Quaranta e non sentirli…

Guardatelo bene: di jump come questi ne vedrete pochi…

Dimenticati dei sei anelli. Fai finta di non vedere cinque trofei di MVP della stagione e sei delle finali. Cancella dalla tua mente i 10 inserimenti nel quintetto ideale di una stagione o i nove nel quintetto difensivo.

Fatto? Bene. Ora prendi un qualsiasi quarantenne di tua conoscenza e immaginatelo veleggiare tra i parquet NBA come nessun essere bipede… Quasi diciannove punti a sera con quattro assist, oltre cinque rimbalzi e quell'impressionante senso di onnipotenza che ti fa credere che le doppie-vu siano parecchio opera sua.

Ad ogni suo rientro, Michael Jordan perde una parte di quella che era la sua immagine del periodo precedente per aggiungere qualcosa di inintelleggibile ed inimmaginabile, innovativo. MJ oggi è carisma, leadership assoluta non più a livello fisico ma mentale, rispetto da ogni parte, amore per il gioco e sfida con se stessi.

I grandi non giocano contro di lui come se fosse il normale avversario serale; giocano contro di lui per sfidare lui e la sua immagine, ciò che tutti, nella loro comunque enorme grandezza e, in molti casi superiorità  attuale, non saranno mai. Allora vedi Vince Carter fare a botte con MJ, vedi TMC rispettare il “grande vecchio” con prestazione da favola. Vedi Allen Iverson e lo stesso Mc Grady offrirgli il loro posto da titolari all'All Star Game. Assurdo.

Minuti e minuti di applausi al suo rientro allo United Center. Nella penultima apparizione nel luogo in cui ha vinto tutto, con i Wizards avanti di venti a sei minuti alla sirena e Michael seduto in panca, tutto il palazzo ha tremato sotto il grido “we want Mike… we want Mike…”.

Parlavamo di rispetto, prima. Tanto ne hanno per lui, tanto ne ha lui per gli altri. MJ non è rientrato, ha onorato quel pubblico, quegli avversari e se stesso come nessuno mai.

Ok, lo so, non è la solita In The Zone, oggi. Volete In The Zone? Va bene. Stop con il senso drammaturgico della questione.

Poveri Hornets, tanto per cominciare. Cambiano città  per non farsi scovare e lui, puntualmente, li punisce ogni anno con una razione punitiva di chirurgia estetica applicata al basket. Quarantacinque punti di sutura che fanno male perché te li ha appena suonati un quarantenne. Non il tuo normale quarantenne, però.

Punti 32 contro quel T-Mac di cui sopra (chiariamoci, lui sente la sfida tanto quanto i bimbi). Quarantuno contro Indiana, dove li mettiamo? Quelli in giallo e nero ci provano da anni a piacergli un po’, ma lui sembra sempre di avere qualcosa in più da dimostrare contro di loro (il contatore ha fatto 28 il mese prima, pure).

E' l'ultimo capitolo della saga, ragazzi. Come nel capolavoro di Tolkien, “Il Ritorno del Re” rappresenta il termine ultimo dell'unico signore degli anelli mai esistito. Gustatevelo, ammiratelo, odiatelo, tanto non ci sarà  più. Ci saranno le immagini, i confronti mentali con le nuove leve che contro non ci giocheranno mai.

Ci sarà  una memoria storica fatta di sensazioni sotto pelle che nessuno ha mai dato in quel modo, sportivamente e non. Ragazzi, assorbite MJ ora, non perdetevi ogni frase, ogni giocata anche se forzata o sbagliata, ogni goccia di sudore, ogni immarcabile fade away jumper.

Il finale è già  scritto, da qualche parte. Michael porterà  i suoi ai playoff, che vi piaccia o non vi piaccia. Terminerà  la sua carriera con un colpo di scena drammatico, nel bene o nel male, che ci resterà  comunque impresso come un tatuaggio sulla pelle. Non so quale sarà , ma non voglio scrivere oltre e rischiare di perdermelo.

Happy birthday, His Airness.

“At guard, with number twenty-three, six-six, from North Carolina… Michael Jordan”.

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