Wild Wild (NL) East

Tutta la grinta di Brian Schneider, catcher storico degli Expos ed ora capitano dei Nationals.

E' sicuramente la Division più combattuta dell'intera MLB, quella in cui i pronostici sulla squadra che a fine settembre si aggiudicherà  il titolo sembrano essere più ardui, e quella in cui, forse, gioca la formazione sorpresa di questo campionato 2005.

Stiamo parlando della National League East ovviamente, ed ancora più ovviamente dei Washington Nationals, una franchigia nata dalle ceneri dei Montreal Expos che sta disputando una stagione al di sopra di ogni aspettativa mettendo in fila, per il momento, club storici come Atlanta Braves e New York Mets.

In realtà  i veri dominatori della Division sono l'equilibrio e l'incertezza, perché dall'inizio del campionato ad oggi sono state tre le formazioni che si sono alternate per brevi periodi in vetta, e comunque tutte le squadre, dalla prima all'ultima, sono racchiuse in appena 6 partite.

In questo raggruppamento non si possono individuare dei duelli al vertice, come nella American League Central tra Chicago White Sox e Minnesota Twins, né tantomeno un dominio di un singolo team, come quello instaurato da circa due anni dai Saint Louis Cardinals nella National League Central.

Ben 4 compagini su 5 hanno infatti un record positivo, ed i soli Mets, ultimi in questo momento, sono a due vittorie dal 50%.

Se in un primo momento erano scattati i testa i Florida Marlins, sospinti dalle partenze fenomenali dei due primi lanciatori della rotation Dontrelle Willis e Josh Beckett, verso metà  maggio si erano rilanciati, come spesso accade loro, i soliti Atlanta Braves, formazione quintessenza della continuità  e quest'anno ancor più solida sul monte dopo l'arrivo di un partente “regolarista” come Tim Hudson, una garanzia di durata e di rendimento migliore di alcune pile alcaline.

Poi però la sterilità  offensiva di alcuni veterani come Brian Jordan e Raul Mondesi, sui quali la dirigenza aveva puntato molto durante la off-season, ha fatto scendere leggermente le quotazioni degli uomini di Bobby Cox, che è stato costretto a rivolgersi (ottenendo peraltro delle ottime risposte) agli emergenti Wilson Betemit e Pete Orr, interni di grande vitalità  e battitori di contatto preziosissimi per il gioco di Atlanta.

Questi piccoli accorgimenti hanno però portato ad una flessione nei risultati dei Braves, che si sono visti superare prima dai sornioni Philadelphia Phillies, poi dai motivatissimi Washington Nationals.

La squadra della città  dell'amore fraterno è infatti partita in sordina, privata durante l'estate di metà  della rotation titolare, ma ha saputo mantenere uno standard di rendimento medio-alto anche nei momenti di maggiore difficoltà , superando i periodi di crisi dei suoi uomini maggiormente rappresentativi (Jim Thome su tutti) senza incassare pesanti serie di sconfitte.

Ed è stata proprio la capacità  di portare a casa partite non entusiasmanti a tenere in corsa i Phillies, che una volta ritrovata la piena efficienza di giocatori del calibro di Bobby Abreu (grande maggio per lui) e Jimmy Rollins (distratto in avvio da problemi contrattuali), hanno saputo capitalizzare al meglio sulle strepitose prestazioni di Pat Burrell e Kenny Lofton per rilanciarsi nella lotta per la testa della Division.

Testa della Division che invece i Florida Marlins hanno perso dopo uno sfolgorante avvio proprio perché, al contrario dei leader di Philadelphia, gli uomini chiave dei “pesci” hanno incontrato difficoltà  che inizialmente non si erano presentate.

Se infatti “The D-Train” sta continuando la sua inarrestabile marcia verso il Cy Young Award dominando molte classifiche di rendimento (tra cui vittorie, 11, e shutout, 2) il suo gemello Josh Beckett è calato vistosamente, come bruscamente sono calate le sue statistiche inizialmente quasi irreali.

Il ritorno strappalacrime di Al Leiter tra le “keys” di Miami non ha portato sul campo i vantaggi che l'entusiasmo dell'ambiente avrebbe meritato, e le sole due vittorie a fronte di sei sconfitte con quasi 7 punti di media ERA hanno influito non poco sul bilancio della franchigia.

