Il Vicepresidente della MLS, Nelson Rodriguez, al Qwest Field di Seattle
Con la nuova stagione al via, abbiamo deciso di sentire la voce della Major League Soccer – nelle vesti del Vicepresidente Nelson Rodriguez – per capire meglio cosa aspettarsi in quest'anno numero 15 di vita della prima divisione del calcio USA.
Nelson Rodriguez è uomo che conosce a fondo il calcio USA sia dal punto di vista tecnico che di business. Di origini argentine (e parla anche italiano), grande tifoso dei Cosmos, dopo la laurea ha allenato due college, per poi andare a lavorare prima per i New Jersey Devils della NHL (National Hockey League) e poi nella gestione del Giants Stadium per i Mondiali 1994. Con la nascita della MLS nel 1996 diventa Direttore Tecnico dei MetroStars di Roberto Donandoni, per poi passare dietro la scrivania della lega dopo due anni.
Mr. Rodriguez, questo è il 15 anno della storia della MLS, un dato importante nella travagliata storia del calcio negli USA.
Sono stati 15 anni molto belli. La struttura che abbiamo messo in piedi, basata su salary cap, single-entity (i giocatori sono ingaggiati dalla lega, non dai club, Ndr) e stadi di proprietà - tra cui la bellissima Red Bull Arena di Harrison (NJ) appena inaugurata, tra i migliori al mondo – ci ha portato sino a dove siamo arrivati oggi. Immagini che a Toronto e Seattle c'è una lista di attesa per gli abbonamenti di 8-10 mila persone. Mai vista prima una cosa del genere. Ma per noi è solo l'inizio, perché puntiamo a diventare una delle top leagues mondiali.
Al momento però la MLS esporta i suoi talenti migliori e il suo destino sembra quello di essere destinata a rifornire i principali campionati europei.
Stiamo lavorando per trovare un equilibrio che ci consenta di trattenere i migliori talenti americani e importare ottimi giocatori dall'estero. I nostri club stanno investendo molto sui settori giovanili - mai esistiti prima negli USA - e sulle reti di osservatori. Non vogliamo certo abbandonare i nostri ragazzi, anche se poi è normale che alcuni vadano all'estero, come accade per tutte le nazioni.
C'è però il problema del college. Spesso i giocatori arrivano al professionismo troppo tardi.
Vero, ma qui siamo di fronte ad una questione culturale. Negli Stati Uniti le famiglie tendono a favorire l'aspetto educativo nella crescita di un'atleta, anche se ciò può portare a dei limiti. I migliori ragazzi però vengono contrattualizzati già in giovane età attraverso un programma specifico.
In passato ottimi allenatori come Carlos Queiroz, Bora Milutinovic e Carlos Alberto Parreira hanno fallito nella MLS a causa della difficoltà nel comprenderne regole e limitazioni. Quest'anno alcuni club hanno puntato su allenatori stranieri. Non è un rischio eccessivo?
Con Hans Baecke, Carlos De Los Cobos, e anche Martin Vasquez, sarà diverso. La MLS è cambiata rispetto agli anni passati, è assai più strutturata. Ma ciò che è cambiato è che i team oggi mettono a disposizione degli allenatori uno staff con molta esperienza composti da gente che conosce bene il campionato, che vi ha giocato o allenato. Gli allenatori appena arrivati sono persone che hanno chiaro il fatto che stiamo crescendo, che non potranno avere tutto ciò che vogliono, e che dovranno riuscire sfruttando al meglio il materiale a disposizione.
David Beckham ha messo la MLS sotto i riflettori del mondo. Come vi state preparando all'era post-Beckham?
Non pensiamo esista un'era Beckham nella MLS. Consideriamo in suo arrivo - come anche quelli di Cuauhtémoc Blanco, Juan Pablo Angel e Freddie Ljungberg – un momento importante, ma certamente meno della costruzione degli stadi. La MLS è in evoluzione costante e continuerà a crescere anche dopo di lui.
Questo articolo è stato pubblicato in versione ridotta – per motivi di spazio – sul numero attualmente in edicola del Guerin Sportivo.