Nemmeno un grande difensore come Mourning poteva nulla contro la potenza di Ewing
Eccoci qua. Anche per Pat Ewing è arrivato il momento di dire basta. Crea sempre un po' di sconforto vedere un campione che lascia, specialmente quando il campione in questione ha dato tutto in campo, ha lottato, non si è mai risparmiato e non ha raggiunto il giusto premio: l'anello di campione NBA.
Certo, non è quello il solo parametro per stabilire la grandezza di un atleta (altrimenti nei 50 giocatori più forti del secolo sarebbero stati nominati Horry, Harper, Longley ecc"invece di Barkley, Malone, Stockton e compagnia bella!), però c'è sempre quello che dice 'ehi, ma tu non hai vinto niente!'.
Alla conferenza stampa organizzata al Midtown Hotel di New York, la 'sua' città , nella quale annunciava il suo abbandono dalle competizioni, Ewing, attorniato dai suoi amici più cari (Mourning, Mark Jackson, Oakley, tutti suoi allenatori, ecc…) è sembrato non dispiacersene troppo ("penso di aver avuto una grande carriera, non ho alcun rimpianto. Non la cambierei con nulla, ho amato ogni singolo minuto passato sul parquet"), ma sono sicuro che in cuor suo questa ferita, seppur lieve, rimarrà sempre.
Non è forse vincere il traguardo di ogni giocatore NBA? Ogni giocatore con un minimo di carattere non pensa ad altro, figuriamoci un atleta del livello di Ewing.
"Voglio essere ricordato come un lavoratore. Io non mi sono mai risparmiato, ho dato sempre il 110% in campo e in allenamento. Ogni sera ho sempre cercato di fare tutto ciò che serviva per vincere". E su questo nessuno può dire nulla.
Sin dai tempi dell'high school (guidato da Mike Jarvis, il suo primo maestro), nessuno ha potuto rimproverarlo o spronarlo a dare di più perché"lo stava già facendo!
Patrick Aloysius Ewing ha mosso i suoi primi passi nel basket nel 1975, quando arrivò a Cambridge, nel Massachusetts, direttamente dalla Giamaica, dove fino ad allora aveva giocato solo a calcio e a cricket.
Qui conduce la sua squadra liceale a 3 titoli nazionali, diventando subito richiestissimo dai college più importanti d'america. Alla fine la sua scelta cade su Georgetown, vera fucina di talenti nel ruolo di centro (Mourning e Mutombo sono altri 2 All Star usciti dall'ateneo).
Sotto le mani di Thompson, Ewing evolve il suo gioco in maniera esponenziale, diventando una minaccia sia in attacco che in difesa, il marchio di fabbrica dei big man targati Georgetown. Con gli Hoyas arriva subito in finale nel 1982 (persa contro la North Carolina di un certo Michael Jordan, che in seguito lo riempirà di dispiaceri simili…), vince il titolo nell'84 (assicurandosi anche il premio di MVP del torneo NCAA) e perde di nuovo in finale nel'85 contro Villanova 66-64 (la partita dei record in cui i Wildcats, n.8 del ranking, tirarono dal campo nel secondo tempo col 90% e in generale col 79%, record di tutti i tempi!).
Finito il ciclo universitario (15p, 9r e 3 stop di media), Ewing si prepara ad entrare nel mondo dei professionisti dalla porta principale. Indicato subito come un giocatore che poteva spostare gli equilibri (e come non pensarlo?) viene selezionato dai Knicks con il pick n.1 (prima volta di sempre per un giocatore di Georgetown) e nell'86 si aggiudica immediatamente il titolo di rookie dell'anno (20+9 per sera).
A quei tempi nell'NBA giravano 'mostri' come Olajuwon, Jabbar, Parish e in seguito sono arrivati anche Mutombo, Mourning e Big Aristotele, in arte Shaquille O'Neal, rendendo la sua vita sportiva non certo semplice e comoda…
Ma come detto nelle 15 stagioni in cui è stato un Knicks (decisamente meno negli ultimi 2 anni in maglia Sonics e Magic, il periodo del declino) ha sempre battagliato con tutti ad armi pari, senza paura di nulla. I suoi compagni e i suoi allenatori sapevano sempre di poter contare su di lui, il suo impegno non sarebbe mai venuto meno.
Nonostante i Knicks fossero sempre uno dei top team dell'est, le finals NBA arrivano per la prima volta solo nel 1994, quando Houston e 'The Dream' si laurearono campioni dopo 7 sudatissime gare.
Ewing gioca molto bene, da campione (fa registrare anche il record di stoppate in una serie finale con 30), ma non basta. Questa sarà la sua unica apparizione alle finals, visto che nel '99 contro San Antonio è fermo ai box per un infortunio.
Negli anni 90 il suo incubo peggiore ha avuto un nome e un cognome ben preciso: Michael Jordan, che con i suoi Bulls ha avuto sempre la meglio nella post season (da brividi la serie del 92, persa solo dopo 7 estenuanti partite).
Nel 2000 dopo essere diventato il record man per partite e minuti giocati, punti, rimbalzi, stoppate, palle rubate, tiri dal campo e tiri liberi tentati e realizzati dei Knicks, si chiude la sua parentesi nella grande mela, dove il rapporto con i tifosi si era un pò freddato (complice forse il fatto che tutti si attendevano qualche titolo da mettere in bacheca) e si trasferisce prima a Seattle poi ad Orlando.
Sono 2 anni poveri di soddisfazioni, in cui gli infortuni ne gli anni che avanzano lo relegano al ruolo di comprimario (nemmeno 10p di media in 2 stagioni), troppo poco per uno come lui abituato ad essere al centro della scena.
Quasi 25.000 punti segnati e 12.000 rimbalzi catturati, 13 stagioni consecutive con oltre 20p di media (nel 90 la migliore in cui registro 28.6p, 10.9r e 4stop e il record di punti totali della franchigia in una stagione con 2347), 11 volte All-Star, vincitore di 2 medaglie d'oro olimpiche e per sette volte incluso nel primo o secondo quintetto NBA: queste le cifre che ci danno al misura del personaggio.
Come ha ammesso lui stesso anche questa stagione avrebbe potuto continuare a giocare, le offerte non mancavano, ma forse si e reso conto andare avanti cosi non andava bene.
Adesso lo vedremo nel ruolo di vice allenatore ai Wizards, dove ritroverà il suo grande amico Michael Jordan (eh si, sembra uno scherzo del destino) e Charles Oakley, sua spalla per tanti anni a NY. Non lo osserveremo più battagliare in mezzo al parquet (solo "in caso di bisogno" potrebbe anche ritornare a giocare qualche gara) e già sappiamo che ci mancherà …