Ricky Davis in una delle sue tante spettacolari schiacciate
Natale. Festa dell'amore. Tutti più buoni. Bellissimo, tutto condivisibile. Ma se in questo periodo si soffre di fastidiose influenze la cosa diventa un pochino meno piacevole. In più capita di osservare come anche nel dorato mondo NBA, esistano dei casi di masochismo più unici che rari. Allora le cose diventano decisamente meno piacevoli.
Se abitate per esempio a Cleveland, la vostra vita di tifosi potrebbe essere decisamente frustrante. Sì, perché non basta che i cittadini di questa pur rispettabilissima città si debbano ritrovare ad essere presi in giro a vita (ricordiamo che Cleveland è la città che in America compare più volte nelle barzellette), ma ci si deve sorbire anche una squadra come l'edizione 2002 dei Cavaliers.
Intendiamoci, non è che i Cavs siano compagine scevra di talento, ma sembra che la dirigenza abbia deciso di fondare la propria politica sulla discutibile strategia dell'inserire zizzania in ogni possibile pertugio dello spogliatoio in modo da rovinare quel che di buono potrebbe venire dal campo.
Avviene così che un più che discreto conoscitore di uomini e coscienze come John Lucas si ritrovi a guidare (senza volontà specifica) una squadra potenzialmente esplosiva al solo intento di arrivare ad avere la miglior pallina possibile nel proprio draft per aggiudicarsi così il nuovo Nance, Daugherty o Price, ignorando non si sa quanto scientemente che il miglior giocatore in quintetto al momento non è arrivato in squadra tramite draft ma dopo essere stato scambiato almeno due volte nei suoi primi, scoraggianti, anni NBA.
Si tratta come ovvio di Ricky Davis, l'attuale mister quarantello. Qui devo ammettere di essere rimasto molto sorpreso. Si tratta di un giocatore che fino all'anno scorso molti tecnici e tanti osservatori avevano ignorato, sbagliando clamorosamente.
Al primo anno “sano” nella lega infatti, questo ragazzo uscito al suo anno da freshman dal college di Iowa, ha mostrato numeri di primissima scuola, intravisti in precedenza soltanto in rare eccezioni nella permanenza biennale a Charlotte e forse tracciati per qualche momento solo grazie al quarto posto finale nella gara delle schiacciate del 2000 all'all star game.
Sfruttando finalmente e suoi 2 metri abbondanti su di un fisico asciutto al limite del pericoloso (90 Kg scarsi in questo caso possono essere più un male che un bene), Davis oggi viaggia ad una media di oltre 23 punti a partita in 40 minuti di permanenza sul parquet, conditi con 4.4 rimbalzi e altrettanti assist da prestare alla causa Cavs.
Non male? Non male no, visto anche che senza uno straccio di tema tecnico, Ricky quest'anno ha saputo ritagliarsi uno spazio da 45 punti in una sera contro i Bucks, mostrando in più occasioni di voler prendersi responsabilità e tiri pesanti in tutte le occasioni possibili.
Proprio questa voglia di vincere ha paradossalmente creato i maggiori attriti fra Davis e altre componenti della franchigia. Dopo una delle tante sconfitte di quest'anno, la guardia ha accusato senza mezzi termini lo staff dirigenziale e tecnico dei Cavs di giocare a perdere.
Di limitare la sua produzione appositamente per far vivere alla squadra un'altra stagione di pseudo-transizione inseguendo chissà quale sogno per il prossimo draft. Su questo punto Davis ha avuto sicuramente ragione, almeno in parte.
La strada intrapresa da Cleveland, città poco amata nel gioco politico della NBA e franchigia fortemente a rischio, è molto pericolosa. Puntare ancora sull'urna per risalire nella graduatoria dei valori della Central division sembra essere una scelta suicida.
Per tantissimi motivi primo fra tutti la legge delle probabilità , il draft non sembra essere una scelta scontata. La percentuale di talento, nel roster è già alta. Al fianco del citato Davis, che tanto per essere chiari ha avuto bisogno di 3 anni di adattamento per capire come va la vita in un'area professionista, attualmente stazionano nomi da grande ribalta.
Darius Miles, Smush Parker e Dajuan Wagner potrebbero valere come pochi altri reparti del mondo se si giocasse solo con il talento. Carlos Boozer è acerbo, ma se la succitata dirigenza gliene darà la possibilità sarà uno che diventerà tosto, perché tutto quanto fatto di buono con la casacca di Duke è un tesoro troppo importante per essere sperperato.
Infine, Zydrunas Ilgauskas è un altro esempio perfetto su come le vie della palla da basket siano veramente misteriose. Al primo anno NBA, in una serata da ricordare diede senza mezzi termini, lezioni di basket durante la gara delle matricole dell'All Star game, dimostrando di essere uno o due gradini sopra tutti i suoi colleghi rookie.
Da quella sera sono passati due anni e solo in questa stagione il lituano sta tornando ad essere una copia accettabile di quello stupendo atleta. Chi è pagato per fare queste considerazioni dovrebbe capire quanto affidarsi ad una pallina sia rischioso, ma allo stesso tempo questa situazione mette Davis e i suoi compagni in una situazione scomoda.
Alla lunga infatti si possono trovare tutte le giustificazioni del mondo per le sconfitte, ma arriva anche il tempo di chiedersi perché tutto questo talento messo insieme non produce risultati rapidamente. Si tratta di un problema che Davis comincerà a dover affrontare molto presto.
Già oggi gran parte della stampa americana non paragona la guardia dei Cavs a gente come Jordan (è ancora lesa maestà ), piuttosto a gente come il primo Sprewell, a Drexler ma anche e soprattutto a Dominique Wilkins. Il nome dell'ex capitano e anima degli Atlanta Hawks, viene spesso accomunato a quello dell'attuale Davis.
Sarà per il fisico asciutto, per la predisposizione alla schiacciata d'autore anche quando francamente non ci sarebbe bisogno di creare una nuova effigie per un poster, per il gusto dello show.
Di passi ovviamente ne dovrà fare, ma ad oggi Davis è stato 16 volte miglior realizzatore della sua squadra il che lo ha portato al sesto posto assoluto per punti segnati nella lega, per cinque volte ha raccolto più di 8 rimbalzi e i suoi recuperi pur non frequenti sono saliti a una media 1.63 per partita.
Tutti questi segni, parlano di un giocatore che solo adesso ha cominciato ad avere confidenza con un fisico duttilissimo, che in una situazione difficile può anche spendere il lusso di andare tecnicamente sopra le righe, rischiando di sbagliare, ma dando una indicazione concreta ai compagni sulla mentalità da tenere.
Naturalmente questo lo esporrà a critiche sempre più serrate, ma la lezione che Davis dovrà imparare se vorrà diventare un leader, sarà quella di non avere paura di sbagliare per il bene della squadra e dovrà anche tenere gli alibi fuori dal suo play book.
Tanto a fine anno i Cavs lo scambiano"