Un Charles Barkley giovane in maglia Sixers…
Avvalendoci di comode sigle potremmo tranquillamente definirlo MVP, ma nel caso specifico anche VIP. Fu pure Sir Charles, per molti semplicemente Chuck, per non parlare di quel curioso “the round mound of rebound” affibbiatogli nel periodo in NCAA,in cui si scoprì la sua unica dote prettamente cestistica e probabilmente normale: il rimbalzo.
Il resto era pura anomalia, come per altro può essere ritenuta un’atipica power forward di non più di 1,97 che ostacola agevolmente i pari ruolo e saltando arriva a stoppare pivot di ogni altezza, e il tutto in possesso di una struttura fisica imprecisabile e di molto tendente all’ingrasso.
Dunque Charles Barkley fu nonostante tutto questo sorprendentemente completo, longevo ed efficiente fino alla chiusura di una carriera numericamente perfetta, contornata da 11 convocazioni per la partita delle stelle (ma solo 9 giocate) ed il titolo di MVP stagionale valevole per il campionato ’92-’93 davanti a Michael Jordan, la prima volta in assoluto per un atleta alla stagione d’esordio con una nuova maglia.
Ma Jordan, ed è storia nota, trovò il modo di fargliela pagare, e sempre in quello stesso anno scippò i Suns di un anello che avrebbe avuto del clamoroso. Barkley è tuttora oltremodo VIP,nel senso di un personaggio di peso che ha onorato la NBA,esportando il “prodotto” (dovremmo pure adeguarci alla logica di Stern a questo punto) in giro per continenti,tra l’altro trascinando il Dream Team sia a Barcelona ’92 che ad Atlanta ’96,ed il commento sui bei tempi che furono pare ora più che mai attuale.
“Sir Charles” è invece l’attestato di stima che Chuck ha ottenuto dal parquet,giustificato da una schiettezza a volte problematica ma stracolma di dignità . Episodi controversi vanno ricercati, per esempio, nel berrettino con il “Fuck Iraq” a campeggiare in primo piano o in altre dichiarazioni troppo esplicite per il politically correct; memorabile è lo sputo che, dallo spettatore cui idealmente era diretto, finì invece per colpirne la figlia.
Ancor più disarmante è il rapporto di amicizia che Charles instaurò con i due, aprendosi a loro in maniera del tutto personale. Normale che non piacesse e fosse una presenza “scomoda”, ma a parte la mancata convocazione alle Olimpiadi del 1984 la sua dirompente personalità fu accettata ogni volta di buon grado.
Un video su di lui in maglia Sixers lo vedeva presentarsi al pubblico con un eloquente “I was born to be wild“ cui non poteva non far seguito la celebre canzone degli Steppenwolf : ed in effetti l’accostamento calzava a pennello. Sebbene scatenato, Barkley ha mostrato buon senso in tutte le occasioni più significative,tanto da essere riuscito a ritirarsi in una fase calante ma non infima della propria carriera,senza disperati pellegrinaggi alla Olajuwon o alla Ewing, senza altresì poter celare il desiderio,mai represso,di un anello. E si è invischiato,senza dubbio, nelle situazioni più problematiche e prossime all’impossibilità : testimone oculare dell’era-MJ, il quale eliminò con identico punteggio (4-1) i suoi Sixers in Semifinale di Conference nel ’91 e nel ’92.
La tripletta si compì un anno dopo, mentre l’MVP in carica Charles Barkley non riusciva a spingere la franchigia dell’Arizona oltre una gara6 di finale,ancora contro i Bulls, non prima di aver spazzato via i Sonics alle Finali di Conference con un’epocale apparizione da 44 punti e 24 rimbalzi. Non fu Jordan però la sola calamità naturale: Barkley approdò ad Houston,così come a Philadelphia,appena dopo la conquista di un titolo dovendosi inserire in meccanismi pre-esistenti ed ampiamente rodati.
Non bastò un contributo di eccezionale spessore per esiti perennemente peggiori alle aspettative,e per di più in concomitanza con il tramonto di tutti i mostri sacri con cui ebbe occasione di condividere il campo;da Doctor J all’insegnante personale Moses Malone, per non ricordare ancora Olajuwon,Drexler e più tardi Scottie Pippen.
Tuttavia Barkley è inattaccabile in fatto di apporto individuale,anche solo pensando a quei Suns da 62 vittorie in regular con Majerle e Kevin Johnson nel cuore della giovinezza e dell’atletismo,nel solo vero tentativo da parte del nostro di accaparrarsi gli allori più pregiati,posto che il titolo non sarebbe piovuto dal cielo.
