Vince Carter in una delle sue tipiche schiacciate
La NBA è una lega che non ha mai nascosto i suoi obiettivi.
Fare spettacolo è il primo. Vincere è il secondo.
Spesso questi due elementi si sono fusi, ma per i vertici di lega, sia che si trattasse di un singolo giocatore, sia che si trattasse di un'intera squadra, il fatto che quell'elemento procurasse emozioni al pubblico (pagante e comprante) era di per se un grande successo.
La pubblicità ci sempre messo del suo per amplificare questo aspetto del gioco. Il metro arbitrale pure. Se guardiamo quindi il basket made in USA con questa prospettiva, chi meglio di Vince Carter avrebbe potuto essere l'uomo del 2000?
Il prodotto, uno dei tanti, dalla stracitata North Carolina University, da sempre la grande speranza dei dirigenti della NBA, americani o canadesi che dir si voglia. La sua straordinaria esplosività atletica ne ha fatto negli anni una possibile icona del basket giocato sopra il livello del ferro.
La sua carriera fino a qualche mese fa era anche ben incanalata. L'università giusta. Una grande selezione nel draft. La fortuna di essere subito scambiato e quindi allontanato dalle secche della baia di San Francisco, lasciate al gemello di studi Jamison, una squadra le cui basi sarebbero state fondate sui suoi numeri e sulle sue esigenze e per ultimo ma non meno importante, un mercato come quello canadese da conquistare a suon di slam dunk e di salti a quota 3.25.
Vinsanity ha compiuto molti passi da quando è entrato dopo il suo anno da sophomore nella NBA. Votato rookie dell'anno nel 1999 con una delle più alte percentuali di sempre (quasi il 96% dei suffragi), ha subito mostrato cifre di tutto rispetto, dai quasi 19 punti a partita della prima stagione agli oltre 27 del 2001, la sua stagione migliore. Ha portato nel giro di due stagioni la sua squadra ai play-off.
Da ricordare il fatto che i Raptors obiettivamente hanno cambiato molto dal passaggio dall'era pre-Carter a quella post-Carter. Ha partecipato a tre All-Star Game, con partecipazioni che non si sono limitate a semplici comparsate. Nel 2000 infatti, la sua vittoria nella gara delle schiacciate è apparsa a tutti come la pietra angolare per questo contest.
Le sue prove sono sembrate la pietra di paragone contro la quale ogni futuro vincitore avrebbe dovuto misurarsi e ad oggi i signori Mason e Richardson risentono ancora del peso di quell'edizione nelle loro pur lodevoli vittorie seguenti. L'anno successivo alla vittoria nella gara delle schiacciate, Carter ha giocato la sua migliore pallacanestro nella gara delle stelle. Memorabile la linea di fondo presa sulla difesa di Kobe Bryant e conclusa con un 360 gradi e schiacciata, che ha fatto urlare più di un commentatore.
E' apparso così naturale che agli occhi di molti dirigenti e tifosi, il buon Carter potesse meritarsi un posto nella speciale lista di pretendenti al titolo di next MJ. Ed è qui che la carriera di Carter ha trovato i primi problemi.
Si, perchè il solo citare il titolo più sgabolato della storia della pallacanestro ha portato una ventata di sfortuna e di buio sulla carriera ormai lanciata di Air Canada.
Dopo aver mietuto vittime illustri, tanto per la cronaca Grant Hill si ritirerà non per i dolori alle caviglie ma per togliersi di dosso questa maledizione che lo vede accomunato a Jordan praticamente dall'asilo, il famigerato titolo che nessuno vuole più nella lega tranne forse Bryant, ha cominciato a piegare quello che era il mito più emergente del basket della Est conference.
La presenza alle olimpiadi di Sidney sarà ricordata solo per quel numero di salto in alto compiuto a spese dell'avversario della nazionale francese (per chi non ricordasse Carter in contropiede saltò letteralmente l'avversario per poi depositare a canestro) ma al ritorno dalla spedizione agli antipodi le critiche cominciarono a piovere sul capitano di Toronto.
Quel salto tanto osannato sembra essere stato per le ginocchia di Carter l'ultima prova di forza possibile. In questi ultimi mesi infatti la condizione delle articolazioni di Carter ha messo in crisi la sua possibilità di rendimento e naturalmente le critiche non si sono fatte attendere.
Dopo tanta gloria, il tonfo di Carter è stato pesante, ma la critica non ha investito specificatamente il lato tecnico. A essere bersagliato è stato sicuramente più l'uomo Carter, piuttosto del giocatore. Le accuse principali sono state naturalmente quelle di avere uno scarso carisma, di non avere le qualità per guidare una squadra verso l'empirei dei campioni NBA, di non essere degno del ruolo di nuovo Michael Jordan insomma.
Ed eccolo lì il problema. Sempre e solo MJ. Sempre e solo la sua eredità morale e carismatica.
La riprova è arrivata con l'edizione di Atlanta dell'All Star Game e con la querelle dovuta al posto da titolare. Se infatti il posto doveva essere di Jordan, nessuno lo discute, non sembra essere campata in aria la tesi dello stesso Carter per la quale in fondo, i posti sono dettati dal pubblico e visto che il pubblico lo aveva votato per stare in campo anche solo per i primi 10 secondi, non ci sarebbe stato nulla di scandaloso.
Naturalmente nella vicenda il ruolo di Carter è stato quello del cattivo, con conseguente prestazione sotto tono, fischi del pubblico presente in Georgia e polemiche a contorno.
Polemiche a parte però quello che sembra evidente è che Carter così come altri prima di lui, vivono in un grande equivoco.
Nella NBA ogni tanto si confonde il ruolo di grande realizzatore con quello di grande campione. Se si da un 'occhiata alle statistiche, quelle di quest'anno a parte perchè non hanno praticamente valore, Carter ha sempre segnato con continuità ma raramente si è dimostrato decisivo. L'essere paragonato a Jordan non ha permesso in pratica a Carter di poter essere messo nella condizione di esprimere il suo gioco, che a dire di molti tecnici è quello della grande spalla.
Carter dovrebbe rientrare insomma nella categoria, non tanto dei Jordan, Magic, Bird o quant'altri ma piuttosto in quella degli Worthy o dei Pippen, giocatori cioè che per esprimersi al meglio hanno bisogno di un lanciatore, di un compagno non necessariamente più forte ma che sappia lanciarli nel modo giusto, che si assuma una parte di responsabilità che possa innescare il loro innegabile talento.
I limiti di Carter fino ad oggi sono stati quindi non solo di carattere fisico, da notare che non è il solo Ronaldo al mondo a pagare per il dono di ginocchia esplosive ma con scarsa resistenza strutturale, ma anche e soprattutto tecnico.
Carter non ha ancora mai dimostrato di poter essere un campione e un leader ma non è nemmeno un bidone. Se potesse essere inquadrato nel suo più che legittimo ruolo di arma offensiva devastante, in una squadra con altre teste pensanti, la sua efficacia ne guadagnerebbe a dismisura e forse potrebbe lasciare ad altri, parenti o meno, l'incombenza di coprire un ruolo scomodo come quello di Next MJ.