A livello di talento puro, pochissimi nella NBA stanno con Jalen Rose
Non stiamo pensando che l'aggettivo "ammorbante" sia stato creato appositamente per lui, ma quante volte quell'eccezionale duo l'ha definito così? Non mi pare di aver detto una castroneria, l'ho sentito di persona con le mie orecchie"anzi, forse qualche volte avranno definito le sue finte "abbacinanti""
Come giocatore, in quanto a classe, Jalen Rose non si discute. E' decisamente sopra la media; non è un fuoriclasse puro né mai lo diventerà , ma di talento ne ha da vendere da qui all'eternità .
E,in fatto di numeri,sta producendo al momento la miglior stagione della sua bizzarra carriera,eclettica quasi quanto lui,con 22,6 punti che gli valgono la Top Ten dei marcatori,e 4 assist e 3,8 rimbalzi che serviranno pure a qualcosa,nel caos primordiale della città del vento.
Forse in passato è stato capace di smazzare più assist e catturare un paio di rimbalzi in più, ciò non toglie che il suo contributo sia di tutto rispetto e punto fermo dei Chicago Bulls. Ora il problema (perché non si parlerebbe di lui se non ci fosse qualche complicazione) sta proprio nel suo eclettismo sul campo, in alcune situazioni addirittura nocivo alla resa della squadra.
Conosciamo bene le difficoltà che ci sono a definire il vero ruolo di Jalen Rose, che viene, quasi sempre per necessità ,inglobato nella sezione "guardie", anche se tutti sappiamo come il signore da Michigan sia contemporaneamente un play per natura ed una guardia per dispetto, tanto che i disagi da lui creati sarebbero dovuti prevalentemente al suo atteggiamento, che spesso risulta essere lesivo per i suoi compagni di reparto, che d'improvviso si vedono prepotentemente privati del loro ruolo per le bizze del talentuoso Rose.
Gli manca un mese ai trent'anni, e dopo otto stagioni piene di NBA è ancora estremamente arduo esprimere un giudizio,anche solo parziale, sul suo ruolo nella Lega. Spesso considerato "testa calda" del parquet, Rose ha vissuto vicende alterne a seconda delle realtà cui è andato incontro nella sua intensa carriera, fin dai primi bagliori con la maglia dei Denver Nuggets.
Già allora non solo aveva fatto intravedere agli avversari il suo immenso repertorio offensivo, comprensivo di finte, gioco di sguardi e piena coordinazione negli spazi stretti, ma era addirittura partito titolare in diverse occasioni, sia nella prima, che nella seconda stagione da pro.
Cifre buone: 8,2 punti di media il primo anno e 10 il secondo, in qualità di giocatore poco più che ventenne, con diverse ambizioni, ma che dopo aver trionfato al college con i mitici Fab-Five poteva anche permettersi di aspettare un po' prima di ottenere riconoscimenti.
E' stato con il passaggio ad Indiana che Rose ha iniziato a perdere la pazienza, poiché a furia di temporeggiare si stava facendo sfuggire ghiotte occasioni da sotto il naso, e ad un certo punto della carriera ogni giocatore inizia a non dare più importanza ad un 47% dal campo o al rapporto punti-minuti giocati; se, come Jalen Rose, ha tutte le premesse per poter sfondare pretende, quanto meno, di giocare.
I primi tre anni ad Indianapolis non sono stati esattamente un calvario, ma di certo sono sembrati interminabili, con 7 partenze complessive in quintetto nel corso delle tre stagioni, ed un massimo di 25 minuti a sera.
Evidentemente ci voleva proprio Larry Bird, ma attenzione: non è questo il caso del tributo gratuito e melenso ad un grande campione del passato, ma un giusto riconoscimento per un coach che qualcosa di concreto ha davvero fatto, raggiungendo una finale, persa con i Lakers, e trasformando la finale di Conference in pura routine per i Pacers.
