Benvenuti al circo !

Earl Boykins ha già  vinto numerose partite per i suoi Warriors…

Sembra tutto falso. Tutto finto. Vedere un nanetto che a malapena tocca i 165 cm in altezza che ne infila uno dopo l’altro per 28 contro Minnesota è un numero da circo.

L’allenatore dei Warriors, il rookie Eric Musselman, lo ha catapultato in quintetto nel quarto periodo in maniera ormai stabile tanto da far arrabbiare Jason Richardson e Gilbert Arenas per le poche opportunità  che hanno “down the stretch”, nei momenti finali di una partita. Qualcuno, per questo motivo, lo chiama già  “The Closer”. E’ il più basso giocatore della NBA e ne è orgoglioso.

Stiamo parlando di Earl Boykins, nativo di Cleveland, Ohio. Un avvertimento. Il biglietto per assistere allo spettacolo sotto la tenda di questi nanetti costa molto caro. Ne sono esentati ovviamente i bambini e in generale, dopo opportuna misurazione all’ingresso della tenda, chi non arriva al metro e settanta.

HEIGHT IS MY GOLDEN STATE
Earl è entrato nei Warriors il 27 novembre 2002 dopo essere stato firmato come free-agent. E già  conoscere la baia di San Francisco è stato un miglioramento per lui, visto che è nato solamente nei pressi di un laghetto, quello dell’Ohio, che non ha esattamente lo stesso fascino del paradiso californiano. Firmato come free agent, dicevamo. La sua carriera da playmaker tascabile è stata sempre difficile, perennemente ostacolata dai pregiudizi. Ma il piccolo ha sempre saputo segnare.

I preti che lo hanno visto sgattaiolare nei ruvidi parquet della Central Catholic High School dovrebbero ancora ricordarsi di un bambinetto che per confessarsi restava in piedi invece che sedersi e che quando si giocava la domenica toglieva non pochi spettatori allo spettacolo di cartello, la messa col coro.

Per il college non si è spostato molto ed è andato in Michigan, ad Eastern Michigan University. Era chiamato “Webster” da un noto serial TV americano. Nel suo ultimo anno da senior 25,7 punti di media (secondo della nazione) potevano anche bastare per convincere qualche GM NBA ma evidentemente Napoleone non ci insegnato che si può conquistare il mondo anche dal metro e mezzo d’altezza.

Pitino, al proposito, sembra uno che corre e fa correre, un innovatore insomma, ma è il primo di quella scuola che forse risalta più l’estetica che la matematica. In una sua recente intervista ha dichiarato che ha fatto leggere ai suoi ragazzi di Louisville le medie realizzative di ogni singolo giocatore che con lui vinse le Final Four.

Allo stupore dei suoi ragazzi che ignoravano il suo messaggio nascosto ha risposto pressappoco così. “E allora, di che vi stupite?. Sono numeri, nulla più, sono solo semplici numeri. Chi mai si interesserà  di queste crude cifre ?. Non è questo che passerà  alla storia. E’ come state in campo, come aiutate i compagni, il vostro tiro, quanto siete alti. E’ questo che si domandano gli scout ai draft, non dei vostri numeri.”.

Con simili argomentazioni la strada per l’NBA per uno come Earl non è chiusa, è semplicemente a senso unico. Uscito dal college al termine della stagione ’98 deve aspettare fine gennaio per avere “The call”, la chiamata che ti cambia la vita. Sono i New Jersey Nets, quelli di “The Future” Marbury per intenderci che gli danno un’opportunità  che non può fallire. Non c’è però nemmeno il tempo di festeggiare il buon inizio d’anno che quasi in tempo di Capodanno Cinese, rimanendo tra piccoletti, la rana fritta è pronta a tavola. Tagliato.

A volte ci si ricorda però dei propri figli e capita allora che la tanto decantata (in negativo ovviamente) città  di Cleveland richiami in patria Earl per due consecutivi decadali. Vita dura insomma. Earl è cresciuto davvero in una delle più brutte metropoli d’America che ha l’unico merito di aver ammassato il più grande assembramento di talento nel medesimo istante e nel medesimo luogo, ovvero al tempo dell’All Star Game del 1997. Chiedete a Buffa e Tranquillo se quella sera si sono divertiti.

Torniamo a livelli più bassi. Earl se la cava bene, si batte ogni sera per un po’ di notorietà  ma non è confermato per la stagione successiva. Si fa vedere a Orlando, ritorna a Clevaland. In quattro infelici stagioni colleziona 12 triple, una stoppata (!) poco più. La sua grande fortuna fu la mente distorta di Sterling che lo volle nell’allegra brigata chiamata Clippers. Da lì qualche tripla, qualche buona partita e la curiosità  di vedere all’opera un nuovo esemplare di una razza in estinzione, della quale questi sono stati i principali esponenti.

