MJ è solito comandare le operazioni in campo… e non solo!
L'estate 2002 ci dato l'ennesima conferma di ciò che non è ufficiale, ma tutti sanno: MJ, anche se non è più il presidente della squadra, è il padre – padrone del team, e le sue direttive dominanti si spingono su ogni settore delle decisioni dei “Maghi”.
E' malizioso pensare che l'acquisto di Stackhouse, un uomo assai forte durante la regular season, ma accusato di essere molto poco “decisivo” nei finali delle partite che contano, non sia casuale?
E Byron Russell, una guardia – ala piccola, chiamato a segnare da fuori, ma da sempre accusato di aver subìto, nelle finali '97 e '98, lo strapotere della personalità dell'uomo volante?
E l'acquisto del povero Larry Hughes, playmaker per forza, senza la personalità di uno che fa girare la squadra secondo i suoi ritmi?
Tutto fa ritenere che Michael Jordan vuole muovere ancora da solo i fili di questa squadra, un sesto uomo (ma ne siamo sicuri?) che sarà più condizionante dell'allenatore, si riposerà dal lavoro duro della stagione regolare e scenderà in campo solo per risolvere gli incontri all'ultimo secondo.
Abbiamo visto che sa farlo ancora; tutti ci ricordiamo delle immagini di una gara dell'ultima stagione, quando, all'ultimo secondo, il tiro mortifero dalla lunetta di Michael fece urlare al telecronista entusiasta: “He did it again!”. Lo ha fatto ancora e vuole rifarlo: per lui, l'adrenalina degli ultimi secondi è ormai come una droga, non riesce più a disintossicarsi.
Ma siamo anche certi che chi starà in campo dovrà temere più le decisioni del sesto uomo che non dell'allenatore, così come siamo certi che l'ultimo quarto di ogni gara sarà regolarmente targato Michael Jordan.
La politica sui lunghi dei Wizards la dice assai lunga sulla sua concezione del basket: Michael non vuole un lungo dominante ed accentratore del gioco, bensì una squadra di guardie senza play, come a Chicago negli anni '90, e qualche mezzo-lungo, ali piccole, soprattutto, che gli consentano di alleggerire la pressione difensiva su di lui.
Lui vuole essere il play, il miglior realizzatore e l'uomo decisivo della squadra, se no, non si diverte. D'altronde, c'è da dire che la sua presenza in squadra e la sua voglia difendere alla morte si trasmettono come una epidemia ai compagni.
Gente come Lue e Haywood hanno avuto lo scorso anno gli onori della cronaca in più occasioni, malgrado fossero dei prospetti non certo straordinari. Kwame Brown, poi, resta un mistero irrisolto, ma senza un lungo di ricambio in posizione di ala grande, il solo Laettner non può bastare a coprire un reparto lunghi carente, con il solo Ethan Thomas che aspetta di esplodere ancora ed un Lamas tutto da provare.
Ci sono, poi, da aggiungere altre guardie ed ali ancora poco note all'NBA e tutte da sperimentare: Jeffries e Dixon, anzitutto, quest'ultimo con qualche chance in più di emergere nel mare delle guardie di Washington. Ma c'è il pericolo che tutti questi giocatori vengano schiacciati da una personalità che sta diventando sempre più ingombrante…