevano finalmente inseriti nel gioco.

Lo stesso coach Kruger era fiducioso: i rapporti coi giocatori andavano migliorando, il gioco, prima altalenante, pareva essere stato assimilato, gli infortunati cronici (Ratliff, Crawford e Henderson su tutti) sulla via del pieno recupero e le voci che volevano un suo allontanamento zittite.

Anche la dirigenza era contenta, il Gm Pete Babcock era convinto che con qualche buon colpo avrebbe sistemato il roster al meglio. Insomma, malgrado lo strano immobilismo su più fronti, grosse novità  apparivano nell'aria.

Poi ne riparlammo ad ottobre a giochi finalmente delineati.

Era arrivato un gran giocatore come Glen Robinson, un All Star dal tiro micidiale e con tanti punti nelle mani, era rimasto Mohammed che insieme a Ratliff avrebbe formato una coppia di lunghi eccezionale, certo, restava l'annoso problema del play, ma appariva risolvibile dal duo Davis-Dickau (esordiente molto atteso ad Atlanta) aiutato dal sempre presente Terry e perché no, da un Robinson in point forward (fantasioso, ma stuzzicante).

Lon Kruger, malgrado le malelingue, era al suo posto (certo, gli avevano messo nello staff un Terry Stotts bramoso di una chance da capo allenatore…) e questo col benestare di giocatori e management (leggasi chi caccia i soldi: Ted Turner).

La dirigenza, cioè il solito Babcock (il vice presidente Stan Kasten è solo una figura di facciata è lui che comanda le operazioni della franchigia), pareva certa di aver fatto le scelte giuste tanto da promettere, nel caso di mancato accesso ai play-off, il rimborso di 125 dollari a tutti gli abbonati (uno "scherzo" da 200.000 verdoni).

Oggi, primi di marzo 2003, la situazione è un "tantino" diversa da come ci si attendeva. La squadra è 27-41, quintultima nella Eastern e già  virtualmente fuori dalla lotta (peraltro vivissima) per la postseason.

Sul pino non c'è più Kruger, ma il caro vice Stotts che a dicembre ha ricevuto l'incarico di rivitalizzare un gruppo allo sbando. La squadra sta mostrando invece tutti i suoi limiti sia qualitativi che nell'assemblaggio.

In tutto ciò abbiamo pure assistito ad uno spettacolo pietoso con l'approssimarsi della "dead line" degli scambi che ha visto il GM provarle tutte per scaricare le sue stelle (nell'ordine ha provato prima a mandare Rahim, Glover e Mohammed a Miami per Mourning, o meglio il suo contrattone in scadenza, poi ha offerto Rahim ai Lakers per Horry ed in generale ha offerto "tutto a tutti" ricevendo picche) ed i loro contrattoni nel vano tentativo di ricostruire quest'estate da capo.

Morale della favola: stampa a banchettare sulle disgrazie altrui, Hawks allo sfascio e presidente "incavolato" nero.

Ma andiamo con ordine, come fatto nei precedenti articoli analizziamo minuziosamente la situazione per cercare di fornire un quadro chiaro. Sul banco degli imputati salgono in tre: allenatori, giocatori e dirigenza.

Allenatori: prima Kruger, poi Stotts, non sono stati capaci di fornire uno straccio di gioco a questa squadra. Il primo veniva da un ottima carriera universitaria, ma non ha mai realmente compreso che il mondo dei pro è differente.

I giocatori sono spesso stelle ultrapagate ed il rispetto lo conquisti sul campo e non perché sei l'allenatore, con loro urlacci e strigliate servono solitamente a poco ed il buon Lon non è mai stato capace di istaurare una vera relazione. Dietro ai rapporti cordiali di facciata tra giocatori ed allenatore è mancato dialogo a prescindere dalla stima per l'uomo (e di Kruger tutti parlano egregiamente).