Franchigia che si è ritrovata addirittura al quarto posto della Division, non riuscendo a dare continuità  ai propri risultati complici anche i periodi di slump che hanno attraversato veterani storici quali Mike Lowell (.227 di media e solo 3 HR) e Juan Pierre (.250 per uno dei lead-off più efficaci della lega è un'average davvero negativa).

Ma se tutte queste formazioni non sono riuscite ad assestarsi per più di pochi giorni in vetta alla Division, chi c'è in questo momento davanti a tutti?

La risposta, per nulla scontata, è stata già  anticipata: i Washington Nationals.

Con un sfavillante record di 39-29 i beniamini della capitale hanno staccato di un paio di lunghezze gli avversari e non sembrano intenzionati ad abdicare tanto facilmente, perché se è vero che il calendario ed alcune sfide non impossibili di Interleague hanno avvantaggiato i Nats, è manche vero che capitan Brian Schneider e compagni sono stati capaci di infilare una serie di 7 vittorie su 8 partite negli ultimi dieci giorni.

Ma qual è il segreto di questa formazione?

Non aspettatevi di trovare scorrendo il roster nomi da MVP o da Hall of Fame, soprattutto nel line-up.

Il meccanismo, fin qui quasi perfetto, è molto semplice: ognuno fa la sua parte, senza strafare, senza eroismi né prestazioni da SportCenter che risolvono in solitaria le partite.

Tutti fanno bene il proprio lavoro e svolgono il proprio compito nel momento giusto: è forse questa la caratteristica principale dell'attacco di Washington.

Osservando le statistiche offensive del roster sembrerebbe a prima vista di leggere degli score anonimi, senza picchi degni di nota; alla realtà  dei fatti invece ci si accorge che a turno ogni membro della squadra è stato decisivo al piatto, perché l'RBI vincente o la volata di sacrificio nell'ottavo inning possono arrivare indistintamente dal clean-up come dal meno blasonato pinch-hitter.

Proprio la panchina ha giocato un ruolo fondamentale in diverse occasioni, e si è rivelata un punto di forza della squadra su cui la dirigenza ha dimostrato, anche di recente con lo scambio che ha coinvolto Junior Spivey, di puntare molto.

Marlon Byrd, Carlos Baerga, Gary Bennett: tutti giocatori che sembrano aver trovato nell'ambiente capitolino la propria giusta dimensione di gioco, dopo esperienze non sempre esaltanti in altre realtà  (anche vicine visti i trascorsi in maglia Phillies di molti giocatori attualmente a roster).

La rotation si basa sulla classe e l'esperienza di un ex campione del mondo quale Livan Hernandez, e dopo la partenza di Tomo Okha con destinazione Milwaukee nell'affare Spivey si potrebbe anche pensare ad un'insolita, per questi tempi, rotazione a quattro; le sorprese però, all'RFK Stadium, sono di casa.

Quello che invece sembra essere di casa allo Shea Stadium è la sinistra, cronica capacità  dei Mets di mettersi nei guai, inanellando inopinabili sconfitte in serie quando tutto invece porterebbe a pensare in positivo.

Non sappiamo che cosa avrà  pensato il buon Pedro Martinez in quelle occasioni in cui una sua quasi sicura vittoria si è tramutata in una no-decision per colpa dei titubanti rilievi di New York (Braden Looper e Dae-Sung Koo in particolare), ma sicuramente non saranno state frasi ripetibili.

Come non ripetibili sono i commenti dei tifosi allo stadio di fronte alle scialbe prestazioni di Carlos Beltran, pagato a peso d'oro e lontanissimo parente del pericolo pubblico numero 1 dell'ottobre 2004.

E che dire di Kaz Matsui, accolto come il quinto Beatles nell'inverno di due anni fa e mai protagonista in quasi due stagioni di MLB?

Certo le note positive ci sono, come il buon rendimento della scommessa Kris Benson e dell'altra spesa folle della off-season Pedro Martinez, oppure l'osservazione che in fin dei conti il distacco dalla testa della Division è di sole 6 lunghezze, ma basteranno queste considerazioni per impedire ai più accaniti tifosi dei Mets di passare altre lunghe ore sui lettini dei costosissimi analisti della Grande Mela?

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