‘Big Ben’ Wallace

Chissà  se vedremo Ben all' All Star Game…

“Una vita da mediano, a recuperar palloni – nato senza i piedi buoni lavorare su polmoni"”

Niente paura, nessuno vuole inserire una biografia non autorizzata di Beppe Furino o Lele Oriali nelle righe che seguiranno. Il fatto è, pensate la bizzarria della vita, che per descrivere l'attuale indiscusso miglior giocatore difensivo della lega NBA, le frasi scritte da un rockettaro interista italiano sembrano calzare a pennello.

L'oggetto del contendere si chiama Ben Wallace, 2.06 metri e abbondanti 109 chilogrammi di muscoli al servizio della franchigia dei Pistons. Il passato del giocatore non è effettivamente nulla di interessante. Si tratta di un prodotto dell'università  di Virginia Union nella classe 1996.

Un uomo del sud per modo di fare, quell'educazione un po' rustica ma genuina che ne fa una persona deliziosa con la quale conversare, quando decide di spiccicare più di due sillabe. Un inizio che definire non entusiasmante è riduttivo.

Wallace infatti non viene scelto nel draft che lo riguarda, prova perciò la carriera di giocatore professionista in Europa, ma anche in questo caso la ruvidezza delle sue manone, ne fanno un atleta apprezzato ma un giocatore sottovalutato, tanto che una squadra di A1 del campionato italiano che si trova sulla sponda nord dello stretto di Messina lo taglia" si dice il peccato non il peccatore.

La NBA però, raramente ha mancato di dare una chance a un buon atleta e perciò la chiamata come free agent arriva dagli allori Washington Bullets, oggi Wizard (doverosa nota storica, per i più giovani). Per farla breve, sono bastate poco più di tre stagioni agli scout di mezza America per segnarsi il nome di questo giocatore.

Nel '99 viene scambiato ad Orlando in un'altra delle riuscitissime operazioni di mercato della franchigia capitolina e dopo un solo anno è messo sul piatto della bilancia dai Magic per portare al sole della Florida, niente meno che l'erede designato di MJ, Grant Hill.

Lo scambio fra Orlando e Detroit si fa e nella Motown, la carriera di Ben Wallace fa il definitivo salto di qualità . Coach Carlisle trova infatti in questa ala forte il giusto perno difensivo per il suo gioco nel quale la difesa porta a casa le partite mentre l'attacco è affidato all'estro di Jerry Stackhouse.

Le cifre del virginiano diventano quelle di una stella. In 183 partite in cartellone, Wallace non manca una sola apparizione. Porta la media a rimbalzo oltre i 13 totali per gara, migliorandosi costantemente e arrivando in questo 2002 ad una media di 15,1 rimbalzi a partita, 11.4 in difesa e 3.7 in attacco. Pur continuando a tirare poco e malino, le sue percentuali stanno trovando una continuità  verso il tetto del 40%.

Naturalmente il tutto è condito da una dose di stoppate che nella scorsa stagione ha registrato la media 3.48 a partita e pur essendo tutti d'accordo che non siamo in presenza di un altro Shaquille O'Neal e che non ci si può aspettare di osservare le movenze di Robinson nei suoi fondamentali, prendere una stoppata dalle braccia assolutamente muscolate del numero 3 di Detroit non è comunque una bella esperienza, anche se oramai l'hanno provata in molti.

Quest'anno sembra che gli dei del basket abbiano voluto mettere ancora alla prova la pazienza indomabile e il contegno di questo gigante gentile (altra definizione dell'era pre Tranquillo). Dopo un estate nella quale il nome di Wallace è rimasto invischiato in quella pessima faccenda che gli Stati Uniti hanno chiamato mondiali di Indianapolis, lo scambio fra Washington e Detroit che ha portato il Dottor Jerry alla corte di Jordan, ha tolto al roster dei Pistons l'unica vera stella.

Coach Carlisle ha fatto così di necessità  virtù e grazie ad un'amalgama quasi unica negli spogliatoi professionistici americani, ha costruito un impianto di gioco basato sull'applicazione di schemi offensivi rigidi e semplici, su di una difesa estremamente grintosa, grazie alla velocità  degli esterni come Billups, Hamilton e Atkins ma soprattutto sull'affidabilità  in area pitturata di Wallace.

Grazie alla presenza di un'ala forte del suo calibro e alle cifre snocciolate poc'anzi, Detroit si può premettere di mettere a roster giocatori eclettici e atipici come Cliff Robinson, uno dei primi prototipi di centro tiratore da tre, Zeljko Rebraca e Corliss Williamson, ala forte all'università  di Arkansas convertito nei professionisti per motivi essenzialmente di centimetri al grado di ala piccola, magari con ruolo di sesto uomo, dallo spessore difensivo e fisico spettacoloso, il classico mastino da piazzare sull'avversario più forte.

Ma proprio l'ex Banana man di Treviso, una delle squadre che più campioni europei ha dato alla NBA (peccato che solo uno fosse italiano e nemmeno troppo campione), dicevamo, proprio Rebraca ha tratto grandissimo giovamento dal poter timbrare il cartellino ogni sera al fianco di Wallace.

Il lungo e tatuato rappresentante in terra del Michigan della scuola ex-yugoslava di pallacanestro è un giocatore che per struttura e mentalità  non potrà  mai essere centro puro nella NBA. I suoi piedi sanno fare cose degne di una guardia, l'esplosività  e la velocità  nei cambi di ritmo lo portano spesso a battere l'uomo, ma il lavoro sporco è tutto affidato a Wallace, un discreto cuscinetto protettivo.

Le ultime settimane non hanno fatto che acuire questa tendenza. Soltanto nell'ultima partita con Cleveland, complice un over time, il nostro eroe si è ritrovato la casella dei rimbalzi occupata da un numero 19. Record per un lungo alla Gund Arena per l'annata e impressione di forza ribadita per tutti i selezionatori dell'All Star Game.

Proprio la partita delle stelle potrebbe essere l'unico tallone d'Achille del nostro eroe in questa cavalcata trionfale. Il suo linguaggio di basket effettivamente è un po' più rozzo della media dei partecipanti e difficilmente sarà  votato nel primo quintetto a Est. Il problema diventa quindi solo tecnico.

Chi lo vorrebbe, spiega che in fondo l'anno scorso è arrivato sul parquet più ricco del mondo tale Elton Brand, chi non lo vuole ricorda la mentalità  ben diversa dall'abituale di una serata che è soprattutto parata di stelle.

Detto che non è assicurato che i tifosi di Detroit non riescano a farlo arrivare in quintetto, la sensazione è che Wallace questo premio se lo strameriti, non tanto per il titolo di miglior giocatore difensivo 2002, quanto per l'importanza che oggi riveste nell'economia del gioco della sua squadra, per il peso che porta negli equilibri della eastern conference della NBA d'oggi.

Se poi l'educato Ben vorrà  festeggiare la serata schiacciando in testa a Garnett o stoppando una parabola di Bryant, questo sarà  di non poi trascendentale importanza.

Le sue rivincite Wallace se le è già  prese e ad oggi non sono in pochi quelli che pensano che nel famoso scambio per portare Hill in Florida, non siano stati i Magic quelli che ci hanno guadagnato di più, caviglie o non caviglie.

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