Al capitolo gioco l'ex Illinois non ha saputo calarsi nella nuova realtà : chiamava troppo spesso gli schemi, imbrigliava il gioco dei suoi e non è mai riuscito ad assecondare le caratteristiche dei suoi elementi (peraltro ha sempre lamentato l'assenza di un regista di livello che avrebbe potuto cambiare molto).

Per Stotts il discorso è ancora prematuro, sono pochi mesi che comanda ed in fin dei conti la sua unica colpa è di non essere riuscito ad ottenere "il sangue dalle rape". Ha bisogno di altro tempo (e chi sa se lo avrà ) per far assimilare il suo credo, ma più di tutto deve recuperare un gruppo "sull'orlo di una crisi di nervi"…auguri dottor Freud.

Giocatori: Abdur-Rahim 20 punti e 8.4 rimbalzi; Glen Robinson 20.8 punti e 6.8 carambole; Jason Terry 17.1 punti e 7.6 assist; Teo Ratliff 8.1 punti, 8.3 rimbalzi con 2.5 stoppate.

In fin dei conti ottime cifre, peccato che quando non difendi e tiri con percentuali indecenti diventa arduo spuntarla. Ah dimenticavo, un minimo di gioco di squadra non guasterebbe…

Spesso i giocatori sono apparsi "spaesati" in campo, senza un vero gioco, mandati sul parquet senza una strategia. E loro hanno contribuito a non migliorare il tutto lesinando spesso impegno, subendo incredibili rimonte nell'ultimo quarto e sembrando sovente fuori gara già  al primo considerevole svantaggio.

Manca un'anima, una coscienza, una guida (un play vero), Shareef è giocatore fantastico, ma pare spesso soft, non un guerriero (alla faccia del nome), non una guida oltre che pessimo difensore.

Come lui Robinson: innamorato della palla, spesso avulso dal contesto e mai pienamente coinvolto dal progetto. Terry, oggettivamene il migliore dei suoi per impegno, ha oscillato tra i due ruoli dietro senza riuscire ad incidere nella manovra (buone mani, ma visione di gioco rivedibile) e pure lui ha palesato (inattese) carenze difensive.

Ratliff viene da un infortunio grave, si sbatte come un matto, difende, stoppa, intimidisce, ma non può fare la differenza (e non sembra più quelo di una volta) se gli altri non rendono al meglio.

Poi ci sarebbero Mohammed e Glover: il primo nettamente ridimensionato nei numeri e nel minutaggio, il secondo impalpabile nel marasma generale. Il resto semplicemente non conta (Ira Newble è calato rispetto alla scorsa stagione) e la sensazione è che la carriera di DeMarr Johnson sia finita dopo il grave incidente d'auto di settembre.

Dirigenza: verrebbe da pensare che Babcock ha i giorni contati. Il team è stato costruito senza criterio e la chimica ne è risultata "sballata": manca un regista (come dite?? sono ripetitivo??) di livello, tanti tiratori e nessuno che si sacrifica per la squadra, la panchina manca di valide alternative (specie nel settore guardie) ed in più il giocattolo costa uno sproposito.

Si è cercato di scambiare, abbassare il monte bilanci per arrivare questa estate liberi sul mercato dei free-agents, ma il progetto non ha funzionato; e poi quale grosso nome oggi verrebbe ad Atlanta??? Giorni contati…

Quello che viene fuori, in sintesi, è un quadro abbastanza desolante: tanti errori, tante situazioni che non vanno, ambiente demoralizzato, ma soprattutto poche idee per rimediare.

Certo, all'orizzonte si addensano nubi scure, ma provando a vedere il bicchiere mezzo pieno si trova qualche spunto ottimistico: buoni giocatori ci sono, l'allenatore pare preparato, in molti avranno tanta voglia di riscatto e poi, magari, basterebbe una mossa giusta per far girare la ruota positivamente.

Intanto la società  pubblicizza le gare interne con cartelli del tipo <…venite alla Phillips Arena, domani arriva Iverson coi suoi Sixers…>.

Vedremo cosa ne penserà  chi caccia i soldi a fine stagione.

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