In quella realtà finalmente diversa, vincente davvero, è cresciuto ed è stato scoperto un Jalen Rose sicuramente più vicino a quello attuale, con molti minuti in più e tutti i tiri che si meritava,riuscendo a spiccare come personalità anche accanto a soggetti come Reggie "Hollywood" Miller e Rik Smits, che con Bird è riuscito a "ricaricare" incredibilmente con una salutare iniezione di fiducia. Miller,addirittura, voleva ritirarsi in seguito all'incendio della sua abitazione"
E così Jalen Rose divenne una stella per tutti, finalmente noto al grande pubblico, e premiato come Most Improved Player of the year per la stagione 1999-2000, a coronamento di 80 partite da 18,2 punti,quasi 5 rimbalzi e 4 assist di media,ben altra cosa rispetto al '98-'99, l'anno del lock-out, in cui produsse, nei 25 minuti di media 11 punti, 3 rimbalzi e nemmeno 2 assist a sera.
Ma se Rose non si è ripetuto, questo è dovuto al fatto che nella stagione successiva si è addirittura migliorato, raggiungendo quelle che tuttora sono le sue migliori statistiche di sempre, vale a dire 20,5 punti 5 rimbalzi e 6 assist.
Forse nessuno, o meglio nessun italiano, è mai riuscito a spiegargli che in Italia abbiamo, oltre a pasta pizza mafia Roberto Baggio, innumerevoli modi di dire, primo fra tutti che la vita non è tutta rose e fiori, con evidenti allusioni al suo cognome.
Magari non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che comunque Rose s'è accorto in tempo che la sua parabola si sarebbe arrestata. E, ancora una volta, non parliamo di numeri, ma di rapporti interpersonali nell'ambito cestistico.
Se n'è andato, amato e ben voluto da tutti, coach Bird per lasciare posto all'idolo locale Isiah Thomas, altra semi-leggenda del basket giocato. Rose è allora insoddisfatto, gioca meno e il ruolo di playmaker titolare è proprietà del rookie Jamaal Tinsley, pupillo di Thomas, che riserva a Rose il ruolo di guardia.
Guardia per dispetto, dicevamo. Perché Rose, quando è scontento, non lo manda certo a dire; piuttosto che essere cambiato preferisce tenere il campo ed ostentare la propria svogliatezza, per poi dimostrare a suo piacimento di saper fare 30-35 punti senza batter ciglio.
L'epilogo della vicenda, come da copione, è stato un ulteriore deterioramento dei rapporti con Thomas, che ha preferito spedirlo a Chicago assieme a Travis Best (ora a Miami), per assicurarsi un centro di peso come Brad Miller, il blasonato Ron Artest e l'affidabile Ron Mercer.
A posteriori lo scambio pare aver dato nettamente ragione al vecchio Isiah, ma è sempre una sofferenza privarsi di giocatori come Rose, che si è ritrovato a dover guidare un roster di poppanti, fatta eccezione per Donyell Marshall, Fred Hoiberg e Corie Blount, che è l'unico più vecchio di lui, mentre gli altri sono tutti nati tra '76 e '82.
Jalen Rose non è per nulla una chioccia, il suo ruolo è sì quello di leader del gruppo, ma è un leader più distaccato dall'equilibrio del suo team, che butta spesso un occhio alle proprie prestazioni individuali, e non è certo il giocatore che migliora i compagni.
Nonostante ciò non può che rimanere quanto di buono detto su di lui fino ad ora,e coach Cartwright, altro ex-giocatore dei primi Bulls di Jordan, sa di non poterne fare a meno. E non è che Rose stia male; in pratica le chiavi della squadra sono in mano a lui, e da lui si va nei momenti decisivi, che però, fino ad ora, non sono stati tantissimi visto il 9-17 dei Bulls.
Stando così le cose, Chicago è una delle delusioni di inizio stagione, ma non può essere colpa dello scarso spirito di squadra di Rose, che spesso evita di sporcarsi le mani, ma la cui presenza conta parecchio nella squadra della Windy City. E poi adesso, piano piano, stanno venendo fuori anche gli altri: Marshall è una conferma, Fizer è cresciuto, e anche Curry e Chandler stanno dando qualche segnale positivo, che potrebbe rivelarsi definitivamente nel finale di stagione.
Stagione che, almeno per il momento, può migliorare solo a discrezione del signore in maglia 5, in attesa di una prossima evoluzione.