E nessuno può battere ciglio di fronte a 1073 incontri con 22.2 punti,11.7 rimbalzi e 3.9 assist di media a serata,cifre che lo sorreggono accanto a Wilt Chamberlain ed Abdul Jabbar, i soli altri ad aver collezionato almeno 20.000 punti, 10.000 rimbalzi e 4000 assist nella propria permanenza nella Lega dei campionissimi.
Poi, giusto per la cronaca, ci sarebbero cinque inclusioni nel primo quintetto assoluto (di seguito dall’88 al ’91,poi nel ’93), la nomina ad MVP di un All Star Game in cui catturò la modica cifra di 22 rimbalzi, career high di 56 punti (realizzati addirittura in un incontro di post-season) e di 33 rimbalzi. Ci sarebbe poi un titolo di miglior rimbalzista, e parliamo di pieno dominio Rodman, scusate se è poco.
Alla fine l’infortunio a Philadelhia, l’8 dicembre 1999, esattamente quindici anni, un mese e dodici lune dopo il proprio ingessa in NBA,passando dal medesimo teatro. Quella fu l’indiscussa fine sportiva di Barkley, per la quale occorrono due doverose precisazioni.
La prima è che nonostante la casacca dei Rockets,Charles va ricordato,per sua stesa ammissione, come un Sixer, non solo per l’allarmante combinazione di date,ma anche per lo stupendo periodo che egli trascorse a Phila, la città che lo accolse dalla povertà , quando era scelta assai frequente l’andare in NBA per guadagnare.
La seconda è che fu proprio quella la sua ultima partita, benché sia riuscito in una stoica comparsata finale nella stessa stagione,con la squadra di fatto in mano a Francis.
La tremenda fatalità ha voluto che alla rottura del tendine fossero presenti la nonna e la madre, le due donne fondamentali per la sua crescita. Sarà stato per la naturale inclinazione a parlare apertamente con la stampa che Chuck si lasciò scappare un “Niente male, mi dispiace solo perché questa sera non farò sesso”.
Difficile prendere queste parole seriamente,mentre in tutti subentrava la consapevolezza che quell’anello avrebbe anche potuto scordarselo,ma tutti concordi nell’incoronare questo personaggio ad astro di prima importanza.
Ad ogni modo Barkley può vantare una sfilza di ottimi motivi per essere soddisfatto di sé,pure ora che riscuote successo come commentatore e dispensa sentenze con la proverbiale faccia tosta.
Forse un difetto, ma che può permettersi ampiamente:resta comunque un uomo da 16 anni di NBA sul groppone nei quali è sceso appena una volta sotto i 10 tabelloni di media; la stagione da rookie in cui concluse anche con 14 punti e 1.9 assist a gara, suoi minimi storici pur trattandosi della sola stagione che lo vide calcare il parquet in tutte e 82 le partite.
Per le rimanenti quindici sempre tra i 10.1 e i 14.6 rimbalzi, media punti dai 15.1 dell’ultimo anno ad un picco di 28.3,e sempre almeno 2.8 assist con un record di 5.1
Barkley rimarrà un eterno mistero della NBA,ed a poco sono serviti i tentativi di inquadrarlo in un ruolo, o in un preciso contesto di gioco: Bill Walton provò la chiarezza delle proprie idee accostandolo ad illustri predecessori piuttosto anomali quali Bird e Magic, ed esaltandone la capacità di difendere con grinta, di trasformarsi in cecchino, di sfruttare il gesto atletico. Concludendo anch’egli nella certezza di essere al cospetto di un puro e fantastico giocatore di basket.
Uno capace di dirti, nel giorno del proprio forzoso ritiro, che l’ultima cosa di cui l’America aveva bisogno era un altro negro senza lavoro.
Un’anomalia unica nel suo genere, un oggetto misterioso. Ma, soprattutto, Sir Charles.
N.d.Max: permettemi di aggiungere un mio piccolo personale tributo al personaggio, unico e inimitabile.
Ai tempi del college…
Una sera, invitato ad uno dei party più esclusivi, a casa di uno dei più ricchi finanziatori dell'ateneo:
– “Charles, che cos'hai che non va stasera? Non mangi niente!”
– “Ehm… ecco… non sapevo se ci sarebbe stato da mangiare, così prima di uscire di casa mi sono fatto uno spuntino”
– “Ah, uno spuntino!”
– “Si, beh, ecco… 3 polli”.