TYRONE “MUGGSY” BOGUES
Ve lo ricordate tutti. E’ stato il più piccolo uomo che sia mai sbarcato sul pianeta NBA con l’incredibile altezza (?) di un metro cinquantacinque. I suoi anni migliori sono stati 9 memorabili stagioni a Charlotte all’epoca per intenderci di Zo Mourning e Larry Johnson. L’ appendice a fine carriera lo ha visto a Toronto insieme all’uomo volante Vince Carter e ad un giovanissimo Tmac ma nonostante il suo declino sono stati anni comunque importanti perché gli hanno permesso di poter collezionare più di seimila assist in carriera e quindi l’ammissione nel Top 20 Club all-time, associazione d’elite le cui chiavi sono custodite a Salt Lake City.

Nato a Baltimore, a 5 anni fu sparato insieme a un amico perché il proprietario di un negozio lo vide lanciare contro la vetrina del suo negozio sassi ben più grandi di lui. Dopo essere uscito dall’orribile Lafayette Recreational Center, una sorta di riformatorio appena appena mal gestito, fu il playmaker titolare della mitica Dunbar High School. Vinse due consecutivi titoli statali con compagni come Reggie Williams, Reggie Lewis e il suo futuro compagno tra i pro David Wingate.

A margine della permanenza a Wake Forest fece addirittura i bagagli per Barcellona con la nazionale USA suscitando lo stupore di tutti, Drazen Petrovic compreso. Ancora oggi uno dei più memorabili episodi di quel Mondiale 1986, vinto poi da Team USA, è la sua difesa asfissiante in guardia del Michael Jordan europeo, lo sfortunato croato che ci ha lasciati purtroppo una decade fa.

1986, dicevamo. Lo stesso anno infatti già  qualcun altro stava si stava battendo per demolire le ultime barriere dei pregiudizi, quelli che Bacone chiamava “idola”. Sapete già  il suo nome, è un idolo di noi tutti….

ANTHONY “SPUD” WEBB
Spud era misurato a 1,55 cm (da pro era 1,68 cm) quando schiacciò per la prima volta in un playgound di Dallas. Slam dunk, baby ! Con Mogues siamo arrivati anche a semila assist in carriera ma volete mettere una schiacciata a quell’altezza ? E’ un’impresa paragonabile ai 100 di Wilt “The Stilt” Chamberlain e all’ 8,90 in lungo di Bob Beamon.

Prima di arrivare agli Atlanta Hawks ha studiato a NC State sotto Jim Valvano. Memorabile a tal proposito un episodio curioso. Tom Abatemarco, il suo vice, lo presentò per un provino all’head coach e il buon Jim, dopo aver chinato la testa per incrociare il suo sguardo disse con tutta sincerità  : “Ok, Tom, spero di sbagliarmi, ma se veramente è questo il Webb di cui mi parlavi, sei licenziato”. Niente paura però. Poi sono tutti restati e ed è pure arrivata l’improbabile Sweet Sixteen al Torneo NCAA.

Ovviamente l’highlight di una vita resta l’All Star Game 1986, più precisamente lo Slam Dunk Contest, la gara che avrebbe incoronato il miglior atleta della lega più competitiva del mondo. Già  la presentazione fa sorridere l’America perché Spud è esattamente la metà  di tutti i suoi colleghi ma in poco tempo quella che sembrava una boutade pubblicitaria del diabolico Stern o piuttosto una pagliacciata solo a fini di spettacolo si trasforma in un impresa mai vista e non più ripetibile.

Spud arriva a sorpresa in finale col compagno di squadra Domenic Wilkins e nel giro di tre schiacciate che definire incredibili è davvero un eufemismo va addirittura a vincere mostrando anche un 360 degno dell’odierno Ricky Davis. Ah, a proposito, la faccia di Jordan in quella circostanza spiega meglio di qualsiasi altra cosa l’umore di tutti per quel piccolo genio…

Earl Boykins non ne sarà  l’ultimo rappresentate. In una lega che sembra afflitta dalla sindrome di Boscia Tanjevic, per cui vediamo sempre più spesso ragazzoni di due metri maneggiare lo spicchio, e che purtroppo non riescono nemmeno lontanamente come Magic, uomini come Earl saranno sempre in pochi ma non scompariranno mai.

E poi finiamola col giudicare a priori un giocatore solo per la sua altezza e finiamola col discriminarlo, anche umanamente, solo perché come diceva De Andrè “un nano ha il cuore troppo vicino al buco del culo”

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